Nato a New York il 15 settembre 1946 da padre americano e madre francese, Oliver Stone è uno dei registi più controversi del cinema mondiale. La sua capacità di mettere il dito nella piaga della politica USA film dopo film, le sue dichiarazioni non proprio pacifiche rivolte alla stampa, i suoi tardivi pentimenti (vedi le scuse rivolte di recente alla Turchia per l'immagine del paese che diffuse con il suo Fuga di mezzanotte) e le sue continue provocazioni intellettuali ne fanno uno dei personaggi più discussi del panorama cinematografico mondiale ed ogni nuova uscita di una sua opera scatena polemiche infinite, dichiarazioni di governi, richieste di smentite. Nonostante il marasma che lo ha sempre circondato, in tutti questi anni Oliver Stone è andato avanti nel proprio lavoro senza lasciarsi intimorire né dagli attacchi immotivati né dalle critiche giustificate, dimostrando un coraggio ed una tenacia rarissimi, conditi con una buona dose di incoscienza.
Artista a tutto tondo, professionista cinematografico completo, oltre che regista Stone è anche sceneggiatore, produttore, e sporadicamente compare anche come attore in piccoli camei all'interno delle proprie pellicole. Approfondire la biografia di un simile personaggio è fondamentale per comprendere gran parte della sua poetica e delle sue scelte narrative: l'elemento autobiografico è profondamente presente in gran parte delle pellicole, a cominciare proprio dall'opera che fruttò a Stone un Oscar per la sceneggiatura nel 1978, ben prima che egli diventasse famoso come regista, Fuga di mezzanotte. Il film, diretto da Alan Parker, si ispira infatti all'omonimo libro di Billy Hayes che, arrestato all'aereoporto di Istambul per possesso di hashish, denuncia la brutalità delle carceri turche. Lo stesso Stone infatti, di ritorno dal Vietnam, finì in un penitenziario messicano per il possesso di una piccola quantità di marijuana, esperienza che segnò profondamente la sua visione del carcere e che lo portò alla violenta denuncia contro il sistema di detenzione turco.
Tra le altre sceneggiature firmate da Oliver Stone vanno ricordate Scarface diretto da Brian De Palma nel 1983 e, due anni più tardi, L'anno del Dragone di Michael Cimino. Il 1986 è però l'anno della consacrazione registica con Salvador, primo film che assomma in sé i veri caratteri della poetica stoniana: opera tesa e violenta, di grande impegno civile, denuncia con passione le ingerenze del governo americano nel sistema politico sudamericano e la connivenza di Washington con i regimi militari dell'America Centrale. Salvador è la prima di una lunga serie di pellicole dedicate ad eventi storici che, in un modo o nell'altro, hanno influenzato la vita di un'intera generazione, la generazione dei Sixties, della "sporca guerra" del Vietnam, della contestazione giovanile, delle grandi tragedie americane (l'assassinio dei due fratelli Kennedy, di Martin Luther King), la generazione della giovinezza di Stone. Il ritorno a quest'epoca è costante, quasi ossessivo; nella mente del regista la collisione tra vita privata ed eventi pubblici si trasforma in narrazione ed in denuncia, il debito che la sua generazione ha dovuto pagare è stato ingiusto e non necessario, proprio perché il sogno americano si è infranto miseramente di fronte alle decisioni politiche di persone come Johnson e Nixon, modificando per sempre il corso della storia. La perdita dell'innocenza di un'intera nazione è il tema centrale di Platoon, Nato il quattro luglioe Tra cielo e terra, film dedicati alla guerra del Vietnam vista da tre prospettive differenti: il fronte, i reduci e il popolo vietnamita. Platoon, in particolare, rievoca l'esperienza drammatica dello stesso Stone, partito volontario per Saigon dopo aver abbandonato Yale, ferito due volte in battaglia e pluridecorato. I due grandi affreschi politici JFK - un caso ancora aperto e Gli intrighi del potere scelgono invece la strada dell'indagine biografica, ponendo come oggetto di analisi la tragedia che ha causato, con il cambio di presidenza al vertice USA, il Vietnam ed il malgoverno che ne è seguito. The Doors, ancora una biografia, traccia un ritratto potente ed appassionato di Jim Morrison, figura simbolo degli anni '60, leader della band che più di tutte le altre incarnò lo spirito dell'epoca, della contestazione, degli eccessi, del rifiuto dell'autorità.
Autore muscolare e passionale, molto più attento alla pratica della vita e del lavoro che alle teorie cinematografiche, delle quali però non è affatto digiuno avendo avuto come insegnante alla New York University Film School addirittura Martin Scorsese, Stone non dichiara mai troppo apertamente i propri modelli. Influenzato indubbiamente dalla Nouvelle Vague francese (soprattutto Jean-Luc Godard), teorizza, forse in maniera non troppo originale, l'uso politico del cinema. La sua idea è quella di utilizzare un mezzo apparentemente effimero, ma dalla forte e forse indelebile potenza evocativa come uno strumento per dichiarare le proprie idee, come un mezzo per lanciare messaggi e trasformare il sapere collettivo, ribaltando di fatto la fruizione leggera che spesso e volentieri si fa di quest'arte. Stone non è però uno storico vero e proprio, ma un narratore che interpreta la storia offrendone la propria personale versione: il regista lavora fianco a fianco con storici ed esperti, i fatti su cui sui basa sono assolutamente reali e le ricostruzioni e rigorosamente documentate, ma l'interpretazione che l'autore ne da' è finalizzata ad illustrare le tesi che stanno alla base delle varie opere. Questa sua disinvoltura lo ha spesso condotto sul banco degli imputati, a doversi difendere dagli strali della critica ed anche di alcuni collaboratori. È ormai nota a tutti la violenta rottura con Quentin Tarantino dopo che Stone aveva acquistato la sceneggiatura di Assassini nati (storia ironica e surreale, infarcita di violenza fumettistica in perfetto "Tarantino style") per trasformarla in un pamphlet moralistico contro i mass media americani e la manipolazione sistematica dell'opinione pubblica. Il regista offre un inquietante affresco di due menti malate, nella fattispecie i due serial killer interpretati da Woody Harrelson e Juliette Lewis, sollevando un vespaio di critiche che, dopo i fiumi di sangue presenti nel film, si trasformano metaforicamente nei fiumi di inchiostro unanimemente volti a stigmatizzare la pellicola. Per non parlare delle reazioni scatenate con JFK che, già un mese di prima di uscire nelle sale, era oggetto di pesanti attacchi da parte di alcuni settori della stampa e del mondo politico americano che sconsigliavano la visione del film accusando il regista di mistificare la realtà e distorcere i fatti. Che Oliver Stone non sia un regista sottile, attento alle sfumature e per palati delicati, lo ha dimostrato in tutti i suoi film, e lo dimostra anche in questo che, con tutti i suoi difetti, trasuda la sincerità e la passione manichea di un "patriota che deve essere pronto a difendere il suo paese dal suo governo" (lo dice Jim Garrison nell'arringa finale, ma ha l'aria di essere il punto di vista del regista), infatti le licenze storiche di JFK sono subordinate ad aprire gli occhi al pubblico più giovane spingendolo ad approfondire il desiderio di conoscere la verità, infrangendo così il castello di bugie costruito ad hoc dal governo USA.
Nonostante le polemiche scatenate sistematicamente ad ogni nuova uscita e le ingenuità narrative legate agli eccessi passionali, la bravura di Oliver Stone come regista non è mai stata messa in discussione: interprete di un cinema potente e virile, amante dello stile rigoroso e di forte impatto visivo ottenuto grazie all'uso di ampi movimenti di macchina e di un montaggio teso e vibrante, si apre però spesso alle più estreme sperimentazioni, subordinando le tecniche di regia al contenuto del film: dal classicismo documentaristico di JFK passiamo così alle inquadrature claustrofobiche di Talk Radio, dalla fotografia psichedelica di The Doors viriamo sulle furenti scene di gioco e sul montaggio frenetico di Ogni maledetta domenica, per giungere all'apice della sperimentazione con l'allucinato melting pot iconografico di Assassini nati. Questa duttilità espressiva ha fruttato a Stone ben otto nomination e due Oscar per la miglior regia (Platoon e Nato il quattro luglio) a cui va aggiunto l'Oscar per la miglior sceneggiatura vinto nel 1978 per Fuga di mezzanotte. La filmografia del regista, anche quando esula dal nucleo principale, mantiene comunque una grande compattezza di fondo, che si manifesta nella vis polemica e nella critica feroce contro la società americana, nell'impegno politico, nella volontà di tratteggiare caratteri forti, ambigui ed ampiamente discutibili, ma anche nel coraggio delle scelte sempre piuttosto estreme. Ai titoli ormai storici degli anni '80, come il grande affresco sul mondo della finanza Wall Street ed il piccolo capolavoro Talk Radio, si sono aggiunti in seguito il discusso (e discutibile) Assassini nati, U-Turn - Inversione di marcia, e Ogni maledetta domenica, dove il football diventa metafora della guerra e, più in generale, della società USA come giungla retta dalle regole del denaro, del potere e del successo. Se aggiungiamo alla lista i documentari realizzati da Stone, tra cui Comandante, ritratto piuttosto compiacente di Fidel Castro, o Persona non grata, presentato a Venezia nel 2003, che testimonia l'escalation di violenza nei rapporti israelo-palestinesi, oppure una pellicola come Larry Flynt - Oltre lo scandalo, biografia dell'editore della rivista pornografica di grande successo Hustler, diretta da Milos Forman, dove Oliver Stone compare esclusivamente in veste di produttore, il quadro comincia ad essere completo, ed in attesa della prossima, controversa uscita di Alexander, Stone rivela la speranza di riuscire a realizzare al più presto il suo prossimo progetto: il ritorno alla politica contemporanea con una biografia di Margaret Thatcher.