La sera del 24 febbraio, al Dolby Theatre di Los Angeles, avrà luogo la cerimonia degli Oscar 2019. Una serata che, stando alle premesse, potrebbe passare alla storia... per i motivi sbagliati. In tempi recenti, in effetti, mai come quest'anno la "notte delle stelle" era stata preceduta da una tale quantità di dubbi e di polemiche, provenienti soprattutto da giornalisti del settore e dagli spettatori più affezionati. Perché, a costo di sembrare allarmisti (e nella speranza di essere smentiti dai fatti), la novantunesima edizione degli Academy Award potrebbe sfociare in una delle cerimonie più bizzarre e deludenti di sempre, anche a causa di una serie di cambiamenti presunti, annunciati o, in alcuni casi, smentiti dopo la gaffe di turno.
È pur vero che ciò che più conta, ovvero i premi in sé, potrebbero regalarci delle splendide soddisfazioni: dalla prima vittoria dell'Oscar come miglior film per una (meravigliosa) pellicola in lingua non inglese alla prima, agognata statuetta per la veterana Glenn Close. Ed è anche vero che l'ipotesi di una valanga di trofei per il sopravvalutatissimo Bohemian Rhapsody appare, per fortuna, abbastanza improbabile. Ciò nonostante questa edizione degli Academy Award, la seconda sotto la presidenza di John Bailey, finora si è rivelata (mediaticamente parlando) un bagno di sangue. Ripercorriamo dunque le varie fasi di questa cronaca di un disastro annunciato, augurandoci che ci sia ancora modo, tempo e volontà per sottrarsi alla 'catastrofe'...
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Il flop dell'Oscar al film popolare
È stata la "notizia bomba" dello scorso 8 agosto: l'introduzione, a partire dagli Oscar 2019, di una nuova, ambigua categoria denominata Outstanding Achievement in Popular Film, senza ulteriori informazioni al riguardo. Un annuncio che ha suscitato immediatamente dibattiti accesi e una valanga di critiche, in particolare da parte degli stessi membri dell'Academy, molti dei quali hanno indicato l'espressione film popolare come dispregiativa nei confronti dei titoli che solitamente vengono candidati all'Oscar. Fra contestazioni e prese in giro nei confronti dell'Academy, accusata di aver creato questo premio unicamente ai fini dell'auditel, e una "opposizione" capitanata nientemeno che da Steven Spielberg (il re dei "film popolari", fra l'altro), John Bailey e il suo team sono stati costretti a fare marcia indietro dopo appena un mese, annullando la nuova categoria. Una categoria non solo profondamente discutibile nella sua essenza, ma pure francamente inutile alla luce dei candidati di quest'anno: basti pensare che soltanto Black Panther, Bohemian Rhapsody e A Star Is Born hanno incassato complessivamente oltre due miliardi e mezzo di dollari.
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Il disastro Kevin Hart e il conduttore fantasma
Il 4 dicembre, l'Academy rende noto che a condurre la cerimonia degli Oscar 2019 sarebbe stato il comico e attore Kevin Hart. Tempo qualche ora e su internet esplodono le prime contestazioni contro questa scelta: fra il 2010 e il 2011 Hart aveva postato infatti diversi tweet a carattere omofobo. Uno su tutti, quello in cui Kevin Hart dichiarava che avrebbe spaccato una casa delle bambole in testa al proprio figlio se mai lo avesse sorpreso a giocarci. Di fronte a un inesorabile boomerang, il 6 dicembre Hart si tira indietro. Per varie settimane si riaprono le scommesse sui possibili conduttori, ma il "pasticciaccio brutto" non finisce qui: il 3 gennaio Kevin Hart, ospite dello show di Ellen DeGeneres, afferma di averci ripensato, mentre la DeGeneres rivela che l'Academy sarebbe pronta a riaccoglierlo come conduttore.
Seguono giorni di ulteriori polemiche, dovute anche all'atteggiamento vagamente arrogante assunto dal comico, fin quando l'8 gennaio l'ipotesi di Hart come conduttore tramonta una volta per tutte per voce del diretto interessato. Passa un altro mese di speculazioni, fin quando l'Academy non dà la conferma ufficiale: la cerimonia degli Oscar 2019 non avrà un conduttore, annullando così il consueto monologo d'apertura (una delle tradizioni degli Oscar). Un'opzione rischiosissima, i cui esiti potranno essere valutati al termine di questa stravagante "notte delle stelle".
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Due canzoni, anzi cinque
Nella cerimonia di tre anni fa, una certa indignazione era stata suscitata dall'esclusione di due dei cinque brani in lizza per l'Oscar alla miglior canzone dall'elenco delle performance musicali della serata. Evidentemente, l'Academy non ha imparato nulla dai propri errori: il mese scorso, ecco dunque trapelare la notizia che a essere cantate sul palco del Dolby Theatre sarebbero state soltanto All the Stars e Shallow, con buona pace degli altri tre titoli della cinquina. Nuova ondata di proteste, incluso un tweet polemico di Lin-Manuel Miranda (star de Il ritorno di Mary Poppins) e, stando alle indiscrezioni, un aut aut di Lady Gaga, che avrebbe minacciato di non esibirsi se non fosse stato dato spazio anche agli altri brani candidati. L'Academy stavolta ci "mette una pezza", tornando sui propri passi e dichiarando che tutte le cinque canzoni avranno il loro momento durante la serata... un momento, badate bene, della durata di appena novanta secondi a canzone!
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Gary Oldman e Frances McDormand? No, grazie
Un'altra delle tradizioni storiche delle notti degli Oscar consiste nei presentatori delle statuette per gli interpreti, consegnate da tempo immemore dai quattro vincitori dell'edizione precedente. A questo proposito, il 14 gennaio scorso era scoppiata un'autentica faida: in un comunicato infuocato lo Screen Actors Guild aveva accusato l'Academy di intimidazioni nei confronti di numerosi attori, esortati a non partecipare ad altre cerimonie di premiazione se volevano essere invitati a presentare un premio anche agli Oscar. Una figura a dir poco pessima, per l'Academy, intensificata nei giorni scorsi da un sospetto sempre più prossimo a diventare una certezza: i quattro attori premiati l'anno scorso non saranno richiamati per il consueto "passaggio di testimone" con i vincitori di quest'anno.
Il motivo? A quanto pare, l'Academy vorrebbe ingaggiare presentatori più 'famosi'. Con buona pace di Gary Oldman e Frances McDormand, non proprio due novellini del grande schermo (entrambi sono ritenuti fra i massimi talenti della loro generazione); di Sam Rockwell, che nel frattempo è in lizza anche quest'anno per Vice - L'uomo nell'ombra; e di Allison Janney, superstar della TV e premio Oscar per Tonya, la quale lo scorso weekend, sul suo profilo Instagram, ha dichiarato: "Sembra che quest'anno non onoreranno la tradizione. Mi spezza il cuore". L'Academy avrà l'umiltà di fare marcia indietro pure in questa occasione o andrà avanti per la sua strada, con buona pace di Allison Janney?
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#PresentAll24: salvate gli Oscar 2019
Passiamo infine a un ultimo rischio in vista del 24 febbraio: un rischio ventilato fin dall'8 agosto, quando John Bailey aveva dichiarato che, per motivi di auditel, la cerimonia del 2019 non sarebbe durata più di tre ore. Fermo restando che, per gran parte dei cinefili del pianeta, la notte degli Oscar rimane un appuntamento appassionante nella sua totalità, e che volendo si potrebbero 'sfrondare' molte parentesi francamente inutili (si vedano le agghiaccianti gag dei turisti portati sul palco a propria insaputa), la soluzione disposta dall'Academy è quanto di più assurdo e irrispettoso si potesse concepire: tagliare dalla diretta della cerimonia la premiazione di alcune categorie tecniche, relegate nello spazio degli spot pubblicitari (senza quindi mostrare al pubblico i vincitori).
Su Twitter, nelle ultime ore, si sta diffondendo l'hashtag #PresentAll24, un segnale di dissenso contro una decisione che costituisce una negazione dello spirito stesso degli Oscar: celebrare il cinema nella sua interezza, inclusi quegli aspetti più tecnici e 'artigianali', quelli che generalmente rimangono all'ombra o confinati nel dietro le quinte (e che ai Golden Globe, per esempio, non sono affatto considerati). Cancellare dalla cerimonia direttori della fotografia, scenografi, costumisti, autori di documentari o di cortometraggi (non sappiamo ancora quali saranno le categorie 'censurate'), sacrificandoli sull'altare di una presunta brevità, significherebbe non solo disonorare una tradizione ormai quasi secolare, ma snaturare il senso stesso dei premi Oscar e di ciò che rappresentano, al di là del glamour e delle star. E mette tristezza pensare che proprio chi è alla guida dell'Academy non sia in grado di rendersene conto... almeno fino a prova contraria.