Dopo aver ricevuto apprezzamenti all'ultimo festival di Cannes ed essere stato scelto dalla Francia per le fasi iniziali della corsa agli Oscar per miglior film straniero, Saint Laurent ha conquistato anche la platea dei critici americani. Il New York Film Festival, infatti, lo ha accolto come un melanconico biopic che, pur utilizzando alcune forme del genere, se ne discosta per regalare un ritratto umano fuori dalla semplice e arida ricostruzione storica. A ricevere questi elogi in prima persona è il regista Bertrand Bonello, autore di L'apollonide (Souvenirs de la maison close), che confessa di non essere stato entusiasta di questo progetto fin dall'inizio.
Il biopic, infatti, non sembra essere il suo genere preferito e non ne avrebbe mai realizzato uno se due produttori, affascinati dal suo stile, non lo avessero avvicinato per proporgli il progetto. Dopo le iniziali esitazioni, però, a convincerlo è stata l'assenza di un testo preciso cui far riferimento e, quindi, una completa libertà nell'interpretazione del racconto e del personaggio. Da qui, dunque, nasce il suo Yves, genio dalla complicata sensibilità interpretato da Gaspard Ulliel.
Raccontare Yves
Basta una semplice ricerca su internet per scoprire, indifferente da qualsiasi sito che Yves Saint-Laurent è stato l'uomo in grado di cambiare le donne. Questo si deve, senza dubbio al suo particolare gusto per una bellezza e un'estetica quasi tragica che, oltre a farlo somigliare ad un personaggio viscontiano, lo ha trasformato nel precursore di un nuovo e audace stile femminile. Questo è quanto viene raccontano dalle note biografiche e dalla storia della moda, ma Bonello a dovuto affrontare una sfida narrativa non di poco conto. Ossia rendere cinematografiche date, ricordi e momenti salienti di una vita evitando la santificazione del personaggio o cadendo in un realismo troppo brutale che non si addice certo all'eleganza di Saint Laurent. "Il primo passo è stata la ricerca. Ne ho fatta moltissima, quasi senza sosta. Per me era uno step importante perché, padroneggiando perfettamente i fatti, avrei potuto muovermi attraverso questi senza alcun problema. Il secondo elemento fondamentale, invece, è stato trovare un mio punto di vista. In quel momento ho capito di voler sovvertire un po' le regole del biopic. Così evitando di ricostruire l'ascesa di Saint Lourent, ho preferito concentrarmi subito sugli anni del successo per mostrare quanto gli sia costato, giorno dopo giorno, essere lui. Per finire, poi ho diviso tutto lo script in tre atti. Nei primi due vediamo un Yves giovane tra la fine degli anni sessanta e la prima metà dei settanta, nell'ultimo, invece, abbiamo un improvviso cambio di corpo che mi ha affascinato. Infatti la scena viene divisa tra Helmut Berger, un Saint-Laurent ormai anziano e i suoi flash back in cui comprare ancora Ulliel.
Arriva la Liberazione di Saint Laurent
La stella dello stilista francese cominciò a brillare sotto l'ala del mentore Christian Dior con il quale, però, ebbe una diatriba legale a causa del suo licenziamento dopo essere stato arruolato nell'esercito per la guerra d'indipendenza in Algeria. In quel periodo, inoltre, iniziarono a presentarsi problemi di depressione causa fondata della sua dipendenza a droghe e psicofarmaci. Grazie alla vittoria in tribunale su Dior e al successivo risarcimenti, Saint-Laurent riuscì ad aprire il primo atelier a suo nome insieme al compagno e uomo d'affari Pierre Bergé, cui si deve l'estensione del brand alla profumeria e cosmetica. Il periodo preso in cosa direzione da Bonello, però, si concentra su un momento profondamente tragico per l'uomo ma anche particolarmente ispirato per l'artista. Il tutto si riassume esteticamente in due collezioni storiche come Liberazione del '71 e la "mitica" Russian Ballet del '76. La prima venne criticata, visto che in pieno periodo hippie lo stilista aveva proposto una femminilità ispirata alle dive hollywoodiane, mentre la seconda, in cui si sente tutta l'influenza dell'opera di Matisse e Delacroix, venne osannata. "Sono affascinato dalla decadenza e da quei momenti in cui tutto sembra per finire. E proprio in quel periodo Yves sembrava vivere costantemente sull'orlo del precipizio - continua a raccontare il regista - allo stesso tempo, però diede vita a delle collezioni storiche che sono state ricreate per questo film. Non è stato possibile utilizzare gli originali, se non quelli provenienti da collezioni private, visto che gli abiti della maison sono considerati un bene storico, museale e, in quanto tali custoditi e inaccessibili. Per il film, in particolare, abbiamo disegnato e realizzato 20 modelli cercando proprio di riportare in vita il suo stile."
Della musica e del tempo
Fin dalle prime sequenze si comprende come, a completare l'universo di questo personaggio tanto complesso e affascinante, siano due elementi che con questo interagiscono costantemente. Si tratta della musica della temporalità che Bonello applica con grande attenzione. "Prima di diventare un regista sono stato un musicista, per questo per me la colonna sonora o il tappeto musicale sono elementi fondamentali. Anzi, ancor prima di iniziare le riprese, io ho già in mente l'intera mappa musicale. In questo caso ho deciso di dividere tutto in due stili netti e diversi. A fare da controvento l'uno all'altro, infatti è la musica francese pop degli anni sessanta e l'opera, interpretata quasi sempre attraverso la voce di Maria Callas. In questo modo ho voluto mettere in evidenza la natura particolare di un uomo che, pur vivendo in un mondo quasi avulso dalla quotidianità, è riuscito ad interpretare il suo tempo con precisione incredibile." Alla musica, poi, si affianca quasi inevitabilmente il tempo, o ritmo della narrazione. "Tutta la prima parte segue un ordine chiaramente cronologico - continua Borello - nel terzo atto, invece, c'è un cambio di andamento, visto che abbiamo un Saint-Laurent invecchiato che segue un tempo interiore, quello che nella sua mente lo riporta spesso al passato. Ed è proprio qua che il film diventa più mentale."
La vita privata
Per quasi tutta una vita Saint Laurent ha condiviso la sua vita personale e professionale con Bergè. Ma oltre questa relazione stabile, la vita dello stilista è stata caratterizzata da molti eccessi sessuali e dal frequente uso di droghe. Tutti elementi che Bonello non ha certo epurato dal suo racconto. "Nonostante tutto questo, paradossalmente il film è molto casto. In realtà non si vede nulla e tutto avviene fuori scena. Scrivendo le scene di sesso non ho minimamente preso in considerazione l'omosessualità, ma le ho trattate come se fossero tra due donne o tra una coppia etero. In realtà, molto è nell'atmosfera del tempo. Siamo alla fine degli anni sessanta, molto prima della paura del contagio dell'IDS ed era normale vedere molta più libertà."