Contro ogni più rosea previsione, il live-action di One Piece (qui la nostra recensione) è un successo globale impressionante. Nei suoi primi quattro giorni d'uscita in piattaforma la trasposizione "in carne e ossa" del manga di Eiichiro Oda è schizzata in cima alla Top 10 della serie più viste su Netflix in ben 84 paesi differenti, abbattendo il precedente record di 83 detenuto da Stranger Things 4 e dalla più recente Mercoledì. Non bastasse, la critica internazionale sembra stia apprezzando l'adattamento, che su Rotten Tomatoes registra un gradimento della stampa specializzata pari all'83%, senza contare l'endorsement appassionato del pubblico - tra fan e neofiti - che raggiunge invece il 95%.
Seppure in modo non del tutto plebiscitario, si può dire che la scommessa piratesca Netflix sia stata pienamente vinta, rompendo almeno matematicamente e apparentemente quella maledizione che gravava da decenni sulle trasposizione manga to screen. Ma è davvero tutto così perfetto, ordinato e appagante nel live-action di One Piece? La verità è che per tante cose positive che funzionano la serie ne contiene molte altre che non convincono affatto, motivo per cui oggi vogliamo parlare degli elementi più convincenti di tutti e di quelli invece insufficienti che andrebbero quantomeno migliorati in futuro.
I pro
Il primo e più evidente pregio dell'adattamento è sicuramente il rispetto dell'opera originale di Eiichiro Oda. Va però spiegato quel "rispetto", appartenendo comunque la produzione a un medium differente da quello fumettistico, per giunta prodotta con scrittura e intenzioni artistiche occidentali nonostante l'anima orientale del progetto. La maggiore riverenza del live-action al manga è infatti spirituale, abbracciando con tutto se stesso la natura avventurosa, divertita, emozionante ed eccentrica della creazione del mangaka giapponese. Lo avrete letto ovunque ma è vero: One Piece di Netflix ha un cuore concettuale forte e vivace, che batte allo stesso ritmo dell'opera originale e pompa gli stessi sentimenti e la stessa identica voglia di libertà del fumetto e dell'anime. Nella stragrande maggioranza delle situazioni il rispetto si traduce poi in ossequiosa fedeltà agli stilemi dell'epopea piratesca stessa, soprattutto in termini situazionistici e narrativi, riproponendo spesso frame by frame le stesse identiche situazioni viste precedentemente su carta e in chiave animata. Il discorso qualitativo procede così in modo organico e fisiologico verso un altro riuscito elemento: la caratterizzazione dei personaggi e di conseguenza le interpretazioni del cast. Inaki Godoy restituisce con grande dedizione - seppure un pizzico in overacting - l'esuberanza, la convinzione e l'ingenua vivacità di Luffy, costruendo un protagonista effettiva incarnazione del Cappello di Paglia fumettistico, meno elasticizzato nelle sue componenti concettuali esasperate ma duttile il giusto per adeguarsi al contesto mediatico in gioco.
Insieme a lui i restanti membri della ciurma e più di un nemico o comparsa, riflettendo ad esempio sul Garp di Vincent Regan (non fatevi ingannare dalla sua apparente seriosità) o sul Buggy di Jeff Ward, mix centrato tra la personalità tipica del Clown pirata del fumetto e qualche sensibilità più vicina al Joker DC. Ricordate: è una serie tv live-action di stampo americaneggiante, non un manga o un anime ideato con i classici topoi giapponesi, per cui risponde a criteri differenti. Anzi, in alcune occasioni è proprio questa ricercata volontà d'adattamento alla forma e al concetto delle singole micro-saghe a dare valore aggiunto all'opera. Se guardiamo ad esempio alla storia di Kuro e di Usop, per quanto diverso nell'azione, il risultato finale rispetta l'anima contenutistica e tematica del racconto, sfruttando addirittura i generi (miscellanea tra thriller e horror) per amplificare l'atmosfera misteriosa e inquietante di quel particolare arco narrativo. Riduce, taglia e rifinisce senza mai tradire il cuore della storia, e come qui in molte altre occasioni (ma in alcune fa il giro e si trasforma in difetto). Sono tutti aspetti positivi verticalizzati e poggiati l'uno sull'altro, e tra questi ci sono anche i combattimenti, specie quelli che vedono Zoro (Mackenyu) protagonista.
La sua conoscenza delle spade e dei combattimenti all'arma bianca - nonché di svariate arti marziali - lo rendono interprete d'eccezione per il primo membro ufficiale della Ciurma di Cappello di Paglia. Le sue doti fisiche e la conoscenza degli stunt lo aiutano a rendere fluido, appagante e credibile ogni scontro, e infatti con lui su schermo e in azione la serie guadagna più di un punto in termini d'epicità, senza contare il grande supporto di una colonna sonora picaresca e coinvolgente che aiuta non poco la riuscita complessiva di One Piece. Pure il Sanji di Taz Skyler se la cava meravigliosamente bene (la sequenza dove nomina le sue mosse è davvero azzeccata), anche se per questioni narrative lo vediamo lottare davvero molto poco nella Saga del Mare Orientale. E per quanto riguarda Luffy e i suoi poteri di gomma, invece? Ebbene, questa è purtroppo la prima insufficienza della serie di cui parleremo.
One Piece, geopolitica e formazioni di potere nella mastodontica opera di Eiichiro Oda
I contro
Come sospettabile, il live-action di One Piece non riesce a rendere degna giustizia ai poteri di Luffy. Questo porta a tre gravi conseguenze: la sua forza e la sua fiducia in se stesso non sono mai giustificate nell'azione vera e propria; il suo screen time in combattimento è drasticamente ridotto; il rendering delle abilità gom gom è fin troppo artificioso per essere credibile e accettabile. Badate bene: One Piece è la storia di Luffy e del suo modo d'intendere la pirateria come libertà, di affrontare il mondo lottando sempre per la giustizia un power up dopo l'altro, sempre più forte, sempre più convinto. Ed è così dall'inizio. Per quanto Godoy s'impegni a incarnare questo aspetto cardinale della personalità luffyana, la pratica effettistica contraddice il risultato interpretativo, ed è abbastanza ingiustificabile considerando la portata centrale del Gom Gom e il mastodontico investimento di 17 milioni ad episodio. La colpa è del reparto VFX o di una scelta estetica mirata ma opinabile? Comprensibile un dirottamento importante del budget tra set pieces e trucco, eppure lascia sbigottiti lo scarto visivo tra le resa dei poteri di Buggy - ad esempio - e quelli di Luffy. Preoccupa in verità anche per il futuro, considerando che dall'inizio del Paradiso della Rotta Maggiore gli utilizzatori dei Frutti del Diavolo aumenteranno in modo esponenziale e i soldi no, almeno non quanto dovrebbero.
I problemi si sarebbero anche potuti evitare con delle regie virtuose e oculate, ma la direzione di Marc Jobst e dei restanti filmmaker è straziata da esigenze di rispetto estetico e concettuale targate Netflix e Tomorrow Studios, tanto da riuscire a depotenziare d'emozione ed epica una scena come la "promessa di non perdere più" di Zoro o quella tra Luffy e Nami al Coco Village. Questo è un altro terribile difetto dello show: non eguaglia mai la grandiosità emotiva o d'atmosfera del manga e dell'anime, risultandone mero appannaggio se non in molte occasioni piccola copia cheap. È vero, è sicuramente rivolto a un pubblico generalista e differente da quello dei manga o degli anime, ma ciò non toglie la presenza di questa superficiale vena d'eroismo incapace di pulsare concretamente quanto il cuore emotivo della trasposizione. Dicevamo inoltre di alcune scelte di adattamento funzionali su carta ma poco convincenti su schermo. È il caso di una buona metà della storyline del Baratie, dove a lasciare perplessi non è la volontà di conformarsi ad esigenze di medium, quanto la decisione di mostrare il superfluo ed eliminare il necessario per chiudersi poi a riccio in un'invenzione narrativa che più di altre esula dal tracciato del racconto di Oda e che più di altre, infatti, manca di giusta gravitas e struttura.
Si fa presto a unire i puntini delle insufficienze per capire che l'impossibilità di mostrare il primo grande scontro di Luffy contro un pericoloso leader pirata (Don Krieg), concepito per inanellare una dopo l'altra diverse nuove abilità Gom Gom e mostrare lo spirito guerriero e inventivo di Cappello di Paglia, dipenda da un'erosione dei fondi che ha costretto la produzione a drastici mutamenti narrativi, spesso adeguati (come dicevamo su Kuro) e altre decisamente no. Persino la fedeltà a tutti i costi risulta a volte un capro espiatorio al quale votarsi per la direzione artistica, pensando ad esempio al cappello da cane di Garp (per altro non necessario considerando le rivelazioni anticipate sul personaggio) o al costume da gatto del sottoposto di Kuro. A parte un leggero imbarazzo, queste piccolezze sono persino scusabili, se non fosse per la loro incomprensibile presenza quando invece un elemento come il naso lungo di Usop - che poteva esasperare ridicolmente il personaggio in live-action - è stato eliminato. Un paradosso traspositivo davvero singolare.