"Sono stanchissima" sono le prime parole che ci dice Paola Barbato, che raggiungiamo a telefono alla vigilia dell'uscita del suo nuovo romanzo, La torre d'avorio, edito da Neri Pozza e appena arrivato in libreria. Una stanchezza naturale, vera, inevitabile, che non riesce a nascondere anche la soddisfazione e la gioia quando ci parla delle tante novità di questo autunno: si è iniziato a settembre con Horror Game, si è andati avanti con la premiere dell'adattamento del suo Mani nude di Mauro Mancini alla Festa del Cinema di Roma, si prosegue con il nuovo romanzo e il tour di presentazioni che lo accompagnerà. "Prima sono a Pisa alla libreria La Fogola, che lavora molto bene, poi vado a Lucca per Horror Game, poi sempre a Lucca per La torre d'avorio, poi mi metto in auto e vado a Sesto Fiorentino per una presentazione, poi torno a Lucca" ci spiega. La fatica, ma anche dovere e felicità, di dover star dietro ad un figlio che nasce. L'ennesimo di una carriera di grandi romanzi che hanno un comun denominatore: la potenza evocativa.
Stessa potenza che ha La torre d'avorio, fin dalle prime pagine riescono a calamitarci alla storia e alla sua protagonista Mara Paladini, che vive in una casa dalle pareti totalmente ricoperte di scatole bianche e piene di tutto ciò che è stata la sua esistenza. Un incipit folgorante che porta passo dopo passo a scoprire indole e motivazioni di una figura complessa come sono sempre i personaggi della scrittrice, una donna inseguita dal suo passato e affetta dalla sindrome di Münchausen per procura. Eppure, ci sorprendiamo, è un libro dalla genesi particolare, diversa dal solito.
Costruire la torre d'avorio
"Non è nato spontaneamente come libro, è il primo indotto della mia vita. E mi fa sorridere, perché è venuto fuori un libro che mi piace moltissimo." Un libro ragionato, ma nato "in antitesi a Mani nude", perché l'estate scorsa, ci ha raccontato, stava lavorando a un'altra storia che leggeremo probabilmente in futuro che aveva "blandi collegamenti" con quello che aveva pubblicato sedici anni fa, nel 2008. Quando è uscita la notizia dell'adattamento di Mani nude, il dubbio che qualcuno potesse recuperare il libro e successivamente ad andare a cercare qualcosa di nuovo dell'autrice l'ha fatta ragionare sulla necessità di scrivere qualcosa di molto diverso. "Parlava di una ragazza scomparsa, sembrava per certi versi un po' un contorcanto di Mani nude, ma i collegamenti erano veramente molto sottili perché la storia prendeva tutt'altra piega", ma capiamo il dubbio e la voglia di proporre ora qualcosa di diverso.
"Ho iniziato a lavorare per allontanamento, mi sono detta: lì abbiamo un ragazzo di 16 anni, allora qua deve essere una donna di mezza età. Lì un rapimento, qui parliamo d'altro, parliamo di una fuga. Per contrapposizione mi sono creata un recinto di distanze da quel libro e in quel recinto mi sono mossa per non danneggiare né il nuovo lavoro né quello fatto sedici anni fa." Un modo di lavorare nuovo, che "ha provocato una sensazione stranissima, perché di solito navigo negli oceani, non ho mai paletti, né imposti né autoimposti, mentre questa volta ho lavorato in un recinto, ampio, ma comunque un recinto. E devo dire che mi è piaciuto molto. Mi sono chiesta: perché non l'ho mai fatto prima?"
Le suggestioni e i temi del libro
Un primo tema è quello della sindrome di Münchausen, un tema che Paola Barbato avrebbe voluto affrontare da tempo, l'altro è quello del legame che si viene a creare tra sopravvissuti, tra persone molto diverse tra loro che sviluppano un vincolo particolare grazie a esperienze segnanti vissute insieme. Cita infatti Questione di cuore, il film di Francesca Archibugi con Antonio Albanese e Kim Rossi Stuart che si trovano a condividere la stessa stanza d'ospedale in seguito a un infarto. "Li unisce l'essersi conosciuti in ospedale, l'aver provate la stessa paura, le stesse angosce, il farsi le stesse domande. E nonostante siano due persone che faremmo fatica a immaginare alla stessa tavola, si sviluppa un rapporto molto forte."
Lo stesso legame che la protagonista ha con altre figure del romanzo, che non anticipiamo per non rovinare nulla della storia. "Per me è sempre stato un grande tema, quello delle persone che sopravvivono alle catastrofi, che attraversano lo stesso tipo di percorso traumatico, che sia di lutto o di recupero." Quindi la sindrome, un crimine, una protagonista con una colpa. "Quelle persone che commettono un errore grande e da questo errore non potranno più prescindere qualunque cosa facciano. È il momento della loro vita che sarà il più importante per sempre."
Persone che Paola Barbato ha conosciuto, per aver vissuto indirettamente qualcosa di simile assieme alla madre, che hanno contribuito a sviluppare quello che è evidentemente il cuore emotivo del romanzo: il rapporto tra le protagoniste.
Paletti, ma con un'idea chiara
"Avevo il finale, come sempre" ci dice Paola Barbato quando le chiediamo come si sia mossa all'interno di questi paletti che si è autoimposta. "Prima creo un approdo, poi mi trovo il punto di partenza e ho il mio percorso. Quello sì, può cambiare, per questo non scaletto mai niente perché so che lungo la strada posso cambiare idea. Cambiare idea è fondamentale." Ma sempre con un punto di arrivo ben definito e saldo.
Un punto di arrivo che per esempio cambia nell'adattamento di Mani Nude: "quel finale è diverso dal mio, ma non è necessariamente un male, anche perché il mio libro ha una tale quantità di linee narrative che nemmeno in una serie tv da 12 episodi si potrebbe mettere tutto. È molto pieno e quando inizi a tagliare ti rendi conto che quel finale ha senso solo se ci si arriva dopo tutto quello che viene prima."
Ma sono cambiamenti che Paola Barbato accetta, che la rendono anche soddisfatta. "Per certi versi sono grata del fatto che abbiano tolto completamente l'unica linea narrativa che dava senso al mio finale, togliendo completamente quella che è uno dei due assi del film. Un asse è il rapporto che si viene a stabilire fra il carceriere e il prigioniero, che è la Sindrome di Stoccolma, di cui Davide è assolutamente vittima, ma di cui per certi versi invece può essere un po' vittima anche Minuto. Quello è l'asse che è stato mantenuto. L'altro asse, che non diciamo, che era enorme, è stato tolto e a quel punto non c'era una possibilità di mantenere il mio finale, non avrebbe avuto più senso. E quindi a quel punto tanto valeva trovare un'altra motivazione completamente al di fuori del libro e sviluppare quella. L'importante era mantenere la coerenza." E la coerenza è stata mantenuta, come detto anche nella recensione di Mani nude, al netto di un appunto che ci sentiamo di sostenere: il finale di Paola Barbato è molto più potente.
Uno splendido regalo
D'altra parte, un'opera differente può essere anche un valore aggiunto, un qualcosa in più da proporre a chi già conosce il romanzo, che può avere una vita diversa. "In realtà si fa un favore al pubblico" ci ha detto e in definitiva ha ragione da vendere, lasciando che ogni incarnazione di una storia abbia una propria vita indipendente e adatta al mezzo in cui si va a sviluppare.
E quella lavorazione Paola Barbato l'ha seguita molto: "perché ci tenevo, ci tenevo tantissimo. E mi hanno fatto un bel regalo. Mi auguravo che il film non fosse brutto, questo era il massimo. Però in ogni caso è un dono per il libro, è un dono per i personaggi. È una storia che ha vissuto tre vite [esiste anche la riduzione a fumetti, curata dalla stessa autrice. ndr] A quante storie capita di vivere tre vite?"
E l'ultima vita, quella cinematografica, ha preso il via alla recente Festa del Cinema di Roma. "Ho visto il film due volte. La prima solo io col il regista a Francesco Gheghi. Lì ho avuto il primo impatto, che mi ha permesso la seconda volta di godermi i piccoli dettagli" quei rimandi al libro, quegli omaggi, che l'hanno resa felice. Così come l'ha resa felice quanto le ha detto Gheghi: "mi ha detto di non essere un lettore, di essere uno di quei ragazzi disamorati dalla lettura per essere stati costretti a leggere a scuola. Ma ha voluto leggere Mani nude prima di fare il provino e ha pianto tre volte. Non poteva farmi un complimento più grande! Perché veramente non c'è complimento più grande di un attore che deve interpretare un ruolo e che piange quando legge la storia."
Parlare a tutti, parlare ai giovani
E parlando di giovani allontanati dalla lettura, non possiamo che pensare a quelli che invece leggono proprio Paola Barbato, grazie ai romanzi per ragazzi che pubblica regolarmente. Ultimo di questo Horror Game, uscito di recente, lo scorso settembre. Ma come si parla a un pubblico più giovane? "Non puoi pretendere di parlare a un lettore tipo di 10 anni, di 11 anni con lo stesso linguaggio con cui parli un adulto, quindi già devi adattare il linguaggio, lo devi semplificare ma non devi impoverirlo." Questa la difficoltà, "devi trovare dei termini che siano giusti, che trasmettano quello che devono trasmettere ma che siano anche alla portata di un lettore che ha ancora un vocabolario limitato". E Horror Game lo fa bene, usando anche il mondo dei videogiochi per avvicinarsi al target e i suoi interessi, muovendosi in un ambito che possono capire e seguire alla perfezione. Giocando, per di più, con paure autentiche e vere.
"Bisogna usare un dosaggio della paura calibrato sull'età ma senza fare mezzo passo indietro" senza compromessi, "tutto quello che può andare bene per terrorizzare un undicenne senza traumatizzarlo ce lo devi mettere. Paura vera, paura perfettamente assimilabile. Che non sia lesiva, ma vera, ed è certamente un percorso difficile, una corsa a ostacoli" in cui è necessario evitare una serie di cose, stando inoltre attenti a "non attribuire ai personaggi delle cose che a quell'età lì non ci sono."
Paola Barbato: dagli esordi a Il Dono, una vita fatta di storie
Crescere il proprio pubblico
Siamo curiosi di quanto i suoi lettori abituali si dedichino anche ai suoi libri per ragazzi, ma la Barbato ci spiega che in realtà il passaggio è inverso: "Siccome i libri ormai sono diventati un po', molti di questi lettori sono cresciuti e quindi iniziano a leggere gli altri miei romanzi. Alcuni mi li sono portati verso i libri per adulti, perché come dico sempre, da 14 anni i miei libri si possono leggere, naturalmente stando attenti a predisposizioni, carattere, sensibilità del singolo. Ci sono già alcuni ragazzi e ragazze che ho conosciuto a 11 o 12 anni quando ho presentato dei libri, che ora sono cresciuti e hanno recuperato tutti i miei libri da grandi. Anche quella è una soddisfazione." E quale romanzo consiglia per iniziare il percorso? "La cattiva strada. Perché tanti dei miei altri libri hanno tematiche che poi comunque possono essere un po' disturbanti a quelle età lì, al di là di quelli che parlano proprio di bambini e quindi di crimini commessi anche su bambini, quelli magari li terrei per dopo."
In ogni caso i libri da leggere scritti nel corso degli anni dalla Barbato non mancano ed è sicuramente un percorso interessante da vivere e godersi, tra romanzi per ragazzi, per adulti, fumetti e albi di Dylan Dog. Il qualche modo ci sentiamo di considerarla la regina del thriller italiano, e non temiamo di essere smentiti.