Padri e figli
Un'occasione sprecata: è così che si potrebbe definire sbrigativamente il secondo lavoro di Alessandro Angelini che, dopo il sorprendente esordio de L'aria salata, presentato alla prima edizione del Festival di Roma, torna in concorso con un'opera che affronta di nuovo un irrisolto e conflittuale rapporto tra un padre e un figlio. Eppure anche questo nuovo Alza la testa conferma comunque il talento del trentottenne regista romano, un autore che viene dal reportage e dal documentario e che applica anche al cinema di finzione la medesima, spasmodica, ricerca della realtà. Peccato, perché per quasi metà della sua durata Alza la testa è un film sporco, duro, sofferto. Il regista continua a essere il cantore dei dropout, degli individui messi alle corde dalla vita e condannati a non vincere mai. Così è Mero (Sergio Castellitto), costruttore di barche ed ex pugile dilettante che decide di consacrare la sua intera esistenza ad allenare il figlio Lorenzo (l'esordiente Gabriele Campanelli), affinché possa diventare il campione che lui non è mai riuscito a essere.
Angelini utilizza il contesto della boxe, sport cinematografico per eccellenza alla base di numerosi capolavori della settima arte, come una metafora per rappresentare un rapporto tra padre e figlio ruvido e aspro, quasi un duello, ma al tempo stesso intensissimo e viscerale. Per Mero l'intera esistenza si esaurisce nel figlio, non esiste nessun'altro scopo, se non quello di proteggerlo. Il suo amore è così totalizzante da voler estromettere a tutti i costi anche la madre del ragazzo, un'albanese che ha abbandonato l'uomo per tornare nella sua terra d'origine. Così, quando Lorenzo viene fatalmente a mancare, a seguito di uno scherzo del destino che sembra quasi un meccanismo di ironia tragica, per Mero non c'è più alcuna ragione di vita. È qui che il film di Alessandro Angelini comincia a prendere una piega inaspettata, lasciandosi alle spalle il rapporto generazionale, e focalizzandosi invece solo sul personaggio di Mero. Il suo si delinea come un vero e proprio percorso di formazione nei confronti dell'accettazione del diverso: dalla xenofobia iniziale l'uomo, attraverso il sacrificio del ragazzo, imparerà a comprendere l'altro, e a difendere la parte più debole della società. Alza la testa muta così improvvisamente la sua natura: da ritratto veristico di un rapporto famigliare, a un film a tesi, costruito sulla programmaticità di un percorso politico e ideologico. Due dimensioni che stridono tra loro, ed è per questo che il film finisce per essere irrisolto, o "anarchico", come lo definisce il regista. Alza la testa raggiunge comunque alcuni momenti di altissima intensità espressiva, in particolare nella sequenza della morte di Lorenzo, in cui Sergio Castellitto dà fondo a tutte le sue straordinarie qualità recitative senza mai cadere nella sovrainterpretazione e nella caricatura.