Oltre lo sguardo di Alexandra
Galina Vishnevskaya, leggendaria soprano e vedova di uno dei più grandi musicisti del secolo scorso, il cellista e direttore d'orchestra Mstislav Rostropovich, è il volto soave e l'anima materna di una Russia ferita, l'archetipo di una femminilità dolente ed empatica in questo Alexandra, presentato dal suo autore Aleksandr Sokurov alla sessantesima edizione del Festival di Cannes.
In Alexandra, la Vishnevskaya non libera la sua voce, ma regala ad una interpretazione intensa e toccante il riverbero dei suoi trascorsi operistici, da Violetta a Cherubino, ed è su questa ricca presenza che Sokurov impianta un film che ha una struttura narrativa estremamente essenziale. Alexandra è un'anziana donna che si reca in visita al giovane nipote, in servizio con l'esercito russo durante il conflitto in Cecenia. Durante il suo breve soggiorno, la donna entra in contatto con la vita dell'accampamento, e anche con alcuni abitanti del vicino villaggio, per ripartire per la Russia con una nuova consapevolezza.
Come detto, Alexandra, che non a caso dà il suo nome alla pellicola, è ad un tempo una donna semplice e umanissima e un simbolo della Madre Russia e della prospettiva femminile sul martirio e l'insensatezza della guerra. Attraverso il suo sguardo ci si rivela la dimensione personale della sua ansia di nonna che si preoccupa per il nipote, e si chiede se dorma e mangi a sufficienza. Ma questo sguardo si sposta dal ragazzo sull'intero accampamento, e quindi su centinaia di altri giovani costretti a vivere nella stessa incertezza e nelle stesse condizioni. Quando poi Alexandra visita il villaggio ceceno nei pressi del quale sorge il campo, il suo e il nostro sguardo va includere anche le conseguenze del conflitto sulla popolazione locale. L'esile ma commovente dramma familiare si trasforma così in un film dallo scoperto messaggio politico: messaggio critico non solo con l'azione militare del governo russo in Cecenia, ma in generale verso la guerra, una guerra mai mostrata nelle sue manifestazioni più lampanti (nel film non parte un solo colpo), ma rappresentata nel senso di distruzione incombente e di perdita ineludibile non solo di preziose vite umane, ma anche dei miseri possedimenti, delle case ancestrali, fino alla perdita di qualsiasi senso del futuro.
Rispetto al resto della produzione di Aleksandr Sokurov, in particolare pensando ai sontuosi film biografici e alla magnificenza visiva e tecnica di opere come Arca russa, questa pellicola potrebbe apparire come un film minore, calibrato e intimista, ma siamo comunque di fronte ad un'opera dall'enorme potenza narrativa, perfettamente coerente con la poetica del grande regista siberiano.
Movieplayer.it
4.0/5