Si è conclusa in modo alquanto inaspettato l'edizione 2017 della notte degli Oscar, tenutasi come sempre al Dolby Theatre a Hollywood e condotta quest'anno dal comico Jimmy Kimmel, uno dei protagonisti del late night catodico statunitense. Un'edizione all'insegna della solidarietà nei confronti di ogni razza, orientamento sessuale e credo religioso, in netta contrapposizione al clima politico attuale negli USA con Donald Trump al potere. Un'edizione che, come da tradizione, ci ha regalato tante star sul palcoscenico, delle gag simpatiche, dei discorsi impegnati da parte dei vincitori e qualche sorpresa, anche se in quest'ultimo caso la situazione ha assunto connotazioni vicine al grottesco. Ecco il nostro bilancio della serata, tra alti e bassi.
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Warren Beatty e i sogni infranti
Partiamo proprio dalla fine e dal momento che presumibilmente sarà ricordato da tutti anche a distanza di decenni: la consegna dell'ultima statuetta, quella per il miglior film. Sul palco arrivano i presentatori Warren Beatty e Faye Dunaway, riuniti per omaggiare Gangster Story in occasione del cinquantenario. Lui apre la busta contenente il nome dei vincitori (l'Oscar più importante lo ritirano, ricordiamolo, i produttori del film), ed è visibilmente stupito dal contenuto. Si rivolge quindi alla sua accompagnatrice, che legge il titolo del lungometraggio premiato: La La Land, il musical di Damien Chazelle che ha già fatto incetta di premi nel corso della serata e che con quest'ultimo riconoscimento si porta a casa un totale di sette Oscar su quattordici nomination. Peccato che, proprio mentre uno dei produttori stia procedendo con i consueti ringraziamenti, venga fatto presente - e il povero Beatty è costretto a sottolineare che non si tratta di uno scherzo - che c'è stato un errore: il vero vincitore nella categoria principale è Moonlight, il dramma black di Barry Jenkins già premiato per la performance di Mahershala Ali e per la sceneggiatura non originale.
Lo stesso Beatty ha spiegato che la sua reazione iniziale era dovuta alla presenza del nome di Emma Stone, vincitrice della statuetta per la migliore protagonista femminile, nella busta che teoricamente era legata al miglior film. Nelle ore successive è emerso che l'attore-regista avrebbe ricevuto la busta sbagliata da uno dei due rappresentanti di PricewaterhouseCoopers, la società che si occupa del conteggio dei voti. Ciascuno dei due - gli unici a conoscere i nomi dei vincitori prima che vengano annunciati - ha una copia delle ventiquattro buste e si posiziona ad un lato del palco, per far sì che il presentatore di turno si ritrovi con la busta in mano a prescindere dal lato da cui entra. Spetta anche a loro il compito di intervenire in caso venga detto il nome sbagliato (un dettaglio utile per sfatare teorie del complotto secondo le quali alcune vittorie passate fossero fasulle), un evento che purtroppo si è verificato nell'imbarazzo generale di tutti i presenti (Kimmel ha cercato di buttarla sul ridere "incolpando" il comico Steve Harvey, protagonista di una gaffe simile in occasione dell'edizione 2015 di Miss Universo). Ovviamente il tutto è già diventato virale, tra battute su altri film potenzialmente premiati (Batman v Superman: Dawn of Justice), allusioni alle ultime elezioni presidenziali americane e, dulcis in fundo, un tweet di M. Night Shyamalan che ha affermato di essere l'artefice di questo finale a sorpresa.
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OscarsSoBlack
Già in sede di nomination era emerso un chiaro tentativo da parte dell'Academy - per quanto non esista un vero e proprio coordinamento tra i vari reparti, ognuno dei quali è chiamato a votare sulle candidature di loro competenza - di farsi perdonare la controversia nota come #OscarsSoWhite, con diversi candidati di colore, soprattutto fra gli attori. E non è difficile pensare che un certo desiderio di accontentare i sostenitori del politically correct si celi dietro ad un paio di premi, in primis quelli assegnati a Moonlight. Intendiamoci, il film di Jenkins è tutt'altro che trascurabile, ma c'è una leggera puzza di politica dietro a quella statuetta per il miglior film che ha frenato la scalata di La La Land, trattandosi di un'opera che parla di povertà, della comunità afroamericana e di omosessualità. Discutibile anche il riconoscimento per la sceneggiatura non originale, più che altro per il cavillo tecnico che lo ha portato ad essere in quella categoria: il film è sì tratto da un testo teatrale, ma siccome quest'ultimo non è mai stato pubblicato o portato sul palcoscenico la sceneggiatura andrebbe considerata originale, secondo il regolamento della stessa Academy (vedi il caso di Memento nel 2001) e di altre organizzazioni come la Writers Guild of America, che ha candidato Moonlight nella categoria "giusta".
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Meno contestabile il riconoscimento a Mahershala Ali, sebbene nella categoria degli attori non protagonisti ci fossero anche due signori del calibro di Michael Shannon (Animali notturni) e Jeff Bridges (Hell or High Water). E sempre nel sottoinsieme dei comprimari si è verificata una delle vittorie annunciate - ed acclamate - della serata, quella di Viola Davis che, alla terza candidatura, ha finalmente conquistato la statuetta grazie a Barriere, opera terza di Denzel Washington (candidato come attore e sconfitto dal Casey Affleck di Manchester by the Sea). La sua vittoria è particolarmente significativa poiché è la prima donna di colore ad aver ricevuto i tre principali premi per la recitazione in America: l'Oscar, l'Emmy e il Tony (anche Whoopi Goldberg li ha vinti tutti e tre, ma il suo Tony le è stato dato in veste di produttrice, non come interprete). Infine, nella categoria dei documentari ha trionfato O.J.: Made in America, ritratto epico - in termini di durata - del processo che ancora oggi è un evento controverso della Storia statunitense.
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Viva l'Italia?
La vittoria di O.J.: Made in America ha comportato la sconfitta di Fuocoammare, ma l'Italia non è rimasta a bocca asciutta: due dei tre truccatori di Suicide Squad sono infatti di origini italiche, e hanno approfittato del premio per omaggiare tutti gli immigrati, un tema ricorrente nel corso della serata che ha raggiunto l'apice con il trionfo de Il cliente di Asghar Farhadi, il cui discorso di ringraziamento è stato letto da una portavoce poiché il cineasta iraniano, originario di una nazione colpita dalle recenti iniziative anti-immigrazione di Trump, ha preferito non recarsi a Los Angeles per principio. Si è espresso apertamente contro le idee del presidente americano anche Gael García Bernal, il quale ha affermato: "In quanto essere umano, sono contrario ad ogni tipo di muro che vorrebbe separarci." Persino nella categoria dell'animazione si è riscontrata una statuetta abbastanza impegnata, poiché il disneyano Zootropolis contiene un messaggio abbastanza palese sulla tolleranza.
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La La Lost?
Pur essendosi portato a casa il maggior numero di statuette in assoluto, sei in totale (miglior regia, miglior attrice protagonista, miglior fotografia, miglior scenografia, miglior colonna sonora e miglior canzone), il film di Chazelle - che all'età di 32 anni è il più giovane in assoluto ad aver vinto il premio per la regia - è per certi versi uscito sconfitto dalla serata, per via del numero di nomination (quattordici, a pari merito con Titanic ed Eva contro Eva) e del colpo di scena finale di cui sopra. È altrettanto vero, però, che La La Land possa essere considerato il vincitore morale di quest'anno, come dimostra anche l'entusiasmo del pubblico in sala quando è stato erroneamente annunciato che aveva vinto anche la statuetta più ambita. Molto probabilmente il musical di Chazelle sarà ricordato con maggiore affetto negli anni a venire, e la sua è comunque una vittoria anche per la vetrina che lo ha lanciato, ossia la Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia. La La Land è infatti il quarto film consecutivo (e il terzo ad essere passato in apertura di kermesse) ad aver conquistato il riconoscimento principale e/o il premio per la regia dopo aver debuttato al Lido, dopo Gravity, Birdman e Il caso Spotlight. La Mostra, che proprio grazie a queste vittorie può vantare un programma sempre più ricco in termini di produzioni americane, può esibire un certo orgoglio "paterno" non solo per i sei Oscar di La La Land, ma anche per i riconoscimenti ad Arrival (miglior montaggio sonoro) e La battaglia di Hacksaw Ridge (miglior sonoro, con la tanto agognata vittoria di Kevin O'Connell dopo venti nomination andate a vuoto, e miglior montaggio).
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#KimmelSoFunny
Chiudiamo con qualche considerazione sul conduttore, già reclutato per gli Emmy lo scorso autunno. Per chi conosce ed apprezza il suo talk show la serata ha certamente offerto diversi momenti esilaranti, tra le inevitabili frecciatine rivolte a Matt Damon (candidato come produttore per Manchester by the Sea, che ha vinto le statuette per il protagonista maschile e per la sceneggiatura originale) e l'edizione Oscar dei Mean Tweets, con le celebrità che leggono ad alta voce le cattiverie scritte nei loro confronti su Twitter. Hanno anche strappato sorrisi trovate come i sacchetti di caramelle paracadutati all'interno del Dolby Theatre e la gag su Il re leone insieme al giovanissimo Sunny Pawar, ma nel complesso la volontà di prendere costantemente di mira Donald Trump è stato un tipico caso di montagna che ha partorito un topolino (anche se la presa in giro legata a Meryl Streep è stata piuttosto divertente). Per quanto riguarda la gaffe finale, Kimmel ha affermato scherzosamente in chiusura che probabilmente questa sarò la sua unica esperienza con gli Academy Awards. E a meno che non prepari delle battute meno prevedibili non possiamo dire che sarebbe una gran perdita.