Paolo Genovese è uno dei più apprezzati registi italiani perché riesce a coniugare tanti aspetti diversi nei suoi film e a fargli dialogare tra loro: sceneggiatura e regia, tematiche e storia, location e interpreti. Lo abbiamo incontrato a Castiglione del Cinema, prima edizione del Festival che si tiene a Castiglione del Lago in provincia di Perugia, dove ha tenuto una masterclass dedicata agli studenti e al pubblico della kermesse, in cui abbiamo provato a fare un excursus sul cinema che ha accompagnato la sua carriera passando per la serialità che è anche il suo futuro. Ecco cosa ci ha raccontato nella nostra intervista.
Largo ai giovani
Paolo Genovese è molto aperto verso le nuove generazioni. E vorrebbe passare un consiglio prezioso che gli è stato dato quando ha iniziato, nientemeno che da Mario Monicelli. Un bel passaggio di testimone ed eredità artistica per le nuove generazioni che si vogliono approcciare al mondo dello spettacolo: "Si tratta di qualcosa di semplicissimo ma a volte è proprio nelle cose semplici che va ricercata la chiave. Moltissimi anni fa feci da aiuto regista, ultimo tra gli assistenti alla regia, in uno spot pubblicitario che però era come se fosse un piccolo corto, con Monicelli, che col suo fare un po' scorbutico disse a noi giovani 'Non saprei che consiglio darvi' e se ne andò. Poi però ci ripensò e torno indietro 'però una cosa ve la voglio dire: non vi accontentate'. Quella frase un po' estemporanea mi è rimasta in testa. In molte situazioni rischiamo di accontentarci, di fermarci, invece mi ha sempre stimolato a fare di più, ad andare al limite anche sul set ma soprattutto nella scrittura, dove a volte siamo tentati di consegnare al più presto, invece dobbiamo rileggere, riprovare, avere il coraggio di buttare tutto e ricominciare daccapo. Di non affezionarmi alle scene e tagliarle se non funzionano, mi sembra che potesse essere quello il succo di quel consiglio". Dopo non ti disunire, non ti accontentare.
Scrittura e regia
Come dicevamo in apertura di intervista, sceneggiatura e direzione degli interpreti sono equamente importanti nei film del regista romano. La scrittura è un argomento molto delicato attualmente, se pensiamo a quanto sta accadendo con lo sciopero oltreoceano e alla questione sollevata dell'intelligenza artificiale. Genovese però non se ne sente minacciato: "Da un lato ho una visione poetica del cinema come strumento di narrazione innovativo, penso che ogni autori miri a realizzare qualcosa di originale, di innovativo, di curioso e non ho particolari preoccupazioni sulla sceneggiatura di qualità al momento. Ero curioso di ChatGPT e l'ho provato, ma il modo che la IA rielabora va proprio in antitesi con quello che dovrebbe essere il nostro lavoro, perché rielabora e va a pescare in maniera incredibile su ciò che è già stato fatto, ma noi dovremmo creare qualcosa di nuovo. Penso quindi che la rielaborazione creativa da un punto di vista linguistico o drammaturgico sia qualcosa di lontano dall'IA. Però capisco la preoccupazione di chi scrive perché l'industria non è così attenta al rischio bensì a ciò che piace, ovvero al passato e a ciò che è già stato fatto, al riprodurre i successi, e quindi il pericolo secondo me deriva dalla parte industriale produttiva che potrebbe cedere alla tentazione di rinunciare all'innovazione e alla creatività, a favore di un meccanismo che può essere di livello molto più basso ma che può risultare molto più veloce ed economico, molto algoritmico".
Perfetti Sconosciuti e Call My Agent - Italia
Perfetti Sconosciuti, sicuramente l'opera di maggior successo di Genovese, è il film che detiene il guinness dei primati per il maggior numero di remake realizzati: siamo a quota 32 (oltre ad un adattamento teatrale a cura dello stesso regista). Gli fa ovviamente piacere ma allo stesso tempo ricorda come per un autore un remake non sia mai qualcosa di entusiasmante "perché in qualche modo qualcuno prende la tua storia e la storpia. Non li ho visti tutti perché ad un certo punto mi hanno stufato (ride) e non sono mai veramente soddisfatto quando ne vedo uno in giro per il mondo". Tutto questo ha generato una simpatica gag e un cameo del regista nel primo episodio di Call My Agent - Italia: "Io non lo avrei mai fatto per nessun motivo al mondo ma mi hanno chiamato dalla produzione spiegandomi quanto fosse centrale nella storia e che non avrei avuto dialoghi ma avrei dovuto solamente andarmene sbattendo la porta, allora ho acconsentito. Quello che ti posso dire è che dopo quest'esperienza, anche se breve, voglio molto più bene ai miei attori sul set (ride). Infatti non mi vedrei protagonista di un episodio futuro della serie perché faticherei molto a passare dall'altra parte della macchina da presa".
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Dopo Tutta colpa di Freud, verso I Leoni di Sicilia
In attesa de I Leoni di Sicilia, la serie da lui diretta tratta dall'omonimo romanzo che sarà presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2023 e arriverà poi su Disney+ dal 25 ottobre, di cui purtroppo non ha potuto anticipare nulla, Paolo Genovese ha voluto però aprirsi sulla possibilità di un nuovo progetto seriale anche scritto da lui, magari non adattamento di un suo film come Tutta Colpa di Freud: "Si tratta di un'operazione molto lunga e faticosa. Mi spaventa perché trovo siano due mondi molto diversi a livello di scrittura. Il film forse perché lo faccio da sempre è qualcosa che maneggio con tranquillità, mentre la serialità ha tante linee narrative, tante storie che si intrecciano e mi risulta più faticosa ma anche molto interessante. Devo dire che mi piacerebbe ma con i tempi giusti e con il giusto gruppo di lavoro. Trovo che al momento le nostre sceneggiature filmiche non abbiano nulla da invidiare a quelle dei Paesi esteri - che non sappiamo promuoverci all'estero è un altro discorso - mentre a livello seriale purtroppo l'eccellenza soprattutto degli americani ma anche degli spagnoli, dei francesi, dei norvegesi si fa sentire. Si tratta del modo giusto di approcciare quella scrittura difficile".
Posti speciali
In molte delle pellicole del regista romano - dal già citato Perfetti Sconosciuti a The Place fino all'ultimo Il primo giorno della mia vita, tratto dal suo romanzo del 2018 - le location sono veri e propri personaggi. Hanno un ruolo prominente tanto che forse ci dicono molto di chi quegli edifici li abita e li vive: "Un posto ci può dire moltissimo di una storia e ci può emozionare, che è il motivo per cui io non giro in teatro, anche per film che lo richiederebbero a livello produttivo. Ma un luogo fisico ha una magia ed energia che non si possono riprodurre in teatro. È il caso ad esempio di The Place, per il quale ho scelto un locale a San Giovanni in una via trafficatissima per la quale il fonico ancora mi maledice (ride) però quella verità serve a me e penso anche agli interpreti. Lo stesso vale per Perfetti Sconosciuti, del quale quasi tutti i remake sono girati in teatro, io invece avevo bisogno di una vera casa e di un terrazzo con fuori la vita vera, che anche l'orario rispecchiasse il reale momento della giornata in cui si svolgeva la storia. Non iniziavano a cenare alle 21 ma comunque alle 18 con un'atmosfera serale. Non avrei potuto girarlo con le pareti finte e gli gnocchi da mangiare alle 8 del mattino (ride)".
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Cinema-terapia
Un altro aspetto che ricorre nelle opere filmiche del regista è la scelta di colorarle di dilemmi etici ed esistenziali, che possono diventare terapeutici tanto per il pubblico quanto per chi sta dietro la macchina da presa, come conferma Genovese: "Le storie possono aiutarci a capire meglio noi stessi e gli altri e a farci sentire meno soli. Se stiamo vivendo un dramma personale e lo vediamo rappresentato questo può aiutarci perché vediamo che ci sono altre persone che lo affrontano come noi. Anche il riso e il pianto sono terapia, perché possono essere liberatori. I miei film hanno aiutato me soprattutto in fase di scrittura, perché con i miei sceneggiatori facciamo un brainstorming continuo in cui ognuno tira fuori il proprio punto di vista, le proprie esperienze che poi magari non finiscono nella versione definitiva ma servono a definire l'opera filmica e a confrontarsi con se stessi e con le altre persone. In un lavoro più canonico questo aspetto non esisterebbe e mi ritengo fortunato per questo".