L'atmosfera rilassata del Lucca Film Festival non ha mitigato l'animo combattivo di Oliver Stone. Il regista più politicizzato d'America è approdato in Toscana per godersi gli onori di una retrospettiva che celebra la sua ricca cinematografia e per presentare il director's cut di Alexander, pellicola a cui sembra tenere molto. Stone confessa di nutrire la speranza di non dover rispondere a domande su Trump, ma quando viene invitato a fornire un'analisi sulla situazione sociopolitica degli USA non si tira certo indietro.
"Trump sta andando nella direzione sbagliata, sull'economia, sull'immigrazione e soprattutto sul clima. È una situazione triste, ma riusciremo a sopravvivere grazie al nostro sistema di controllo. Riusciremo a rallentare la folle corsa di Trump. In politica estera si è dimostrato ignorante, duro quanto lo sarebbe stata la Clinton. Non ci resta che sperare che impari qualcosa sugli altri paesi. Ma gli Stati Uniti non sono gestiti dal presidente, state tranquilli! È la burocrazia a comandare, c'è uno stato parallelo segreto che ha la propria agenda e la porta avanti nonostante tutto. Guardate Obama, doveva essere l'eroe della pace e alla fine è diventato il presidente della guerra".
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Soldati, killer, deejay, nerd: gli eroi del pantheon di Oliver Stone
Oliver Stone ha tuonato più volte contro il sistema. Ha mostrato al mondo gli orrori del Vietnam e le responsabilità del governo americano in Platoon e Nato il quattro luglio, ha ricostruito con perizia l'omicidio Kennedy fornendo una nuova versione in JFK - un caso ancora aperto, ha raccontato la vera storia di Edward Snowden e la sua fuga dagli USA mantenendo uno sguardo fieramente indipendente. Che film non riuscirebbe a fare oggi, nell'America di Trump? "Anche se i miei film affrontano temi politici, per me il fulcro di tutto sono le persone, sono loro al centro delle storie. I miei film raccontano il conflitto del potere e la lotta per conquistarlo. Mi interessa mostrare come si forma l'identità dell'individuo. La morale politica americana è profondamente ipocrita, perciò non potrei fare un film ateo. In Italia avete avuto Pasolini, da noi sarebbe impensabile, sarebbe la morte commerciale, che è il modo migliore per mettere a tacere un artista scomodo".
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Se l'individuo è al centro delle storie di Oliver Stone, il regista ha scelto come protagonisti delle sue pellicole individui carismatici, capaci di dare una svolta alla storia con le loro gesta. Stone è passato dal raccontare, in Talk Radio o Assassini nati, eroi dei media tradizionali, al concentrarsi su Snowden, eroe della rete. "Di questa serie fa parte anche Alexander, un eroe del passato. I conflitti di questi personaggi sono interiori. La sua vita è stata costellata da battaglia. A confronto Snowden era molto meno interessante come personaggio, è una persona solitaria che passa le serate al pc. Il suo impatto nella nostra cultura, però, è stato fondamentale. Sono stato nove volte a Mosca per intervistarlo e lui ha collaborato volentieri al film. Non ho potuto rendere pubblico tutto ciò che mi ha detto, ma l'importante è che la gente capisca che Snowden era offeso dal comportamento del governo americano e ha sacrificato la sua vita per diffondere la verità".
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Dino De Laurentiis, il distruttore
I numerosi viaggi effettuati da Oliver Stone a Mosca per preparare Snowden hanno generato un altro film, un documentario/conversazione che, dopo Fidel Castro e Hugo Chávez, ha spinto Stone a dialogare con Vladimir Putin. Il documentario, in fase di completamento, è stato girato a Mosca in un anno e mezzo e vedrà Putin rispondere per la prima volta in un confronto all'inglese, con domande e risposte. E Stone sembra particolarmente orgoglioso del progetto, mentre sottolinea come oggi "contro la Russia sia in corso una nuova strategia della tensione, tecnica abusata dal mondo occidentale per destabilizzare l'equilibrio per i propri interessi. Io amo il mio paese ed è proprio per questo motivo che voglio raccontarne i difetti, per auspicare un cambiamento di rotta".
Dopo Putin, per Oliver Stone è il momento di concentrarsi sull'Italia che lo ospita, riconoscendo il tributo al cinema italiano che tanto ama a partire da Fellini, Visconti, Antonioni, ma soprattutto il Bertolucci di Novecento ("Adoro quel film. L'ho visto un sacco di volte"). E proprio un italiano ha dato non poco filo torcere al giovane Stone. Si tratta del produttore Dino De Laurentiis, di cui il regista non fornisce un ritratto lusinghiero. "Dino mi ha regalato un grande successo e quattro cause legali. Lavorare con lui era molto complicato. Michael Cimino aveva letto la mia sceneggiatura di Platoon e la amava tanto da volerla dirigere, poi De Laurentiis fece un'opzione e ammazzò il progetto. Il progetto si arenò, ma lui rifiutava di restituirmi la mia sceneggiatura. Era il 1984, io ero all'inizio della carriera. Dino non aveva rispetto per gli sceneggiatori, amava solo i registi. Così il mio avvocato mi ha suggerito di denunciarlo per il copyright mentre stava per uscire L'anno del dragone. Solo allora Dino mi ha reso lo script e due anni dopo sono riuscito a girare Platoon. Dopo il successo del film, Dino ha ammesso di essere stato molto stupido, ma mi ha messo con le spalle al muro altre tre volte. In seguito mi ha chiesto di lavorare ancora con lui, di fare la Bibbia, ma io non mi sono mai fidato. Volevo trasformare i romanzi di Conan in una serie bellissima, ma Dino ha comprato i diritti di 12 libri e ha distrutto tutto. Questa era una sua costante, anche Fellini ci ha fatto insieme La strada e poi non ci ha lavorato più".
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La scrittura che salva la vita
Prima che della regia, Oliver Stone si è innamorato del mestiere della scrittura, appreso grazie al padre. "Sono nato sceneggiatore e amo questo mestiere. Sono uno scrittore prima che un regista grazie a mio padre, che mi dava 25 centesimi alla settimana se scrivevo un soggetto. Non smetterò mai di ringraziarlo, oggi per me scrivere è un'espressione dell'anima, mi ha dato una ragione di vita. Anche oggi tengo un diario, la scrittura è libertà". Proprio una sceneggiatura, quella del crudo Fuga di mezzanotte, ha fruttato ha Oliver Stone il primo di tre Oscar. "Il film mi ha portato un successo improvviso, non ero nessuno e ho vinto un Oscar. Hollywood è un covo di vipere, non sai mai chi ti è veramente amico, se hai successo tutti ti cercano. Da giovane ho fatto tanti errori, la cocaina era epidemica, a Hollywood la prendevano tutti, ha influenzato il mio giudizio togliendomi la lucidità di pensiero. Il flop de La mano mi ha mandato in depressione, all'epoca nessuno mi faceva dirigere. Così ho ricominciato a scrivere e sono nati Conan il barbaro, L'anno del dragone e Scarface. Solo dopo ho deciso di fare Salvador con pochissimi soldi. E subito dopo ho realizzato Platoon che si è rivelato un successo".
Quella di Scarface è una tra le sceneggiature più celebri firmate da Oliver Stone. Il film non ha avuto una genesi facile. "Al Pacino voleva fortemente il ruolo da protagonista, io sono subentrato più tardi. Stavano preparando un film tradizionale tra gangster, ma Il padrino era stato già fatto così Sidney Lumet ha suggerito di girarlo in stile cubano. Era l'epoca in cui la cocaina stava esplodendo. Per Lumet lo script era troppo violento e lasciò. Subentrò Brian De Palma, ma il film sforò il budget. Negli Usa all'inizio Scarface è stato amato solo dalle persone non bianche, all'epoca i critici non lo capirono. In seguito, però, è diventato un film estremamente popolare. Proprio Scarface mi ha ispirato per Wall Street. Con la diffusione su larga scala della cocaina c'è stato un cambiamento nel mondo della finanza; volevo catturare questo momento storico. Scarface non ha portato niente alla mia carriera, le persone avevano paura di me. Ce l'hanno ancora, in realtà".