Nostalgia di Mario Martone è nelle sale italiane dal 25 maggio, in contemporanea con il Festival di Cannes 2022, dove è stato presentato in concorso. Pierfrancesco Favino è il protagonista, Felice, uomo andato via da Napoli per quarant'anni, che torna per prendersi cura della madre, ormai sola da tempo.
Nostalgia chiude la trilogia napoletana di Mario Martone, cominciata con Il sindaco del Rione Sanità (2019) e Qui rido io (2021). Il titolo è tutto un programma, ma, come ci ha detto lo stesso regista a Cannes, qui la nostalgia non è rimpianto. È la stessa città di Napoli che si confonde con il passato del protagonista.
Nel cast insieme all'attore Pierfrancesco Favino anche Francesco Di Leva, nel ruolo di un prete che combatte la criminalità, e Tommaso Ragno, amico fraterno del protagonista diventato uno dei peggiori boss del quartiere. Abbiamo parlato del film con Mario Martone e Pierfrancesco Favino a Cannes.
Nostalgia: la video intervista a Mario Martone e Pierfrancesco Favino
Nostalgia, la recensione: le conseguenze del passato
Nostalgia: nel film di Mario Martone la nostalgia non è rimpianto
In Mad Men Don Draper dice che "la nostalgia è delicata, ma potente". Infatti aiuta a vendere tutto, film compresi. Pensiamo a quanto si saccheggi ancora l'immaginario anni '80 al cinema e in tv. Questo è uno dei pochi film che dice quanto la nostalgia possa essere pericolosa. È così?
Mario Martone: Sì. La nostalgia qui non è rimpianto: è effettivamente qualcosa di magico. È un labirinto alle spalle del protagonista, ma quindi è alle spalle anche di ciascuno di noi. Cos'è il passato? È una linea dritta? No. Per nessuno è una linea dritta. È un labirinto per tutti noi. È un'insieme di cose: occasioni mancate, o occasioni invece colte, incontri, amori, amicizie, tradimenti. Cose buone, cose cattive. Tutto questo insieme, questa specie di giardino è la nostalgia intesa come un territorio. Noi in quel territorio ci siamo addentrati: ci sono cose magnifiche e ci sono anche cose pericolose.
Nostalgia: l'accento di Pierfrancesco Favino e la musica
Sentendo il tuo accento ho pensato a Zlatan Ibrahimović. Come l'hai trovato?
Pierfrancesco Favino: Ho studiato un po' di arabo e ho pensato a un uomo che prima viveva a Napoli e, dopo quarant'anni di vita passata altrove, ha dovuto perdere in qualche modo la propria natura. La propria radice. Parlando una lingua un po' bastarda. Ibrahimović ha vissuto dappertutto. È uno slavo e gli slavi hanno una grandissima capacità di saper prendere i suoni delle altre lingue. Sicuramente la sua è una lingua particolare. Non mi sono ispirato a lui. Almeno su questo. Perché Ibra è fonte di ispirazione per tante cose.
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La scena in cui Felice balla la musica egiziana con i ragazzi di Napoli è un bel momento, che dà speranza. Quelli di una generazione precedente magari non riescono a uscire da certi schemi, i ragazzi invece possono immaginare un futuro diverso?
Mario Martone: Quella scena lì è una scena chiave: è il momento in cui Felice salda i suoi mondi. Il mondo da cui viene, l'Egitto, incarnato da quel brano così fresco, così giovane. C'è una grande musica contemporanea in Egitto e in tutto il mondo arabo. E i ragazzi napoletani ballano su quelle note. Quel momento è un momento di gioia: bisogna portarselo dentro fino alla fine. Nonostante tutto.