2 febbraio 2022. Pianeta Terra. Sulla piattaforma Disney+ arriva con la forza di un uragano Pam & Tommy, racconto a tratti romanzato, manipolato e reso ulteriormente accattivante, di uno scandalo che ha segnato gli anni Novanta come quello del sex-tape di Pamela Anderson e Tommy Lee. Erano gli anni delle videocassette piratate e delle corse in slow-motion sulle spiagge californiane. Se da una parte quello scandalo ha enfatizzato l'immagine da rockstar del batterista dei Mötley Crüe, dall'altra ha frenato la carriera della Anderson, attrice tutte curve e poco talento. Dal punto di vista critico, Pam & Tommy risulta un prodotto coeso, una galleria di momenti larger than life che mostrano una Anderson non solo vittima degli eventi, quanto paladina dei propri diritti, perché dietro quel corpo formoso non c'è una bambola senza pensieri, ma una donna dalla testa funzionante e un cuore che batte.
Ma per chi quello scandalo lo ha vissuto sulla propria pelle, rivedere sullo schermo quelle immagini - sebbene drammatizzate - deve essere fastidioso come un sassolino nella scarpa, e doloroso come del sale su una ferita. Come sottolineeremo in questa recensione di Pamela, A Love Story (disponibile su Netflix), è forse anche come risposta, o anche solo per cavalcare l'onda mediatica della serie diretta anche da Craig Gillespie, che l'attrice iconica degli anni Novanta si pone davanti alla cinepresa spogliandosi, non più fisicamente, ma dal punto di vista emotivo, per raccontare la propria storia. Svuotando i cassetti della propria memoria con la stessa leggerezza con cui sfoglia pagine di diari tenuti con cura nel corso degli anni, Pamela Anderson ristabilisce e recupera una propria umanità andatasi perduta sotto la superficie di una corporalità esacerbata, sfruttata, mostrata. Una rivendicazione che si avvale di rivelazioni private e dal forte impatto emotivo, ma non sempre accompagnate da indagini accurate, che fanno di questo documentario una nave galleggiante solo sulla superficie di un mare mosso, ma non in tempesta.
Pamela, A Love Story: la trama
Che siano cresciuti a pane e Baywatch, oppure facciano parte della generazione "Z", tutti conoscono il nome di Pamela Anderson. Una nomea, la sua, preceduta da un'immagine. Perché il successo di Pamela Anderson risiede soprattutto sulla sostanza fisica e iconica. Decisa a ribaltare tale celebrazione, Pamela Anderson si mette in gioco davanti alla telecamera di Ryan White. Ciò che ne risulta è Pamela, A Love Story, un ritratto intimo e umanizzante di una delle donne più affascinanti e famose al mondo, tra vita e carriera di una ragazza di provincia destinata a elevarsi a sex symbol internazionale, attrice, attivista e madre affettuosa.
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Confessioni scioccanti per racconti poco indagati
Vuole scuotere Pamela, A Love Story; vuole emozionare; vuole aprire un varco tra la sfera privata e inaccessibile di Pamela Anderson, e quella dei propri spettatori. E sebbene a tratti, il documentario di Ryan White raggiunge spesso tali propositi, forte della portata traumatica di certe confessioni da parte della sua protagonista (si pensi agli abusi subiti, o alle violenze poco esorcizzate). Ma quelle che fuoriescono da una Anderson sorridente fuori, e fragile dentro, sono notizie scioccanti che lasciano il tempo che trovano; sono parole che vengono lanciate per il puro desiderio di colpire lo spettatore senza essere mai sviluppate. Ciò che ne consegue è un ibrido nato dall'incontro da un puro racconto esegetico a totale favore della sua protagonista, e il disvelamento di dolori passati che trovano nel racconto documentaristico dei barlumi di catartiche confessioni.
La (ri)costruzione di un mito
Madre apprensiva; moglie di tanti unioni; risultato sentimentale di errori genitoriali e mancanze affettive; attrice imprigionata tra le fila di schemi pre-impostati e ruoli stereotipati nati dall'immagine di lei (e da lei) (s)venduta e dai dipinti mediatici su di lei ispirati. È questo il patchwork offerto da Pamela, A Love Story. Eppure, per quanto il racconto permetta allo spettatore di avvicinarsi alla sfera intima di una Pamela Anderson senza filtri - e per questo immortalata senza trucco e totalmente al naturale, con vestiti larghi che impediscono all'occhio di scorgere quelle curve che tanto le hanno donato le chiavi del successo - dopo un'ora e cinquanta è come se questa nuova conoscenza rasenti ancora lo stato elementare delle cose; una superficialità di fondo che non permette la costruzione di una nuova fortezza con la quale sostituire l'immagine costruita, copertina dopo copertina, scandalo dopo scandalo, su Pamela Anderson.
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Icone senza filtri per cornici decorate
Un senso di ingiustizia e incomprensione aleggia sull'opera; nasce e cresce all'interno dello spettatore un senso di colpa per non aver colto certi disagi, per aver riso a certe battute o per essersi limitato più al corpo che alla sostanza umana; sono queste le emozioni che il documentario chiede al proprio pubblico - soprattutto maschile - di provare nel corso della visione; una reazione che ben si confà agli obiettivi preposti da White e dalla Anderson, e che sicuramente risponde in maniera positiva alla sua realizzazione. Ciononostante, l'uso fin troppo spropositato e ingiustificato di filtri che tentano di donare alle sequenze un che di vintage, con bordi simil-super 8, ammantano il ricordo intimo, personale della Anderson di un che di falsato, fin troppo estetico ed esteriorizzante. Là dove la sua protagonista tenta di mostrarsi al naturale, senza fronzoli ed eccessi, ecco che l'immagine che la immortala si ammanta di inutili decori che mettono a rischio il senso ultimo del progetto.
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La ricerca del buio nella luce della ribalta
Montaggio di filmati di repertorio, interviste inedite e documenti privati, dopo un'ora e cinquanta l'immagine divistica impostatasi nella memoria collettiva di Pamela Anderson forse non verrà del tutto scarnificata, o ribaltata; eppure con Pamela, A Love Story nuove sfumature vanno ad aggiungersi a quell'icona, rivestendola di colori nuovi, perché più intimi, più ombrosi, meno accecanti di quella luce della ribalta a cui la stessa Anderson era attratta. Ecco perché, oltre allo scandalo del sex-tape, vi era la necessità di immergersi nel buio di altri dolori, altri cuori spezzati, altri riflessi speculari di un bisogno di affetto ricercato in cattivi ragazzi vestiti da principi azzurri. Per una donna bruciata dalla luce illusoria dello spettro mediatico, è il potere del buio che la restituisce all'universo degli umani. Già, perché per un mondo come quello di Pamela Anderson, dove tutto è sovraesposto e nulla è lasciato all'immaginazione, la rimasticatura del mito passa dallo svuotamento delle sue figure.
Separati dal guscio formale ed estetico che li protegge, è nella loro fragilità, e nella loro imperfezione, che personaggi come quelli della Anderson riescono a riabilitarsi lasciandosi comprendere, capire, apprezzare. Un tentativo iniziato, suggerito, ma non del tutto concluso con Pamela, A Love Story, dove il senso apologetico di questo personaggio continua a predominare tra il palato e la bocca, la mente e il pensiero, riducendo quella che doveva essere un'immagine più forte, coraggiosa e combattiva di Pamela Anderson in pura vittima.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Pamela, A Love Story sottolineando come il documentario rilasciato su Netflix sebbene dia la possibilità di scoprire qualcosa del passato di Pamela Anderson, ristabilendo un'umanità per troppo tempo nascosta sotto la pura estetica iconica e fisica, non si distacca poi molto dal puro racconto agiografico. E così, la mancata indagine di certi tasselli importanti della vita della Anderson vengono solo toccati, lasciando il racconto a un livello superficiale di sviluppo.
Perché ci piace
- Il racconto di certi eventi dolorosi e intimi della Anderson.
- La scelta di mostrarsi senza trucco e al naturale.
- La giusta scelta del materiale di repertorio da inserire.
Cosa non va
- I filtri usati per le inquadrature che rendono tutto troppo estetizzato e falsato.
- La scelta di non andare a fondo in certe questioni che avrebbero sicuramente aiutato a ribaltare l'immagine di Pamela Anderson.
- Un senso di racconto elegiaco che pervade la visione.