Si prova una sensazione di deja-vu a scrivere la recensione di Palazzo di giustizia, iniziata mesi fa in vista dell'uscita programmata inizialmente a fine marzo e rinviata per i motivi che ben conosciamo. Dal Festival di Berlino si è passato così alla Festa di Roma, dove il film è stato presentato nella sezione Alice nella città, e la relativa nuova uscita nelle sale del 22 Ottobre che ci rende felici di poter riprendere il discorso e parlare del film di Chiara Bellosi, che ci colpito per la forza e intimità dello sguardo e la capacità di tratteggiare un microcosmo fatto di disordine e attese.
Tra aule di tribunale
Palazzo di Giustizia ci porta infatti nei corridoi di un grande tribunale italiano, dove c'è un'udienza in corso che vede sul banco degli imputati un giovane rapinatore e il benzinaio che ha subito la rapina ma ha reagito, sparando e uccidendo il complice dell'imputato. Una situazione che si sviluppa con tutti i rituali del caso, tra interrogatori, prove, testimonianze, un nucleo centrale attorno al quale ruota il mondo esterno e le storie intime e personali dei familiari che aspettano nei corridoi in cui regnano caos, rumore e l'esigenza di continuare a vivere.
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La vita, in attesa
Da una parte i rituali, i procedimenti schematici, le infinite pause, dall'altra la vita che riempie questi spazi e si concretizza nelle due figlie degli imputati che aspettano nei corridoi: Domenica, la figlia dell'accusato di omicidio, e Luce, la piccola figlia del rapinatore, di cui si occupa la nervosa Angelina incarnata da Daphne Scoccia. L'interesse primario, e il merito, della Bellosi è proprio nel raccontare queste figure sospese in un limbo, rovesciando la prospettiva del dramma legale e spostando l'attenzione dal processo a quelli che lo subiscono e non possono far altro che trovarsi e superare le proprio opposte posizioni di partenza.
Lo sguardo sui dettagli
Chiara Bellosi porta avanti questo originale spaccato di umanità muovendosi con sicurezza negli ambienti del tribunale con una regia pulita e accorta, focalizzando l'attenzione sui dettagli, indagando i volti e le espressioni, i movimenti e le inevitabili impazienze. Freddo e schematico anche nell'architettura, il tribunale diventa un teatro che enfatizza la rigidità dei rituali che ospita, incapaci di ingabbiare i sentimenti e malumori delle giovani protagoniste.
Palazzo di giustizia si presenta come un film piccolo, ma dalla grande personalità, capace di immergerci per un'ora e mezza nello stesso limbo che vivono le protagoniste, rendendoci partecipi di uno spaccato vivo, ma per forza di cose limitato, delle loro esistenze.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Palazzo di giustizia confermando un giudizio positivo dovuto alla capacità della regista Chiara Bellosi di valorizzare le situazioni che si sviluppano nei corridoi del tribunale, che fanno da vibrante contraltare ai freddi e schematici rituali che si svolgono nel corso dell’udienza. Una purezza di sguardo sostenuta dalle prove sincere e autentiche di un cast amalgamato con cura.
Perché ci piace
- L’approccio originale a una storia processuale, che sposta l’attenzione dall’aula a chi ne aspetta l’esito.
- La regia pulita della Bellosi e l’attenzione per i dettagli.
- La capacità di renderci partecipi del limbo in cui si trovano le protagoniste.
Cosa non va
- Qualche superficialità nella scrittura delle figure nell’aula, ma è una conseguenza dell’approccio scelto.