Oscar e cinema italiano, una lunga love story

Aspettando la fatidica notte del 2 marzo per scoprire se La grande bellezza riuscirà ad aggiudicarsi l'Oscar come miglior film straniero, ripercorriamo la lunga e travagliata storia d'amore fra il cinema italiano e l'Academy, analizzando i titoli nostrani che nel corso degli anni hanno conquistato la prestigiosa statuetta.

Per la prima volta dopo ben otto anni, e dopo una serie di esclusioni non sempre così scontate (clamorosa quella di Gomorra di Matteo Garrone nel 2008), l'Italia è tornata a competere per l'Oscar grazie al regista napoletano Paolo Sorrentino: La grande bellezza, ritratto grottesco e decadente dei salotti mondani di una Roma notturna ed onirica, vista attraverso lo sguardo disincantato del giornalista Jep Gambardella (un magistrale Toni Servillo), ha ricevuto infatti la nomination all'Oscar come miglior film straniero, e rischia seriamente di portarsi a casa la prestigiosa statuetta. Sorrentino, infatti, ha già vinto il Golden Globe nella medesima categoria, e i pronostici lo danno in netto vantaggio sugli altri candidati; da non sottovalutare, tuttavia, la concorrenza de Il sospetto di Thomas Vinterberg (Danimarca) e del potenziale spoiler di quest'anno, ovvero Alabama Monroe - Una storia d'amore di Felix Van Groeningen (Belgio).


In realtà, a dispetto dell'ultimo, sfortunato periodo, il rapporto fra il cinema italiano e gli Oscar è sempre stato contrassegnato dalla profonda ammirazione mostrata dai membri dell'Academy nei confronti dei grandi autori del nostro cinema. Basti pensare che l'Italia ha collezionato in tutto dodici statuette per il miglior film straniero, benché due di questi premi - nel 1947 per Sciuscià e nel 1949 per Ladri di biciclette, entrambi di Vittorio De Sica - fossero Oscar "speciali", precedenti all'istituzione ufficiale della categoria. Dal 1956, l'anno in cui fu introdotta a pieno regime la cinquina per il miglior film straniero, l'Italia ha ricevuto dieci premi Oscar, un record assoluto, ed è attualmente al secondo posto per il numero di film candidati, ben ventinove (al primo posto la Francia, con trentasei nomination e nove titoli premiati). In attesa di sapere se La grande bellezza sarà l'undicesima pellicola italiana a trionfare nella cinquina riservata ai film in lingua straniera, approfittiamo dell'occasione per ricordare le dieci opere che, a partire dal 1956, hanno costituito un motivo d'orgoglio per il cinema italiano sul leggendario palco degli Oscar.

1956: La strada

Il "colpo di fulmine" fra l'Italia e gli Oscar è scattato fin dalla prima edizione degli Academy Award in cui era presente la categoria dei film stranieri: a vincere, infatti, fu La strada di Federico Fellini, realizzato nel 1954 - alla Mostra del Cinema di Venezia era stato premiato con il Leone d'Argento - ma presentato al pubblico americano solo due anni più tardi (e candidato anche per la sceneggiatura). A commuovere i membri dell'Academy fu la narrazione, per certi versi ancora legata ai canoni del neorealismo (ma già con aperture verso una direzione differente), del turbolento rapporto fra Zampanò, un saltimbanco rude e violento, impersonato dall'attore Anthony Quinn, e la sua giovane ed ingenua compagna di viaggio, Gelsomina, che ha il volto delicato di Giulietta Masina, storica partner di Fellini nel lavoro e nella vita privata. Nonostante la sua ricezione contrastata, La strada è stato consacrato con il tempo come uno dei massimi capolavori del cinema italiano.

1957: Le notti di Cabiria
Appena un anno dopo il trionfo de La strada, Federico Fellini fu richiamato sul palco degli Oscar grazie al suo film successivo, Le notti di Cabiria. Nato anch'esso dalla collaborazione tra Fellini e i suoi co-sceneggiatori Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, Le notti di Cabiria segnò la definitiva consacrazione di una strepitosa Giulietta Masina, che ottenne il premio come miglior attrice al Festival di Cannes 1957 grazie al ruolo di Cabiria, giovane ed improbabile prostituta dal carattere ingenuo, che cede alle lusinghe di un divo del cinema, Alberto Lazzari (Amedeo Nazzari), e per amore è pronta a sacrificare anche quel poco che possiede. Un personaggio tenero e indimenticabile, che nel 1969 ha ispirato anche un musical di Bob Fosse, Sweet Charity, interpretato da Shirley MacLaine. Nel frattempo, nel 1960 Fellini realizzò il suo cult in assoluto più celebre, La dolce vita, che però a sorpresa non venne selezionato dall'Italia come suo rappresentante agli Oscar (gli fu preferito infatti Kapò di Gillo Pontecorvo); in compenso, l'anno seguente La dolce vita ottenne quattro nomination, inclusa la prima candidatura di Fellini come miglior regista, e si aggiudicò la statuetta per i costumi.

1963: 8½

Dopo aver scritto un capitolo fondamentale della storia del cinema con La dolce vita, accolto da un enorme successo, nel 1963 Federico Fellini riportò una storica terza vittoria agli Oscar con l'altro inarrivabile capolavoro della sua filmografia: , geniale e dissacrante autoritratto del mitico regista. Accolto dall'entusiasmo della critica internazionale, ricevette un totale di cinque nomination (fra cui quella per la miglior regia) e si portò a casa due premi Oscar: per il miglior film straniero (in lizza quell'anno c'era anche Il coltello nell'acqua, folgorante esordio di Roman Polanski) e per i migliori costumi. Opera onirica e visionaria, caratterizzata da una sorprendente fantasia stilistica e narrativa e da una mordace autoironia, il film è incentrato sugli incontri, le fantasie e le angosce di Guido Anselmi (Marcello Mastroianni), un regista in crisi creativa, e sul conflittuale rapporto con le donne della sua vita (impersonate da attrici quali Anouk Aimée, Claudia Cardinale, Sandra Milo e Rossella Falk). Ritenuto uno dei più importanti film di sempre, costituirà un modello imprescindibile per molti registi successivi, fra cui Bob Fosse (All That Jazz - Lo spettacolo continua) e Woody Allen (Stardust Memories), fino ad arrivare al remake in chiave musicale diretto da Rob Marshall nel 2009, Nine, con Daniel Day-Lewis.

1964: Ieri, oggi, domani
Non pago dei due Oscar speciali ottenuti negli anni Quaranta per due classici del neorealismo, Sciuscià e Ladri di biciclette, nel 1964 il regista Vittorio De Sica conquistò il suo terzo Oscar (ma il primo "competitivo") grazie a Ieri, oggi, domani, uno dei punti d'arrivo del filone della commedia all'italiana, nonché fra i più apprezzati all'estero. Premiato come miglior film straniero a scapito del più sofisticato e poetico Les parapluies de Cherbourg del francese Jacques Demy, Ieri, oggi, domani riunisce le due star italiane più amate al mondo: Marcello Mastroianni, reduce dai trionfi felliniani e candidato all'Oscar nel 1962 grazie a Divorzio all'italiana di Pietro Germi, e Sophia Loren, premiata con l'Oscar come miglior attrice nel 1961 per La ciociara, sempre per la regia di De Sica (fu il primo caso di un interprete, uomo o donna, premiato per una performance in lingua non inglese). Il film è suddiviso in tre episodi ambientati a Napoli, Roma e Milano, tutti con al centro la coppia Mastroianni / Loren, per la firma di autori quali Eduardo De Filippo, Alberto Moravia e Cesare Zavattini. La famosissima scena dello spogliarello della Loren sarà ripresa nel 1994 dal grande Robert Altman in un'ironica sequenza del film Prêt-à-Porter, con Mastroianni e la Loren di nuovo insieme trent'anni dopo. Nel frattempo, nel 1965 De Sica tornò in competizione agli Oscar con un'altra commedia interpretata dai due divi, Matrimonio all'italiana, che l'anno precedente era valsa alla nostra Sophia anche una seconda nomination come miglior attrice.

1970: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Nel 1970, ad aggiudicarsi l'Oscar come miglior film straniero fu uno dei massimi e più formidabili esempi del cinema di denuncia sociale del nostro paese: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, diretto da Elio Petri e candidato anche per la sceneggiatura scritta da Petri e Ugo Pirro. Già vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, il capolavoro di Petri vede protagonista uno straordinario Gian Maria Volonté nel ruolo di un personaggio senza nome, ispettore capo della squadra omicidi di Roma, che si rende colpevole del brutale omicidio della propria amante, Augusta Terzi (Florinda Bolkan). Convinto di rappresentare la suprema incarnazione del Potere, il protagonista non esiterà a lasciare volutamente vari indizi che ricollegano le indagini a lui stesso, consapevole del fatto che nessuno potrà arrivare a mettere in discussione l'autorità di un cittadino incaricato di amministrare la giustizia. Ferocemente polemico nella sua invettiva contro il "lato oscuro" delle istituzioni, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto rimane uno dei più grandi film italiani degli anni Settanta.

1971: Il giardino dei Finzi-Contini
Nel 1971, Vittorio De Sica è diventato il primo regista ad aver collezionato ben quattro Oscar per il miglior film straniero grazie alla penultima pellicola della sua vasta produzione, Il giardino dei Finzi Contini (candidato pure per la sceneggiatura). Premiato anche con l'Orso d'Oro al Festival di Berlino, Il giardino dei Finzi-Contini è la trasposizione dell'omonimo capolavoro letterario di Giorgio Bassani, di ispirazione parzialmente autobiografica. Ambientato nella città di Ferrara alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, il film racconta la fascinazione del protagonista, Giorgio (Lino Capolicchio), nei confronti di una ricca famiglia ebraica, i Finzi-Contini, e in particolare il suo rapporto con i fratelli Alberto (Helmut Berger) e Micol (Dominique Sanda): un legame di amicizia e di amore destinato ad essere bruscamente spezzato con l'applicazione delle leggi razziali e l'inizio delle deportazioni. L'Academy, da sempre molto sensibile rispetto ai drammi storici e al tema dell'Olocausto, ricompensò il film di De Sica al posto del candidato svedese, Karl e Kristina di Jan Troell, nonostante la pubblica presa di distanza dello stesso Bassani, che non apprezzò la riduzione operata da De Sica.

1974: Amarcord

Dopo le mancate nomination per Fellini - Satyricon (che in compenso gli valse, nel 1970, una candidatura all'Oscar per la miglior regia) e per l'affresco grottesco di Roma, nel 1974 Federico Fellini riuscì nell'impresa di conquistare il suo quarto Oscar come miglior film straniero (eguagliando così il record di De Sica) grazie al suo ennesimo capolavoro, Amarcord: una rievocazione degli anni dell'adolescenza, in parte fiabesca e nostalgica, ma percorsa in filigrana da una mordace critica nei confronti dell'Italia mediocre e provinciale del ventennio fascista. Poetico, barocco, dissacrante e assolutamente "felliniano", ricchissimo di episodi suggestivi entrati nell'immaginario di ogni cinefilo (come non ricordare l'apparizione notturna del transatlantico Rex?) e accompagnato da una delle più belle colonne sonore di Nino Rota, Amarcord avrebbe bissato l'anno successivo, quando si aggiudicò anche le nomination per regia e sceneggiatura; mentre Fellini, pochi mesi prima della sua scomparsa, nel 1993, sarà insignito perfino del premio Oscar alla carriera. Dopo il trionfo di Amarcord, l'Italia mise a segno altre sette candidature consecutive nella categoria per il miglior film straniero, ma senza mai vincere: arrivarono a un passo dalla statuetta titoli come Profumo di donna di Dino Risi, Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmüller (che nel 1976 diventò la prima donna candidata all'Oscar per la miglior regia) e Una giornata particolare di Ettore Scola.

1989: Nuovo Cinema Paradiso

A quindici anni di distanza da Amarcord, e due anni dopo la valanga di Oscar per L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci (una co-produzione internazionale in lingua inglese), nel 1989 l'Italia tornò a prevalere nella categoria per il miglior film straniero con Nuovo Cinema Paradiso, film-rivelazione del regista siciliano Giuseppe Tornatore, che si rivelò un clamoroso successo di critica e di pubblico in tutto il mondo, aggiudicandosi anche il Golden Globe, cinque BAFTA Award e il Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes. Omaggio nostalgico alla magia del cinema, carico di partecipazione e di malinconia, Nuovo Cinema Paradiso racconta il ritorno di un affermato regista, Salvatore Di Vita (Jacques Perrin), nei luoghi della propria infanzia, in un piccolo paesino della Sicilia, e rievoca i ricordi di quando, da bambino, Salvatore aveva stretto amicizia con Alfredo (Philippe Noiret), il proiezionista del "Cinema Paradiso". Tornatore sarebbe tornato a competere agli Oscar nel 1995 con L'uomo delle stelle.

1991: Mediterraneo
Fra tutti i film italiani premiati con l'Oscar, il premio più inatteso e sorprendente è stato indubbiamente quello assegnato nel 1991 a Mediterraneo di Gabriele Salvatores, a discapito dell'acclamato capolavoro in concorso quello stesso anno per la Cina, il ben più meritevole Lanterne rosse di Zhang Yimou. Ambientata nell'arco di quasi tre anni, fra il 1941 e il 1943, in una piccola isola greca del Mar Egeo, la commedia di Salvatores ha per protagonisti otto soldati italiani, inviati sul luogo per costituire un presidio militare, che arrivano a stringere un'inaspettata amicizia con gli abitanti dell'isola, continuando a vivere con serenità e spensieratezza fino all'armistizio. Al di là dell'Oscar e della fortunata distribuzione targata Miramax, Mediterraneo non sembra tuttavia aver lasciato un'impronta significativa nel cinema internazionale (mentre Salvatores, nel 2003, ha visto il suo Io non ho paura snobbato dalla cinquina dell'Academy).

1998: La vita è bella

L'unica pellicola italiana ad aver mai ricevuto la nomination all'Oscar come miglior film dell'anno è stata La vita è bella, diretto e interpretato dal prodigioso comico toscano Roberto Benigni su una sceneggiatura di Vincenzo Cerami. Vincitore del Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes 1998, La vita è bella commosse il pubblico di tutto il mondo grazie alla storia - al contempo irresistibile e tragica - di Guido Orefice, cameriere ebreo in un hotel di lusso di Arezzo, che durante la Seconda Guerra Mondiale viene deportato dai tedeschi in un campo di concentramento insieme all'adorata moglie Dora (Nicoletta Braschi) e al figlioletto Giosuè (Giorgio Cantarini); ma pur di non compromettere la fiducia di suo figlio nei confronti della bellezza della vita umana, Guido deciderà di "mascherare" l'orribile realtà dei lager attraverso gli strumenti della fantasia e del gioco. Accolto da recensioni entusiastiche, ma pure da numerose contestazioni per il suo inedito approccio al dramma dell'Olocausto (tanto da essere paragonato a Il grande dittatore di Charles Chaplin), il film di Benigni si rivelò un successo fenomenale, con 230 milioni di dollari d'incasso al box-office internazionale e quasi cinquanta milioni di spettatori. All'edizione degli Academy Award del 1998, La vita è bella si aggiudicò un record di sette nomination e tre premi Oscar: miglior film straniero, miglior colonna sonora per Nicola Piovani e miglior attore per Roberto Benigni, che diventò così il secondo interprete dopo Sophia Loren ad essere stato premiato per un ruolo in lingua italiana. Appena tre anni prima, nel 1995, nella stessa categoria era stato candidato anche lo storico amico e partner di set di Benigni, Massimo Troisi, grazie al film di Michael Radford Il postino, uscito pochi mesi dopo la prematura scomparsa del suo indimenticato protagonista.