È innervata da una coraggiosa ambizione l'opera d'esordio di Mauro Mancini: un'ambizione a cui non possiamo che rendere merito nella nostra recensione di Non odiare, presentato alla Settimana internazionale della critica all'interno della Mostra del Cinema di Venezia 2020. Affrontare di petto la questione dell'antisemitismo, e in particolare la sua matrice legata a un retaggio nazifascista, significa infatti andare a toccare un nervo scoperto della storia italiana, su cui troppo in fretta è stato fatto calare il sipario; ma non è l'unico tema di peso su cui si regge il film di Mancini, pur nella sostanziale essenzialità dell'intreccio.
La scelta di Simone: il confronto con la morte (e la colpa)
Ad introdurre tali tematiche, innescando da subito conflitti profondi nei personaggi, sono già le due incisive scene d'apertura di Non odiare. Nel prologo, un bambino viene messo di fronte a una dolorosa "scelta di Sophie" da parte del padre, che porta impressi sul braccio i segni della sua permanenza in un campo di concentramento; ma a quell'iniziale confronto con la morte ne segue, dopo un salto temporale di diversi decenni, un altro ancora più traumatico. Il bambino, Simone Segre, è diventato adulto (con il volto di Alessandro Gassmann) e si trova ad assistere a un incidente stradale; Simone, che di professione fa il chirurgo, soccorre prontamente il guidatore rimasto ferito, salvo scoprire tatuata sul petto dell'uomo l'atroce sagoma di una svastica.
Per il protagonista non si tratta solo di un faccia a faccia con il Male, ma di una sofferenza ancora più intima, legata al passato familiare di Simone; e, da quel momento in poi, della coscienza di dover convivere con un senso di colpa che lo indurrà a contattare Marica (Sara Serraiocco), la figlia primogenita del nazista, e ad assumerla come colf per fornire un sostegno economico a lei e ai suoi due fratelli, il piccolo Paolo e l'adolescente Marcello. E appunto Marcello (Luca Zunic) appare come un'altra figura-chiave nell'evoluzione del racconto: un giovane rabbioso e violento, che frequenta gruppi di naziskin e non ha alcuna intenzione di accettare che la sorella lavori alle dipendenze di un ebreo.
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I semi dell'odio
Cosa può spingere un ragazzo del ventunesimo secolo ad abbracciare la folle ideologia nazista e a coltivare un odio tanto feroce e 'gratuito'? L'eterno interrogativo sulla "banalità del male", e soprattutto sulla sua genesi, riecheggia ovviamente nel personaggio di Marcello, ma il film non approfondisce tale aspetto. Mauro Mancini, anche autore della sceneggiatura insieme a Davide Lisino (lo script è ispirato a un caso di cronaca avvenuto in Germania), prima di questo debutto aveva diretto numerosi cortometraggi, spot TV e due video musicali per Simone Cristicchi; Non odiare rappresenta dunque un banco di prova quanto mai impegnativo, che Mancini affronta optando per un apprezzabile rigore narrativo e per uno stile 'asciutto' e controllato, pure quando il film, nell'ultima parte, si addentra nei territori del thriller.
In realtà, è più che altro un'incursione: una rapida svolta noir costruita in maniera fin troppo frettolosa, al solo scopo di far sì che i percorsi di Simone e di Marcello arrivino a un inaspettato punto d'incontro. Per entrambi in fondo, così come per Marica, esiste una comune inquietudine, un nodo irrisolto: l'ingombrante legame con il ricordo paterno e con il suo relativo carico di malessere. Più ambiguo quello di Simone, che proprio negli stessi giorni deve ripulire la villa del padre (morto poco tempo prima), più netto quello di Marica e Marcello: per lei si esprime nel malinconico desiderio di un 'altrove', per suo fratello in un istinto verso l'odio, messo però in crisi nel finale (dove l'elemento del sangue, e del passaggio del sangue, non potrebbe essere più simbolico).
Conclusioni
La principale virtù di un’opera prima tanto ‘difficile’, considerata la complessità dei temi in ballo, risiede perciò nell’assenza di una facile retorica: come evidenziato in questa recensione di Non odiarmi, Mauro Mancini punta in primo luogo sul “non detto” e si affida alla recitazione degli interpreti, giocata quasi sempre in sottrazione. In compenso, tuttavia, il film rinuncia ad elaborare una riflessione più ampia ed esauriente: sia verso i dilemmi morali dei tre protagonisti, sia sulle dinamiche della loro conclusiva possibilità di redenzione, specialmente per Marcello.
Perché ci piace
- Il tono asciutto e rigoroso con cui Mauro Mancini mette in scena un racconto costruito attorno a temi tanto complessi.
- La capacità di lavorare in sottrazione e di far leva sul “non detto”, anziché affidarsi a una facile retorica.
Cosa non va
- Una sceneggiatura non sempre convincente, soprattutto in alcuni passaggi narrativi frettolosi o forzati.
- La carenza di un adeguato approfondimento sulle motivazioni dei personaggi, nonché sull’evoluzione dei rapporti fra di essi.