La facoltà di Economia e Commercio, di certo, non faceva per lui. Sarebbe stato uno spreco. Del resto, immaginate il cinema, oggi, senza Paolo Sorrentino. Inconcepibile. Allora, per ovviare ad una mancanza terribile e incolmabile, il cinema. La dimensione effimera di mondi che non esistono, di personaggi che "hanno tutti ragione". Napoletano del Vomero, auto-didatta discepolo di quell'Antonio Capuano che omaggerà nel suo film più intimo, È stata la mano di Dio. Paolo Sorrentino è, a conti fatti (e premi alla mano), il più grande regista italiano contemporaneo (e che nessuno si senta offeso, ça va sans dire). Iniziando come assistente alla regia, ecco nel 1991 il suo primo corto: Un paradiso, che co-dirige insieme a Stefano Russo. E c'era già tutta la poetica: un uomo che sta per suicidarsi, rivivendo un attimo prima il momento più importante della sua vita. Da lì, per farsi le ossa, alterna diversi set: ruba con gli occhi, inizia a scrivere, arriva un altro cortometraggio, L'amore non ha confini, fondamentale per la sua carriera, in quanto verrà prodotto da Indigo Film, che gli finanzierà il suo film d'esordio, L'uomo in più, tutt'ora uno dei suoi film più riusciti, che segnerà il sodalizio artistico con Toni Servillo.
Il resto, più o meno, è storia: se Le conseguenze dell'amore, presentato a Cannes, lo aiuterà a rivelarsi al pubblico, sarà poi il 2008 a consacrarlo autore straordinario: l'uscita de Il divo ("probabilmente il mio film migliore", dirà poi), che vince a Cannes, spettinerà critica e pubblico, tanto che il regista comincia ad essere apprezzato internazionalmente: lavora con Sean Penn per This Must be the Place, ancora scritto insieme a Umberto Contarello, e nel 2014 vincerà lo strameritato Oscar per La grande bellezza: un'ode dolente e romantica ad una Roma che esiste solo nelle cartoline mai spedite. Dopo aver ringraziato Fellini, Scorsese, Maradona e Talking Heads, in uno dei discorsi più rappresentativi di tutta la storia degli Academy Awards, Servillo torna a Cannes con l'incompreso Youth - La giovinezza, accompagnato da un cast internazionale: Michael Caine, Rachel Weisz, Paul Dano, Harvey Keitel, Jane Fonda. In mezzo, anche le due serie Sky con Jude Law, The Young Pope e The New Pope, e il controverso Loro, ispirato alla vita di Berlusconi. E poi? In questo velocissimo bignami, che vi porterà alla riscoperta dei migliori film di Paolo Sorrentino, ecco arrivati al suo lungometraggio più poetico ed emotivo, È stata la mano di Dio, con cui vincerà il Leone D'Argento alla Mostra del Cinema di Venezia.
1. La grande bellezza
Il canto lisergico di un personaggio monumentale, l'esplorazione filosofica e visiva di una Roma sfumata di rosa e d'azzurro. Dalle terrazze di Via Veneto fino al Colosseo, dagli acquedotti al Tevere. Se pensiamo a Paolo Sorrentino, non possiamo non pensare al suo capolavoro, La grande bellezza. Divisivo solo per chi non carpisce la magnificenza di un film irripetibile, incapace di leggere dietro le apparenze, l'opera ha vinto l'Oscar per il miglior film internazionale, oltre ad un BAFTA e un Golden Globe. Al centro, lo sappiamo, il dolente Jep Gambardella, interpretato da Toni Servillo. Scrittore, giornalista, critico sull'orlo dell'amore e dell'abisso, affidandosi ad una Roma sorniona e mai così cinematografica.
La grande bellezza è un film eterno. Come Roma
2. È stata la mano di Dio
Sì, eravamo indecisi, primo o secondo posto? Del resto, È stata la mano di Dio è un grandissimo film. Emozionante, empatico, poetico, lucido, straziante. Il film meno sorrentiniano di tutti, reputato - almeno fin ora - il migliore del regista. Se lo abbiamo posizionato al secondo gradino della scala, è solo perché riteniamo l'opera un'affermazione della grandezza del regista (al contrario de La grande bellezza, che a modo suo era sorprendente), capace di cucire una storia tanto personale (che più personale non si può) quanto universale. La storia di un dolore, di una salvezza, di una passione. Quel Fabietto Schisa (Filippo Scotti) alter ego di Paolo Sorrentino, nella Napoli del Vomero e di quel Dio venuto dall'Argentina. In mezzo, la perdita dell'innocenza, il cinema come salvezza e lo scambio, doloroso e folgorante, tra Fabietto e il mentore Antonio Capuano, per una delle migliori scene di tutta la filmografia di Sorrentino. Quel "non ti disunire" è ancora lì che risuona. Nel cast, anche Toni Servillo, Marlon Joubert e una splendida Teresa Saponangelo.
3. Il divo
Per Sorrentino, Il Divo, è il suo film più riuscito. Certo è, che ha segnato una sorta di spartiacque per il cinema italiano: una storia torbida, come quella di Giulio Andreotti (con il volto plastico di Toni Servillo), capace di diventare spassionata opera pop, insinuandosi tra le stanze di un potere incrollabile e misterioso. Gran premio della Giuria a Cannes, nel 2009 vinse ai David: fotografia per Luca Bigazzi, Piera Degli Esposti attrice non protagonista, Toni Servillo, magnetico, come protagonista. Ormai storica la reaction di Andreotti, che rimase stizzito (ritrattando poi dopo) in seguito alla visione del film. "Il cinema funziona sempre", risposte il regista.
4. L'uomo in più
Tra i migliori film di Sorrentino mettiamo anche L'uomo in più. Acerbo e imperfetto, ma anche di una potenza drammaturgica di assoluta portata, se consideriamo sia il primo film del regista. Protagonisti Toni Servillo e Andrea Renzi, fratelli napoletani, uno calciatore, l'altro cantante. Sono diversi, uno gagliardo, l'altro sempre triste. Condivideranno cadute e risalite in una Napoli degli Anni Ottanta.
Paolo Sorrentino: "Il Divo sono io senza la gobba"
5. Le conseguenze dell'amore
Non potevamo non citare Le conseguenze dell'amore, il lungometraggio che, in qualche modo, ha fatto notare Sorrentino al grande pubblico. Protagonista quel personaggio dal nome buffo, Titta di Girolamo, insonne che vive in Svizzera, dalla vita grigia e metodica: fa il commercialista, ma è stato esiliato dalla mafia dopo un affare andato storto. I suoi compiti? Ripulire il denaro. La vita, piatta e stantia, verrà alterata da Sofia, nuova barista dell'albergo in cui vive. Protagonista, ancora una volta Toni Servillo. Con lui, Olivia Magnani. Titolo emblematico, per uno dei finali più forti di tutto il cinema di Paolo Sorrentino.