Twilight? Mai avuto come riferimento. Piuttosto un thriller romantico "con una storia d'amore in cui l'innamoramento ha contorni sfumati e misteriosi e ci si innamora dell'imperscrutabile mondo della notte e di qualcosa che rimette in discussione le proprie sicurezze". Non ha dubbi Andrea De Sica, che così prova a definire il suo secondo film Non mi uccidere (in streaming dal 21 aprile sulle principali piattaforme on demand da Apple Tv a Amazon Prime Video, Youtube, Google Play, TIMVISION, Chili, Rakuten TV, PlayStation Store, Microsoft Film & TV, Sky Primafila e Infinity), una favola dark che scava nel genere gothic horror per proseguire "con audacia" - come lui stesso ci tiene a precisare - "nella dimensione violenta e drammatica" del disagio adolescenziale e della questione di genere. Un mix di zombie, vampiri, cannibalismo e sovrannaturale basato sul romanzo omonimo di Chiara Palazzolo, al centro l'amore totalizzante di Mirta (Alice Pagani) e Robin (Rocco Fasano), due giovani belli e dannati che si amano fino alla follia, tanto da morirne. La ragazza però si risveglia trasformata in una creatura che per sopravvivere avrà bisogno di divorare carne umana. Inizia così il viaggio di Mirta alla ricerca di una nuova identità e del suo Robin, e nello stesso tempo costretta a fuggire da alcuni uomini misteriosi, i Beneandanti, che le danno la caccia.
Favola dark tra horror soprannaturale e questione di genere
Nonostante le similitudini con la famosa saga vampiresca per teenager che lanciò Robert Pattinson e Kristen Stewart, ai quali la coppia di attori protagonisti rimanda fortemente, Andrea De Sica rifiuta qualsiasi parallelismo: "Il romanzo aveva già al centro una storia d'amore prima che debuttasse la saga di Twilight, un melo travestito da horror". Non mi uccidere è un film al contrario più drammatico e violento, sottolinea, e con una protagonista femminile, "laddove troppo spesso è la figura maschile a dominare". "Questa storia ha un universo femminile ben separato da quello maschile e le donne hanno l'ultima parola in un mondo che tende a sottometterle. C'è in questo qualcosa di molto liberatorio e catartico".
Non mi uccidere, la recensione: Tra favola gotica e disagio adolescenziale
"Mirta non ha vergogna di provare paura, impara a rispondere e da vittima diventa carnefice, è una donna che non si fa mettere più piedi in testa, ma che si fa valere accettando le proprie fragilità", aggiunge l'attrice.
Una storia di sorellanza che chiama così in causa anche la questione di genere, superando i confini del gothic horror per adolescenti, e che ha avuto una genesi lunga e travagliata. Gianni Romoli, sceneggiatore insieme al regista e al collettivo GRAMS, aveva finito di scriverlo già diversi anni fa. Nel 2005 aveva acquistato i diritti del libro per portarlo al cinema, "non facevo più horror dai tempi di Della morte dell'amore. Chiara non volle partecipare alla sceneggiatura anche se era consapevole che avremmo fatto un film pop e meno filosofico del romanzo, l'unica cosa importante era che la metafora del passaggio dall'età adolescenziale a quella adulta rimanesse integra", racconta. In seguito il progetto rimase fermo per molto tempo, perché il mercato italiano "non credeva nel genere, ci dicevano che costava meno comprare un horror straniero che produrne uno autoctono". Poi arrivò il fenomeno di Lo chiamavano Jeeg Robot, "aveva dimostrato che in Italia si poteva tornare al genere, così ricominciai a lavorarci insieme ad Andrea e al collettivo GRAMS".
Il romanzo di formazione e il disagio giovanile
Il risultato è "un coming of age molto brutale", un racconto nerissimo sul passaggio dall'adolescenza all'età adulta, ma la fascinazione per il mondo giovanile non è nuova per De Sica, che ne ha fatto il centro dei suoi lavori precedenti, prima con l'ottimo I figli della notte poi con la serie Netflix, Baby. Non si definisce "un cantore degli adolescenti, ma raccontarla è stata una necessità che mi ha portato a muovere i primi passi in questo mondo. Quando si è giovani ci si sente anormali, isolati, mostri e messi da parte, invece qui la protagonista deve imparare a sbranare la vita per accettarsi e essere accettata". Non mi uccidere, in cui rispetto al passato trovano più spazio la fisicità e l'azione, dice, "è il terzo capitolo di una saga attraversata da un unico filo conduttore, a dimostrazione di quanto sia tanta ancora la voglia di sentirmi un adolescente".
La musica tra elettronica e trap
Tra vampiri, romanticismo e scene pulp, a giocare un ruolo decisivo nella narrazione è anche la musica, una combinazione di rap ed elettronica composta dallo stesso regista insieme ad Andrea Farri, come era già successo nel suo primo film: "Mi piace scrivere film pensando già in termini musicali, la dimensione dell'extra verbale mi affascina, il mio linguaggio parte da lì. - spiega - Anche in questo caso, come ne I figli della notte, comporre prima di girare è stato molto utile, perché abbiamo trovato da subito il tono della storia senza prenderlo in prestito da altri". Li ha accompagnati dai primi sopralluoghi alla stesura della sceneggiatura, oltre a essere stato un buon viatico "per trascinare gli attori dentro la storia". "Adoro girare con la musica, se potessi farei film con sola musica e senza dialoghi", confessa.
Ne sa qualcosa Alice Pagani, oltre che attrice nei panni di Mirta, protagonista del featuring con Chadia Rodriguez che canta il brano dei titoli di coda: "Fino a qualche mese fa sarebbe stato impossibile per me persino pensarlo, invece è si è rivelata un'esperienza molto interessante anche dal punto di vista del personaggio, perché ho potuto sperimentarne nuovi aspetti tramite l'uso della voce. Era essenziale che l'anima di Mirta venisse fuori attraverso quel pezzo. Ho ripreso il suo lato più horror e l'ho portato nella canzone, che a fine film ci fa venire voglia di lasciarsi andare e ballare".
La musica l'ha aiutata a mettere a fuoco Mirta e le sue sensazioni, "è il motore principale per la preparazione di un ruolo, ci abbiamo lavorato moltissimo prima del set per capire le atmosfere e le emozioni, ma soprattutto riesce a trasmettere qualcosa altrimenti impossibile da spiegare a parole".
Diventare grandi: le sfide del cast
Un romanzo di formazione che ha segnato un passaggio fondamentale anche per gli attori protagonisti, giovanissimi e tutti con esperienze importanti alle spalle: Alice Pagani arriva direttamente da Baby, la serie diretta sempre da De Sica, Rocco Fasano ha alle spalle l'esperienza del riuscitissimo Skam Italia, Giacomo Ferrara, che abbiamo imparato a conoscere con Suburra.
Per ognuno di loro Non mi uccidere ha rappresentato una scoperta: "Alice, - racconta il regista - si è presa sulle spalle il carico emotivo di un ruolo molto complesso e ha vissuto le riprese come un'enorme prova di sopravvivenza" e ha imparato_ "che non si finisce mai di scoprire cosa sia la recitazione, sono riuscita a mettere insieme voce e corpo, amicizia e lavoro".
Per Fasano è stato la prima volta in cui ha affrontato qualcosa di pancia, "perché spesso in certe situazioni non c'era molta scelta". Il suo Robin "comincia il proprio cammino dopo una profonda delusione nei confronti del mondo e dalla consapevolezza di aver perso tutto. È il motivo per cui si butta nell'amore totalizzante con Mirta, un amore che brucia l'anima e il copro oltre la fine".
Ferrara ha scoperto invece di "non volere rinnegare i propri sogni, come fa Ago". Non nasconde il fatto che sia stato un ruolo difficile, "Ago non ha più speranze e per me che ho sempre la testa per aria è stato molto complicato annientare tutti i sogni"_.
Le location
Girato in Trentino Alto Adige, tra Monticolo, il paese dei laghi, un Gasthof abbandonato sull'altopiano del Renon, Carezza e Bolzano, Non mi uccidere è anche un film di atmosfere che deve molto alle location, come sottolinea lo stesso De Sica: "Il territorio è molto presente, il film è stato scritto con una netta separazione tra passato e presente. Il passato doveva essere più idilliaco e avere a che fare con il mondo naturale" e i dintorni di Bolzano si sono rivelati il luogo ideale "per ambientare tutte le scene sulla spensierata fanciullezza di Mirta, l'incontro con Robin e il suo passato da viva: era lo scenario perfetto per un racconto in termini romantici e naturalistici. Invece il paesaggio della vita della protagonista da morta è più duro e urbano: fa freddo, piove, i colori sono diversi, c'è l'asfalto, la sporcizia e il sangue. È la stessa zona ma vissuta con approccio registico molto diverso; non è un'ambientazione da Hansel e Gretel che siamo abituati a immaginare, ma è un Alto Adige moderno e contemporaneo, con una sua periferia e un tessuto che lo rende più simile a qualsiasi paesaggio europeo", conclude il regista.