È visibilmente emozionato Ferzan Ozpetek sul palco della Festa del Cinema di Roma 2023. Questo perché presenta il suo lavoro più personale e autobiografico finora, Nuovo Olimpo, che è disponibile su Netflix a partire dal 1° novembre (qui la nostra recensione): "Ho sempre pescato dalla mia vita nei miei film, ma questa è una storia che volevo raccontare da 7-8 anni ed è quasi del tutto autobiografica. Non tutta, ma quasi, lo sottolineo. Ad esempio non l'incidente che capita ad Enea sul set, a me per fortuna non è mai successo, ma anche lui sta girando il suo 14° lungometraggio come me. Per me questo film era come mettere il punto in un romanzo e poi girare la pagina".
Lavorare con Ozpetek
La difficoltà maggiore riscontrata nel girare questa storia a lungo agognata dal cineasta turco, oramai di adozione italiana, è stata ricreare i luoghi e l'atmosfera della Roma anni '70. Un'Italia che lui ha molto amato, come il cinema, per fortuna la scenografa Giulia Busnengo è riuscita ad andare incontro alle ansie del regista. Un sentimento che sembra accomunare il lavoro che svolgono i suoi collaboratori, come hanno scherzato in conferenza stampa: "Andando sul set dev'esserci sempre un po' di ansia per me, del tipo 'Come farò ad arrivare a fine giornata'" dice Ferzan, incalzato da Gianni Romoli, sceneggiatore di 11 dei suoi film finora: "Si parte dal nocciolo di qualcosa che per lui è molto personale e il mio compito è proporgli prima un soggetto e poi una sceneggiatura da rivedere insieme ma che abbia una struttura solida e inattaccabile, in modo che poi al suo interno possa succedere di tutto, come già so che sarà sul set, e soprattutto nel momento fondamentale per lui ovvero la lettura del copione e tavolino, perché è lì che i personaggi cominciano a prendere corpo e personalità e diventare altro, grazie anche alla presenza e al contributo degli interpreti. La sceneggiatura io la vedo sempre come una professione ancillare, ovvero al servizio di altri, non solo il regista, un punto di partenza che non bisogna mettersi a difendere ma da cui bisogna imparare a collaborare continuamente".
Gli fa eco Andrea Guerra, che torna a comporre la colonna sonora per Ozpetek dopo qualche tempo: "Lavorare con Ferzan è pericoloso perché vuole la musica prima e non dopo la fine delle riprese e quindi bisogna riuscire ad entrare nella sua mente. Lui vuole che il significato cresca e cambi insieme alla pellicola. Dice sempre che bisogna preoccuparsi di cosa pensa il pubblico non gli altri musicisti. La prima volta tra Enea e Pietro era tanto dolce quanto cruenta, e la musica doveva rispecchiarlo".
Ma che effetto fa per un ansioso come Ozpetek realizzare per la prima volta un film destinato allo streaming e non alla sala, che arriverà direttamente in 190 Paesi? "La produzione da cui mi avevano messo in guardia gli amici in realtà è stata molto collaborativa nel trovare insieme le migliori soluzioni per tutti gli step del percorso, ma soprattutto mi voleva dare più tempo per realizzare le scene negli anni '70, ma io ho bisogno di limiti sul set altrimenti non mi regolo. È strano ovviamente pensare di non uscire nei cinema come quello raccontato dal film ma allo stesso tempo pensare che arriverò nelle case delle persone di tutto il mondo mi affascina molto".
Ferzan Ozpetek: i migliori film del regista
Cast giovane
Il cast di Nuovo Olimpo non era quello previsto inizialmente. Pensavano di prendere attori più maturi per via dell'invecchiamento da rendere con un trucco prostetico apposito, ma poi la scelta è ricaduta su Damiano Gavino e gli esordienti Andrea Di Luigi e Alvise Rigo. Il metodo Ozpetek è studiare insieme con gli interpreti ciò che è meglio per i loro personaggi, facendoli contribuire attivamente, lo confermano tutti. Ha un'intesa molto forte tanto con gli attori quanto con le attrici, un fascino per i personaggi femminili come nella vita perché per lui fa parte di una sorta di eterno corteggiamento. Nel film c'è una battuta detta in conferenza stampa dal personaggio di Enea ("Non sono io che inserisco le storie omosessuali nei miei lavori, sono gli altri che le tolgono") ma non si tratta di una frecciatina quanto di un riferimento a ciò che gli capitò quando La dea fortuna fu distribuito negli Stati Uniti e un giornalista gli disse che aveva anticipato troppo i tempi con Il bagno turco e Le fate ignoranti: "Racconto le persone come sono fatte, senza alcuna censura nella mia testa. Sarebbe bello un giorno avere non dei locali gay e quindi determinati, ma tutti aperti a tutti. Qualsiasi tipo di sentimento è bellissimo e non bisogna catalogarlo".
Interviene Damiano Gavino, che è l'alter ego del regista, Enea: "La scenografia del Nuovo Olimpo ci ha permesso di entrare ancora di più nella parte, così come i costumi. Raccontavano un cinema che non ho vissuto, sono abituato alle poltrone comode e non a quelle di legno, oggi siamo abituati a conoscere le persone tramite le app, all'epoca si faceva tutto di persona". Gli fa eco Di Luigi alias Pietro: "Anche noi volevamo bene alla storia ad un certo punto e io mi sono totalmente affidato al maestro essendo alla prima esperienza". Lo stesso vale per Alvise Rigo, che ha trasposto la propria passione e fissazione per la cucina al proprio personaggio, Antonio, e tutto è partito, guarda un po', da un pranzo con Ozpetek.
Le donne di Ferzan
Tre sono le donne del film che risplendono di luce propria. Luisa Ranieri torna a lavorare per la terza volta con Ferzan: "Sono recidiva", scherza l'attrice napoletana, "Titti si è presa più spazio di quanto previsto inizialmente e quando Ferzan me l'ha presentato come 'una cassiera che vorrebbe essere un po' Mina' ero già elettrizzata e infatti poi al trucco e parrucco si sono sbizzarriti. La scena finale in cui la ritroviamo anziana e sola aveva bisogno di un precedente, da lì l'ampliamento del personaggio, sempre al telefono, che fa finta di parlare con qualcuno per far sembrare di essere sempre occupata e soprattutto di riempire un vuoto nella sua vita. Era un ruolo piccolo, insieme l'abbiamo farcito". Per Aurora Giovinazzo, ovvero Alice, l'altra donna della vita di Ozpetek a cui è dedicato il film, è stata "un'esperienza umana stupenda, formativa per la mia carriera, Ferzan mi ha fatto un dono straordinario con il personaggio, mi ha fatto sentire protetta e guidata dal primo giorno di set fino all'ultimo".
Chiude Greta Scarano, che presta volto e corpo a Giulia: "È un racconto che parla di sentimenti con la s maiuscola, ci ricorda che l'amore ha tante forme, è raro avere la possibilità di interagire così tanto con regista e sceneggiatore, ha permesso a noi interpreti di contribuire alla costruzione dei nostri personaggi, come tutta l'ultima sequenza. Giulia è una donna che non possiede mai l'uomo che ama, anche se lo ama incondizionatamente, in modo puro, avevo paura di risultare un terzo incomodo e invece per fortuna siamo riusciti a trovare un equilibrio".