Una Francia arrabbiata, una Francia allo sbando, una Francia che si affida alle figure di legge per ritrovare le sue coordinate. Una nazione alla ricerca di una forma di giustizia in grado di lenire le sue ferite. Emerge questo da almeno due film francesi in concorso al Festival di Cannes 2019, entrambi strettamente legati a un ambiente urbano malsano e alquanto imbastardito. Perché dopo l'irruento Les Miserables, in questa recensione di Roubaix, una luce vi parleremo di un'altra opera francese in cui strade, metropolitane e case non sono posti sicuri.
Se nel film di Ladj Ly eravamo catapultati nel balordo grigiore delle periferie di Parigi in perenne tumulto, Arnaud Desplechin si addentra il silenzio tra le vie più quiete e notturne di Roubaix, piccolo comune del Nord francese. Accade tutto durante i giorni di Natale, in un'atmosfera svuotata di calore domestico e di vitalità cittadina, perché Roubaix, una lumiere si muove dentro un contesto volutamente freddo, quasi asettico, a partire da una stazione di polizia fatiscente in ogni dove. Vetri crepati, scrivanie polverose, stanze dai muri scorticati: anche il luoghi della giustizia chiedono di essere restaurati. Poliziesco meticoloso e notturno, il film di Desplechin trova la sua unica luce nell'irreprensibile ispettore Daoud, interpretato da un Roschdy Zem empatico, misurato e carismatico.
Come una mosca bianca in un vespaio, l'ispettore si aggira nello squallore, nelle bugie e nella frustrazione senza mai perdere di vista la sua missione perenne: arrivare alla verità.
Trama al servizio di una verità morbosa
Ogni poliziesco con tinte di giallo ha nelle risposte il suo grande obiettivo. Classico (forse troppo) nella messa in scena e lineare nell'intreccio, Roubaix, una luce si affida una trama molto semplice. In una città inquieta per la presenza di uno stupratore serialeì, viene ritrovato il corpo senza vita di un'anziana signora. La vittima giace nel suo letto e i sospetti ricadono sulle vicine di casa, una coppia di giovani amanti. Una volta individuati i bersagli, Desplechin inizia mettere sotto torchio le presunte colpevoli, e lo fa attraverso una sceneggiatura verbosa, asciutta, affidata a dialoghi in cui si cerca sempre di creare una forma di empatia per i personaggi in scena. La scelta di riempire la parte iniziale del film con eventi estranei al caso centrale depista, perché Roubaix, una lumiere illude lo spettatore di essere dinanzi a un noir contemporaneo in cui descrivere nel dettaglio una visione d'insieme del contesto urbano.
Voci fuori campo e disincantate riflessioni sul degrado sociale, però, si dissolvono poco per volta. Come all'interno di un imbuto, il regista francese ci conduce verso un'unica direzione, ovvero il disperato bisogno di un colpevole. Eccessivamente morboso nel voler raccontare a tutti i costi ogni singolo dettaglio di un omicidio, il film è però abile nel restituirci l'estenuante esperienza degli indagatori e degli indagati. Due figure messe in scena con estremo distacco ed equilibrio, senza mai pendere da un lato di una bilancia morale sempre ferma.
Detective che sanno ascoltare
Quello che rende Roubaix, una lumiere un film davvero degno di nota è la cura certosina con la quale Desplechin delinea la figura del suo amato commissario. Senza mai sembrare retorico o spacciarlo per eroico, Daoud assume le fattezze di un personaggio letterario, un uomo di mondo, senza alcuna nostalgia per la sua lontana Algeria, perfettamente calato in una città di cui ormai sembra quasi incarnare la coscienza. Laddove tutti i suoi più giovani e inesperti colleghi dimostrano segni di frustrazione e di violenta rabbia dinanzi all'impossibilità di risposte, Daoud ci appare granitico, posato, sempre pronto a fare dell'ascolto il suo asso nella manica. L'umanità del commissario, però, non è mai una facciata professionale, mai confusa per tattica preventiva, perché il personaggio di Roschdy Zem è dotato davvero di grande spessore umano. Il suo interesse nel carpire le motivazioni dietro ogni gesto altrui è sincero, indirizzato a comprendere la disperazione e le fragilità delle persone miserabili dinanzi a lui. Come in molti gialli, l'indizio era sotto i nostri occhi sin dall'inizio. Perché quella luce presente nel titolo di Roubaix, una lumiere è proprio lui: un detective illuminato destinato a vivere nel cuore della notte. La notte di una città e delle persone.
Conclusioni
Si respira aria di classico poliziesco nel nuovo film di Arnaud Desplechin. In questa recensione di Oh Mercy - Roubaix, una lumiere (in concorso al Festival di Cannes 2019) abbiamo sottolineato quanto il film francese faccia dell’ambientazione spoglia e dell’atmosfera notturna due elementi narrativi fondamentali. Nonostante un’eccessiva morbosità per nella descrizione del caso, l’opera di Desplechin riesce a costruire un gran personaggio con il suo detective umano, irreprensibile ed empatico.
Perché ci piace
- L’interpretazione misurata di un carismatico Roschdy Zem.
- La rappresentazione di una cittadina notturna e perduta.
- I dialoghi serrati e incalzanti.
Cosa non va
- Il film inizia con toni noir che poi vengono abbandonati di colpo.
- I personaggi secondari vengono divorati da un protagonista catalizzante.