Una conferenza stampa piuttosto breve, quella che ha seguito la presentazione di Ogni volta che te ne vai, in cui regista, produttore e cast hanno raccontato la genesi del film e hanno parlato dell'ambiente che esso rappresenta, cioè quello della musica popolare romagnola.
Ci raccontate qualcosa della genesi del film? Come è nata l'idea di un film sul liscio?
Fabio De Luigi: La cosa risale a qualche anno fa, quando io proposi questa mia idea a Domenico Procacci e a Laura Paolucci. Loro la trovarono interessante, così hanno coinvolto Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, i due sceneggiatori, che volevano realizzare una storia ambientata nel mondo della musica, che raccontasse le vicende sentimentali di un duo che doveva per forza cantare insieme, una coppia un po' in stile Al Bano e Romina. Da questi due input è nata la sceneggiatura, e successivamente è stato coinvolto anche Davide, il mio regista preferito. La paura era quella di fare un film autoreferenziale, autocelebrativo: noi, al contrario, volevamo raccontare una storia universale, che avesse però un "colore" particolare, che è quello del liscio. Questa particolarità, tra l'altro, serviva anche a dare forza e credibilità alla provincialità di Orfeo, un personaggio con delle radici ben piazzate, che vive di certezze in un piccolo mondo che in qualche modo, tuttavia, risulta anche un po' opprimente. Grazie ai due sceneggiatori, che sono siciliani ma, del liscio, sanno più di me e di Davide, abbiamo scoperto delle cose interessanti su questo genere musicale, che ha una sua dignità, una sua storia, ma finora è stato raccontato al cinema solo in forma di macchietta. Ci sembrava giusto, quindi, rappresentarlo questa volta così com'è, restituendo quello sguardo divertito che ognuno di noi ha quando si trova ad assistere a uno spettacolo di liscio.
Lei è quindi un appassionato di questo genere musicale?
Fabio De Luigi: Rispondo con una similitudine: si dice che in Italia siamo tutti cattolici, compresi gli atei, in quanto siamo profondamente imbevuti di cultura cattolica. Così è in Romagna per il liscio: tutti lo conoscono, tutti hanno assistito almeno una volta a uno spettacolo musicale di liscio. E' una cosa che è parte integrante della cultura della nostra regione.
Raoul Casadei: E' una parte della nostra cultura popolare, una tradizione, che rappresenta la voce della gente. Una musica spontanea, che rappresenta comunque un'identità, in un mondo ormai globalizzato.
Il film non è propriamente "italiano" nei temi, anzi, per certi versi può ricordare certo cinema americano, specie per il tema della gara. Voi avete guardato quindi anche ad altre realtà cinematografiche?
Fabio De Luigi: Sì, la storia, come ho detto, è universale, seppur narrata con un "colore" particolare, quindi ci siamo confrontati con realtà cinematografiche molto diverse. Sparando un po' "alto", il film a cui abbiamo guardato è Ballroom, specie per il tipo di narrazione: anche lì, l'appuntamento finale "musicale" rappresenta anche il momento risolutivo per le vicende sentimentali dei protagonisti.
Dazzi e Ravello, voi non siete romagnoli, e avrete dovuto lavorare un po' per inserirvi in un film imbevuto di "romagnità". Come è stato questo inserimento?
Cecilia Dazzi: Quando incontrai Davide, lui mi raccontò una parte della storia del film, fermandosi ad un certo punto. A un tratto ha detto: "Va bene, ok, finirò di raccontartela un'altra volta". Io ho chiamato subito il mio agente, dicendogli che volevo assolutamente fare il film, che quel personaggio ero proprio io. Lui mi ha detto di stare calma, che quelli erano solo incontri preliminari: tuttavia, ascoltando la storia, ho sentito subito che il personaggio di Pamela era il mio. Questa sensazione, in seguito, è stata confermata anche dal provino, ho sentito chiaramente che quel ruolo mi stava "addosso". Pamela, poi, è un ibrido, non viene da nessuna parte e non va da nessuna parte.
Rolando Ravello: Per me è stato l'inverso, a dire il vero il provino che ho fatto per questo film è stato il più brutto della mia vita! Avevo la maglietta zuppa di sudore, ero in preda ad un attacco di panico, sinceramente non so neanche come abbiano fatto a prendermi. Io francamente non mi sarei mai preso. Ho cercato di lavorare parecchio sul dialetto romagnolo, con risultati alla fine non brillantissimi: si poteva far meglio, forse, ma per me è stato un incubo, bastava che variassi una "esse" perché mi dicessero che mi stavo sbagliando, che quello era dialetto bolognese o di Forlì. Ci ho lavorato molto, comunque. Un altro grosso lavoro che ho dovuto fare è stato quello di impratichirmi di nuovo con la batteria, strumento che non toccavo più dall'età di 14 anni.
Giorgio Colangeli: Io sono romano, e per me il romagnolo è stata quindi una conquista. Tutto sommato è stato abbastanza facile, comunque. Nel provino ero tranquillo, perché le debolezze del personaggio, in quel momento, erano anche le mie. Se avessi sbagliato, sarebbe stato in linea con il personaggio: questo mi ha dato disinvoltura. Anche la full-immersion successiva in Romagna, che mi ha consentito di perfezionarmi, non mi ha dato grossi problemi: i romagnoli, poi, sono espansivi, comunicativi, e questo mi ha aiutato.
Nel film, il personaggio di Pamela sembra voler in qualche modo "scappare" dalla Romagna. Non è strana questa volontà, specie nell'Italia di oggi, con sempre meno radici, sempre meno identità?
Fabio De Luigi: Secondo me la realtà della provincia, malgrado abbia tante cose belle, finiva per diventare un po' soffocante per la personalità di Pamela, che non ha e non vuole certezze, e non crede nello stare fissi in un posto.
Il film ricorda molto una pellicola come The Commitments, sia per i personaggi, sia per la struttura. Siete d'accordo?
Davide Cocchi: Noi abbiamo sempre immaginato il film come un'opera country, un film di musica nativa, che portasse dentro i caratteri culturali di un determinato ambiente. I nostri personaggi hanno tutti il liscio dentro, in maniera quasi genetica, portano dentro questa musica come un flusso, un movimento; il film ha esattamente quel ritmo, e segue le note di tutti gli stili musicali che fanno parte di questa musica.
Secondo voi il film potrebbe portare al cinema un pubblico che normalmente non frequenta le sale cinematografiche, magari anagraficamente più anziano, attratto da ricordi di gioventù legati a questa musica?
Domenico Procacci: In realtà l'intenzione non era quella di cercare un pubblico, ma quella di raccontare una determinata storia ambientandola in un contesto che ci faceva piacere descrivere; questo non solo per l'affetto che lega molte delle persone coinvolte nel film a quell'ambiente, ma anche perché si tratta in realtà di un contesto raramente raccontato dal cinema, nonostante sia molto caratterizzante. Ma è la storia del film, ciò che esso racconta, l'elemento che, secondo me, può portare il pubblico ad apprezzarlo o non apprezzarlo, non l'ambientazione o la musica. Poi è anche vero che l'enorme popolarità del liscio in Romagna, il suo essere profondamente radicato nella cultura di quella regione, potrebbe anche portare al cinema un certo tipo di pubblico, magari attratto dall'ambientazione. E' possibile.
De Luigi, il fatto di aver scoperto, nel film, la dimensione del ballo di coppia, ha in qualche modo messo in crisi, per lei, l'idea moderna del ballo, di tipo "singolo"?
Fabio De Luigi: Io sono stato felicissimo di aver imparato questo tipo di ballo. E' stata una grossa scoperta, una cosa coinvolgente, intima, che praticamente mi ha aperto un mondo. Ci si conosce quasi di più facendo questo tipo di ballo, che non parlandosi.
Cecilia Dazzi: Con questo ballo si capisce che si può comunicare con una persona attraverso il corpo, è un'esperienza che tra l'altro trasmette un vero entusiasmo nei confronti della vita. Inoltre si impara il contatto con l'altro, proprio in un periodo come questo, caratterizzato da un forte individualismo.
Potete darci qualche informazione tecnica sulla lavorazione del film, sui tempi, le location, e simili?
Davide Cocchi: Abbiamo girato per otto settimane, scegliendo come luogo principale i dintorni di Rimini. Il nostro paese immaginario è in realtà Mondaino, situato proprio sulle colline di Rimini, mentre altre riprese sono state effettuate vicino Santarcangelo, a Borgo San Giuliano (dove c'è il primo concerto di Pamela e Orfeo), e in luoghi simili, sempre in quella zona. Abbiamo anche ricostruito una balera in cima ad una montagna, in un clima molto freddo; abbiamo cominciato a metà settembre, ed è arrivato un autunno molto precoce che ci ha colpito duramente, specie durante le riprese notturne.
Nel film, che è una commedia, ci sono comunque dei momenti molto tesi, quasi drammatici, specie in alcuni dialoghi tra i due protagonisti. Come si sono posti i due attori principali rispetto a questi personaggi, che dovevano divertire ma esprimere anche momenti più drammatici?
Cecilia Dazzi: La sceneggiatura era già lì: quando hai una buona partitura sei già a metà strada, forse anche oltre. Tra di noi c'è stata spesso una sorta di inversione dei ruoli classici, con Fabio che era la parte morbida ed io quella dura, lui che trasmetteva a me morbidezza ed io che trasmettevo a lui lo stimolo a tirar fuori i nervi. Abbiamo provato le liti diverse volte, con diverse varianti, più o meno drammatica, ironica o sarcastica; alla fine è stato Davide a darci le giuste "temperature". In questo caso comunque c'è stata una grande coincidenza di "colori", colori non acrilici, ma vivi, che hanno preso sole. Ho sentito una grande funzionalità con Fabio, una funzionalità che ha stimolato entrambi.
Fabio De Luigi: La commedia è un genere che deve avere entrambe le componenti, sia quella comica che quella drammatica. Da questo punto di vista è il genere che più si avvicina alla vita reale, e per questo è molto difficile da interpretare.
Cecilia Dazzi: C'erano due forze tra noi, una centrifuga e l'altra centripeta, era come se noi ci appartenessimo, eravamo uno parte dell'altra. Alla fine Pamela torna sempre da Orfeo, dopo i suoi viaggi: non si sa dove questi la conducano, ma alla fine lei torna sempre lì. In tutta la storia, in sottofondo, ci sono secondo me una tensione e un dolore che vanno colti: tutti i personaggi della storia soffrono, eppure si sorride. Alla fine la vita è così.
Sapevate già cantare o suonare qualche strumento, prima di lavorare in questo film?
Fabio De Luigi: Sapevamo canticchiare, diciamo, come si canticchia sotto la doccia. Non siamo certo dei professionisti. Per noi è stata un po' una sfida, per essere credibili dovevamo riuscire a cantare almeno dignitosamente, e penso che alla fine ci siamo riusciti.
Cecilia Dazzi: Io sono praticamente cresciuta con la musica, sono stata allevata a Inti Illimani e Chopin. E' sempre stata una mia passione, ma semplicemente a livello casalingo, non come professionista. Da qualche anno comunque scrivo dei testi, che a volte finiscono anche su dischi di altri. Alla fine il film, per me, è stata anche una scusa per salire sul palco, ma non con l'aspettativa di una cantante, ma come per una sorta di scommessa.
Davide Cocchi: Anch'io sono un grande appassionato di musica, da giovane suonavo anche il basso in un piccolo gruppo. Insieme ad Andrea Guerra abbiamo ascoltato, senza esagerare, circa un migliaio di canzoni per poter scegliere un arco di pezzi che potessero rappresentare in modo significativo la storia del liscio. Nel film c'è un po' tutta la storia di questo genere musicale, racchiusa in un'ora e mezza.
Casadei, chi sono, oggi, i fruitori del liscio?
Raoul Casadei: E' gente che ha tempo libero, compresa in un arco di età che va dai 25 ai 50 anni, e che non ne può più di andare in discoteca. Le discoteche, negli ultimi anni, sono entrate in crisi, specie nella nostra zona: gli stessi gestori di questi locali, adesso, stanno cercando nuove soluzioni. Il nuovo liscio, comunque, dobbiamo ancora metterlo a fuoco, noi adesso stiamo cercando un nuovo filone in cui la tradizione possa convivere con la modernità: in questo nuovo filone musicale, il liscio si incontrerà con le musiche etniche di tutto il mondo.