Lo ha sognato per anni e finalmente l'ha realizzato. Alexander di Oliver Stone sbarca anche in Italia, dopo la tiepida accoglienza statunitense e le polemiche sull'ostentata omosessualità dei personaggi, con il rilevante numero di 350 copie. Abbiamo incontro il vulcanico regista ed il laconico cast per la presentazione del film:
Cosa l'attira della figura di Alessandro e cosa pensa possa trasmettere all'uomo moderno? Oliver Stone: Era un uomo speciale, molto più di un semplice conquistatore o di un genio militare. La sua caratteristica rivoluzionaria era quella di creare legami con la gente che conquistava, cercava di accettarla e non solo di dominarla. L'elemento dell'accettazione è fondamentale per definire il carattere non corruttore ma liberatorio del suo potere. Si batteva per estendere il suo regno oltre ogni confine ma con l'idea di un mondo unito e privato dalla guerra; un sogno da Oriente a Occidente. Immaginate un uomo che dice "non abbiamo bisogno di confini" in un periodo storico come quello. Un uomo con un grande sogno. Se non riusciamo a capirlo, è a causa della nostra mentalità ristretta, provinciale.
Si può definirla la sua pellicola più impegnativa? Oliver Stone: Decisamente si. E' un progetto che iniziò nel 1989 e fu ripreso nel 2001 grazie ai contributi europei al film (inglesi, francesi e tedeschi). Il grande budget che è servito soprattutto nella fase di preparazione. Abbiamo poi girato in un periodo relativamente breve, 94 giorni, in Inghilterra, Marocco e Thailandia. Dopo aver fatto qualsiasi tipo di film, avevo proprio voglia di realizzare un'epopea. Anche perché ho sempre ammirato il personaggio di Alessandro. Contro l'epopea al cinema, già dagli anni Cinquanta, c'è una sorta di pregiudizio critico; mentre io amo il cinema spettacolare.
Riguardo la polemica scatenata dall'omosessualità di Alessandro? Oliver Stone:Alessandro più che omosessuale era trisessuale o pansessuale se volete. Andava con uomini, donne, travestiti, era un esploratore, uno sperimentatore. Mi spiace se ci si sofferma tanto su questo punto e si rimane in superficie dimenticando di analizzare gli elementi più profondi del personaggio. Nel mio paese questo non è stato compreso, ma d'altronde negli Stati Uniti c'è ignoranza perfino sulla propria storia, che ha poche centinaia di anni, figuriamoci sull'antichità. Spero che il pubblico europeo, più colto, reagisca diversamente, perché io faccio film per coloro che vogliono ascoltare e credo molto nei mercati extra-americani. I miei connazionali, nonostante l'evidenza dei fatti, sono ancora convinti che l'11 settembre sia colpa di Saddam Hussein. Ma tornando al film, quello che non si è capito, è che Alexander è il tentativo onesto di tracciare un percorso storico. Non c'entra niente con i film a cui è stato paragonato, tipo Troy e Il gladiatore. Insomma, non prendiamoci in giro, Il gladiatore è anche un bel film, ma non rappresenta la storia di Roma. Come può un generale romano finire per tre settimane nel Colosseo?
Cosa ha provato ad interpretare un ruolo del genere e a girare tutte quelle scene di comabattimento?
Colin Farrell: E' incredibile recitare tra set enormi nel deserto con 1500 comparse e scenografie mozzafiato. Stai ricreando una vita e un epoca in quattro settimane e appena monti a cavallo ritorni a quei giorni ed entri nel personaggio, anche se alcune cose non le puoi fare per la sicurezza. Le scene di combattimento sono molto affascinanti e faticose fisicamente, ma sono senza dubbio meno difficili delle scene più drammatiche.