Per parafrasare un grande romanzo, potremmo definire Non riattaccare "un viaggio al termine della notte". La notte di Irene, interpretata da Barbara Ronchi, che in macchina, in un'Italia chiusa dal lockdown, si mette in viaggio da Roma verso la costa, tenendo al telefono la voce sempre più flebile di Pietro (Claudio Santamaria). A dirigere il film, Manfredi Lucibello che, ispirandosi all'omonimo libro di Alessandra Montrucchio, e riprendendo i crismi di Locke con Tom Hardy, sfrutta lo spazio angusto come spunto estetico e narrativo: "Quando si hanno pochi mezzi, poco tempo, inteso anche il tempo narrativo, bisogna bilanciare quello che si ha, spingendo di più sulla creatività", spiega il regista durante la chiacchierta esclusiva con Movieplayer.it.
Secondo Barbara Ronchi, Non riattaccare, scritto da Lucibello insieme a Jacopo Del Giudice, sfrutta al meglio lo spazio angusto dell'automobile: "Lo spazio piccolo per me era infinito: le parole e l'azione viaggiano insieme. C'è movimento, e c'è dialogo. L'abitacolo era stretto, però io non l'ho mai sentito come un limite, anzi, l'ho sentito come la possibilità di esplorare con le parole, e poi col corpo quando invece mi si richiedevano scene più movimentate".
Non riattaccare, la nostra intervista a Barbara Ronchi e Manfredi Lucibello
Se la vera protagonista del film potrebbe essere la verità, prima taciuta e poi rivelata, per Barbara Ronchi, che dimostra un'oggettiva e sempre più raffinata bravura, "la verità nel film esce un po' per caso. Questo è un po' un viaggio al termine della notte. Irene spera di arrivare da Pietro, però non ha la certezza di arrivarci, sa soltanto che finché non riattaccheranno quel telefono, lei dovrà trovare un modo per far sì che lui rimanga. E poi a un certo punto la verità esce fuori. Il viaggio però non inizia seguendo la traccia della verità, ma nasce per rimanere attaccato l'uno all'altra".
Verità che risuona in un tempo fermo, enfatizzato dal lockdown che fa da sfondo alla vicenda: "È come se il tempo sia sospeso, con questo lockdown che fa riecheggiare ancor di più il blocco", prosegue Manfredi Lucibello, all'esordio in un lungometraggio. "I personaggi devono per forza confrontarsi, devono riuscire a parlarsi. In fondo questo è anche un film che racconta l'incomunicabilità di coppia".
Non riattaccare, recensione: Barbara Ronchi e un viaggio emotivo al centro della notte
Un abitacolo per raccontare una storia
Altra caratterizzazione interessante di Non riattaccare, la location. Una location che scorre, fuori i finestrini di un'auto che sfreccia nell'oscurità. Per il regista, "Avevamo solo un abitacolo per raccontare la storia, però quell'abitacolo lo abbiamo cercato di riempire col primo piano di Barbara, che basta e avanza per raccontare la vicenda. Tuttavia, all'esterno c'era un mondo, un gioco di luci e ombre che ricorda il mood del racconto. Quindi a ogni fase c'è un colore predominante. Ecco, le luci fuori, e il volto di Barbara. Questo è Non riattaccare".
Un punto di vista che ci spinge a vedere il film come una sorta di racconto che supera il concetto di confort zone. Soprattutto se oggi tendiamo a vivere costantemente all'interno di compartimenti stagni. Per Barbara Ronchi, non c'è dubbio che sia così: "Irene si alza da un comodo letto, di notte, e non guida da sette mesi. Questa è la totale distruzione della confort zone".