Altro giro, altra corsa. Bisogna sbrigarsi, il Natale è dietro l'angolo. Anche quest'anno, anche 'sta volta. Retaggio vuole che, durante le Feste, si debba mettere da parte tutto l'astio accumulato e lasciarsi andare ad un crogiolo di buoni sentimenti, calore famigliare, sfrenato amore. A conti fatti, però, le festività natalizie sono il momento più divisorio di tutti: o le si ama, o le si odia. Non comprendiamo come si possano odiare (ah!), ma è innegabile che alcuni (molti, a dire il vero) vorrebbero dormire almeno fino alla Befana. Altri, lo detestano talmente tanto che si sentono addirittura giudicati dal Natale, che li farebbe sentire fuori posto. Il problema, vi riveliamo, non è tanto il Natale, ma il solito "fattore famiglia" che fa più danni di un candito nel panettone. Da questo spunto, la serialità Netflix cita sé stessa e sforna Odio il Natale, una miniserie in sei puntate in cui si mischia - appunto - l'amore, l'odio, il Natale, la famiglia, le relazioni e, più in generale, la vita stessa. Cita, perché la serie è direttamente tratta Natale con uno sconosciuto, show norvegese diviso in due stagioni che ha riscosso un discreto successo sulla piattaforma streaming.
Effettivamente, calandoci nella calda atmosfera di Odio il Natale si avverte una forte sensazione di deja-vu, che ci pone la fatidica domanda: ma questa storia, dov'è che l'abbiamo già vista? Potremmo confonderci, data la mole di contenuti che arrivano giornalmente, ma poi la certezza arriva durante i titoli di coda, in cui si specifica infatti che la serie, di originale, ha (purtroppo) ben poco. Con una domanda: la libertà dello streaming offrirebbe spazi e dinamiche per idee originali, perché finire anche qui ad inseguire il fattore remake? Ciononostante, la sceneggiatura di Elena Bucaccio, Viola Rispoli e Silvia Leuzzi apporta le naturali e sensate modifiche, a cominciare dalla location: da Oslo a Chioggia. Un cambio necessario e, ci sentiamo di dire, assolutamente riuscito, in quanto la cornice inusuale riesce - al netto del remake - a fornire alla serie una buona intesa originalità. Location promossa, come è promossa Pilar Fogliati nel ruolo della protagonista Gianna, bravissima a tramutare in materiale interpretativo tutta la complessità dei trent'anni.
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Le ansie dei trent'anni
Dicevamo il Natale, dicevamo le relazioni: il plot gioca proprio sulle vibrazioni natalizie, e su quanto le aspettative famigliari siano decisamente ingombranti. In particolar modo sotto l'Albero addobbato. Quanti, in effetti, vivono un certo disagio nell'essere l'unico/a single seduto alla cena della Vigilia? Appunto. Forse pochi, perché essere single potrebbe essere una scelta, una necessità. Chiaro, può essere anche sinonimo di sofferenza, ma nel caso di Gianna l'essere single potrebbe non essere inteso come problema. Ha tanti amici, lavora come infermiera, vive una certa stabilità. Che, di questi tempi, insomma, mica male. Purtroppo però il Natale, quando arriva la mette alle corde. Come in un flusso di coscienza, abbattendo la quarta parete (Fleabag insegna), ci spiega che odia le Feste perché la fanno sentire fuori posto, in relazione ad una famiglia pressante. Mamma e papà (Sabrina Paravicini e Massimo Rigo) la vorrebbero accompagnata, vorrebbero che seguisse gli esempi di sua sorella e di suo fratello. Dunque, una promessa: trovare un fidanzato da portare a cena il 24 Dicembre. Ventiquattro giorni di appuntamenti, di flirt, di equivoci più o meno divertenti, che renderanno la vita di Gianna una sorta di corsa contro il tempo. A consigliarla, le sue amiche, interpretate dalle brave Beatrice Arnera e Cecilia Bertozzi. Una sfida impossibile (forse) ma che porterà la ragazza ad una nuova consapevolezza: l'amore è ovunque, e può avere diverse e inaspettate forme. Proprio come le ricorda il suo film preferito, Love Actually.
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Cioccolata e un pile caldo
Logicamente romantica e coerentemente lineare (alla regia CRIC, ossia Davide Mardegan e Clemente De Muro), Odio il Natale può essere considerata una sorta di comfort series dall'impatto immediato, che gioca proprio sulle emozioni che circondano le Feste. Al centro una ragazza di trent'anni, con le sue paure e con le sue amicizie, con le sue irrazionalità. Un'età specifica, di mezzo, in cui viene chiesto troppo o troppo poco. Una figura quasi archetipa in cui potersi riconoscere, spingendo alla riflessione: ma essere soli è davvero così terribile? E se la smettessimo di andare dietro le apparenze, e ripartissimo dalle nostre emozioni primarie?
Detto questo, e rimarcata la notevole location veneziana (Chioggia è una delle mete da visitare secondo il New York Times!), non possiamo non chiederci quali siano i motivi dietro ad un (romantico) tv show che è il diretto remake di un altro prodotto Netflix. Capiamo la sacrosanta dinamica che vorrebbe localizzare certe sceneggiature, e comprendiamo che ormai le piattaforme cerchino giustamente di accaparrarsi anche il pubblico da rete generalista (tant'è che l'ottimo cast è riconoscibile in quanto è presente in molte fiction di successo), ma questa è una dinamica che potrebbe far perdere la stessa identità produttiva. Chiaro, è una riflessione critica secondaria, fa parte di una certa bolla e non ha senso se contestualizzata in un panorama più ampio e rivolto ad una platea che cerca solo un tiepido crogiolo, dato che Odio il Natale è comunque una serie progettata per una visione istantanea, di quelle che si gustano sul divano, con la cioccolata calda, la copertina di pile e il gatto sulle gambe. Un quadretto ben preciso, adatto alle turbe amorose di Gianna e alla sua impreparazione alla vita di coppia. Del resto, l'unica regola da seguire è... non avere regole. Chi non si è mai sentito come lei, soprattutto a Natale?
Conclusioni
Le ansie e le turbe d'amore di una trentenne in una serie tiepida, romantica e lineare. Concludiamo la recensione di Odio il Natale sottolineando la bravura di Pilar Fogliati, l'atmosfera natalizia e la buona intuizione su quanto le Feste amplifichino emozioni, problemi e dinamiche famigliari. Intuizioni che, però, coincidono con il fattore remake e con i pochi guizzi registici.
Perché ci piace
- Pilar Fogliati è una garanzia.
- L'atmosfera natalizia.
- La location inusuale.
- Finalmente si parla dei trentenni.
Cosa non va
- Un remake un po' troppo copia-e-incolla
- Materiale narrativo che non si distacca troppo dalle produzioni televisive generaliste.
- Gli spunti registici sono davvero pochi.