Chi c'era non può aver dimenticato quelle Notti magiche: Paolo Virzì ci riporta, con il suo nuovo film presentato in chiusura della tredicesima Festa del Cinema di Roma 2018, a quelle notti d'estate del 1990 in cui si disputò l'ultimo campionato mondiale di calcio ospitato dal nostro paese. Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti proiettati sul Tevere, gli antichi e i moderni, e abbiamo un ricordo dolceamaro di quelle settimane, non solo per quella bruciante sconfitta ai rigori contro l'Argentina di Maradona. I fischi al pibe de oro, le trombe assordanti, le critiche a Vicini, i gol di Schillaci, le bandiere a ogni finestra.
Paolo Virzì punta a catturare queste sensazioni contrastanti ma senza parlare di calcio, perché a interessarlo di più è il suo personale campo da gioco, il cinema. L'eccitazione, la speranza e la delusione passano attraverso tre promettenti ventenni che sognano di fare gli sceneggiatori e si incontrano alla cerimonia di consegna del premio Solinas, per il quale sono i finalisti. Il vincitore è Antonino Scordia, che arriva dalla Sicilia con la sua dottissima sceneggiatura dedicata al maestro Antonello da Messina; seconda classificata è la delicata Eugenia Malaspina, viziata e nerovestita rampolla di rango che scrive di dilemmi esistenziali; al terzo posto si classifica l'esuberante ed erotomane Luciano, figlio di operai e voce del popolo che a Piombino ha lasciato una ragazza che lo ama perdutamente e un figlio di un anno.
Leggi anche: Da Ella & John a Tutti i santi giorni: le pazze gioie di Paolo Virzì
Il club dei cineasti
Ricevuti i loro assegni, i complimenti insinceri di chi è invidioso e infastidito dalla loro gioventù, qualche confessione non richiesta e qualche raccomandazione pelosa, i tre talenti si piazzano nel centralissimo appartamento della ragazza e si tuffano nell'ambiente cinematografico capitolino alla ricerca di opportunità. Eugenia si rassegna ad approfittare del prestigio familiare per ottenere un incontro con l'attore francese di cui è infatuata, e pensando al quale ha scritto la sua sceneggiatura - incontro che avrà conseguenze inaspettate; Luciano si fa coccolare dalle signore e finisce un uno scantinato a progettare il suo film con un regista impegnato al momento assai male in arnese, e Antonino entra nelle grazie di un famoso produttore in difficoltà economiche che vede bene Mickey Rourke nei panni del pittore rinascimentale. È attorno a questo personaggio, interpretato da un nevrastenico Giancarlo Giannini, che si raccoglie il mistero da cui prende le mosse la vicenda; al suo tragico destino è legato in qualche modo anche il destino dei nostri tre ambiziosi protagonisti.
Non è difficile intuire come questo scenario rappresenti per Virzì il protesto per lanciare uno sguardo nostalgico su una, cento, mille pagine della storia del cinema italiano; ma la dose di ironia immessa nella sua elegia è massiccia, e accompagnata da più di una punta di malinconia e disillusione. In particolare il personaggio di Giannini è emblematico della visione amarissima che il regista livornese ha del cinema italiano: una carriera inconciliabilmente divisa tra capolavori che hanno conquistato i premi più prestigiosi del circuito festivaliero e inqualificabili, indegne commedie sporcaccione, una vita personale fallimentare, un declino patetico e inarrestabile.
Leggi anche: On the Road con Paolo Virzì, l'intervita al regista di Ella & John
Verrà la morte e avrà la voce della luna
Lo sguardo di Virzì (e dei suoi co-sceneggiatori Francesca Archibugi e Francesco Piccolo; già, anche loro fanno il triangolo alla Jules e Jim) è divertito ma niente affatto bonario, dunque, nei confronti di tanti più o meno illustri predecessori, colleghi, collaboratori, né nei confronti dei suoi giovani e potenzialmente accattivanti eroi fittizi; i personaggi hanno tutti chiaroscuri che li rendono credibili e complessi ma anche piuttosto difficili da amare. In particolare il regista toscano non ha paura di toccare temi spinosi, descrivendo l'ambiente del cinema capitolino come volgare, autoindulgente e misogino, e facendo di uno dei suoi giovani talenti un vero e proprio predatore sessuale.
Leggi anche: Paolo Virzì, il mio cinema attratto dalla stranezza e dalla donne
Il film, che ha i suoi punti di forza anche nella fotografia e nelle scenografie curate rispettivamente da Vladan Radovic e Alessandro Vannucci, che ricreano miracolosamente il look e l'atmosfera della Roma del tempo ma anche quella della Roma fuori dal tempo, decadente e monumentale, meschina e generosa, ha un andamento inevitabilmente episodico ma non difetta di coesione tematica; il vasto cast è all'altezza delle ambizioni della storia e i tre semi esordienti Irene Vetere, Giovanni Toscano e Mauro Lamantia non sfigurano al cospetto di tanti veterani tra i quali come al solito giganteggia Roberto Herlitzka; Lamantia in particolare è divertente ed efficace nei suoi duetti con Giannini.
Leggi anche: Festa del Cinema di Roma 2018, i 10 film più attesi
Al fondo della questione, l'urgenza narrativa e morale di Virzì è un monito, o meglio un invito, che risuona veritiero e prezioso per il nostro cinema esposto ai suoi crimini, per qualunque scrittore in erba, ma anche per noi semplici spettatori: distogliete lo sguardo dallo schermo, che sia quello cinematografico, quello della vostra TV o, ormai, quello del vostro smartphone, mettete da parte le vostre passioni e le vostre brame e le vostre piccinerie, e spalancate la finestra: il tempo scorre, le persone vivono, e il racconto ha bisogno di respirare.
Movieplayer.it
3.5/5