Oppenheimer, il film di Christopher Nolan, è arrivato finalmente nei cinema italiani dal 23 agosto, più di un mese dopo la sua uscita americana. Dopo un'attesa che per molti sarà stata lunghissima, una volta dentro la sala, il luogo dove un film come questo va visto, saremo catapultati indietro nel tempo, lungo vari decenni del XX Secolo. Ma, soprattutto - perché quello è il cuore del film - in quel periodo a cavallo tra gli anni Trenta e i Quaranta, gli anni della Seconda Guerra Mondiale. È un salto indietro nel tempo, ma anche un gioco con il tempo.
Ogni film di Nolan è sempre stato questo. Proprio in occasione di Tenet vi avevamo raccontato come Nolan, nel suo cinema, abbia sempre manipolato il tempo. Lo fa anche in Oppenheimer, anche se in maniera forse meno estrema e meno evidente che in altri film, come Memento, Inception e Dunkirk. Ma con il suo nuovo film Christopher Nolan ci mostra che per lui il cinema è sempre una questione di tempo.
La bomba atomica: una corsa contro il tempo
Il tempo scorre veloce in Oppenheimer, in tutta la parte centrale del film. Come detto, è il momento decisivo, quello in cui c'è una guerra in corso e si cerca il modo per finirla. In tutto questo periodo percepiamo la nascita della bomba atomica come una sfinente corsa contro il tempo. Nei discorsi del team di Oppenheimer, che sta lavorando con la sua squadra alla creazione di una bomba atomica, l'arma che può mettere fine alla guerra, a tutte le guerre, sentiamo continuamente il confronto con i tedeschi, che stanno lavorando a un'arma simile. E poi sentiamo anche il confronto con i russi. E così ascoltiamo spesso quelle frasi ansiogene. "Siamo in ritardo di 12 mesi. Siamo in ritardo di 18 mesi. Siamo in ritardo di 2 anni". Quella corsa contro il tempo, quell'ansia di superare i rivali era sì il bisogno di porre fine alla guerra, ma anche una sorta di vanità, di far vedere chi era più bravo tra i fisici tedeschi e quelli americani. Così quella corsa contro il tempo, ormai lanciata, ha inciso probabilmente anche nella decisione di mostrare al mondo il risultato di quella gara, il fatto di essere arrivati primi, anche se i rivali principali, i tedeschi, si erano già arresi.
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La storia di Oppenheimer: tre piani temporali diversi
Ma Oppenheimer è questione di tempo anche a livello di scrittura e quindi di montaggio, come è nella tradizione di Nolan. Certo, quando vedrete Oppenheimer e ripenserete a anche a Inception, Tenet, Interstellar o Memento, vi apparirà un film quasi lineare. Ma il gioco con il tempo è comunque presente. Nolan racconta la storia di J. Robert Oppenheimer su più piani temporali. Sono tre, e sono girati con tre stili diversi. La narrazione più lineare, che è l'asse principale del film, è quella che segue Oppenheimer dai suoi studi di gioventù in Europa, in Inghilterra e poi in Germania, fino al ritorno in America e all'incarico di dirigere il progetto Manhattan, che porterà alla creazione della bomba atomica. È il racconto principale, seguito dal suo punto di vista. Poi ci sono i momenti successivi al progetto Manhattan, che sono visti da una prospettiva esterna. Il secondo racconto è quello che ha al centro Lewis Strauss (Robert Downey Jr.), un altro dei protagonisti della politica nucleare degli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale, e in particolare sono focalizzate sull'audizione per il nulla osta di sicurezza di Oppenheimer del 1954. Il terzo piano narrativo è, ancora più tardi, l'udienza in cui Oppenheimer arriva al cospetto del senatore McCarthy, che lo accusa per le sue passate simpatie comuniste. Christopher Nolan gioca con il tempo e alterna questi tre piani narrativi lungo tutto il film. E riesce anche ad intersecarli, come quando l'amante di Robert, Joan (Florence Pugh) appare nuda, come una visione, nel momento del processo di fronte a McCarthy.
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Il bianco e nero: un salto indietro agli anni Cinquanta
Tre storyline, intersecate tra loro, girate con tre stili diversi. Il racconto dal punto di vista di Oppenheimer usa luci il più possibile naturali. Il racconto del 1954, con al centro Strauss, è in bianco e nero, mentre il terzo, quello con McCarthy, è a colori, ma su toni spenti, grigi, a sottolineare il tipo di udienza che doveva avere un carattere burocratico. Ma, visto che stiamo parlando di giocare con il tempo, è soprattutto delle scene del secondo racconto che qui ha senso parlare. Queste scene, che in gran parte si svolgono durante un'udienza pubblica, sono girate in bianco e nero. È lo stile delle riprese della tv del tempo e delle immagini fotografiche d'epoca. Così è come se - attraverso una macchina del tempo - stessimo assistendo a quelle scene attraverso la documentazione di un media dell'epoca. Anche senza la manipolazione del tempo di Dunkirk, il riavvolgimento dell'immagine di Tenet, il montaggio all'indietro di Memento, o la diversa percezione del tempo tra sogni e realtà di Inception, ancora una volta Nolan è riuscito a giocare con il tempo. E, ovviamente, anche con noi che guardiamo.