Un film italiano che sembra mettere d'accordo tutti, ma che purtroppo non è riuscito a centrare la prestigiosa vetrina del concorso alla Mostra di Venezia. Dopo la morte di Claudio Caligari, deceduto lo scorso maggio in seguito a una lunga malattia, Valerio Mastandrea, produttore di Non essere cattivo, si è attivato per ultimare la pellicola girata a Ostia frutto di una lunghissima gestazione. Un film che guarda al genere e a un modello di riferimento come Pasolini, innestando nel tessuto noir un fortissimo sottotesto politico. Mastandrea, i produttori e il cast composto da Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia D'Amico e Roberta Mattei hanno l'aria di essere sopravvissuti a un naufragio, ma nelle loro parole trapela anche l'emozione per essere riusciti a giungere alla fine di un lungo percorso dopo la perdita del loro condottiero.
"Venezia ha un valore simbolico enorme per il cinema italiano di un certo tipo" confessa Valerio Mastandrea. "Per Claudio ancora di più perché i suoi tre film sono finiti qua in tre categorie diverse. Questo mi sembra un ulteriore segno di ricchezza. Ci portiamo appresso da un anno una grande emozione, per tante ragioni. Io vorrei spiegare il mio ruolo con una metafora, potrei usarne tante. Diciamo che ho semplicemente acceso la macchina, quando non aveva benzina. Poi siamo andati avanti fermandoci nei vari distributori e alla fine ce l'abbiamo fatta. Arrivato a questo punto della mia carriera, ho capito che il cinema non è qualcosa che faccio per caso, c'è un disegno comune e questo lavoro mi ha aiutato ancora di più a capirlo".
Il valore del denaro e il fallimento dell'idea di lavoro
A parlare del progetto creativo alla base del film sono gli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini che, insieme a Claudio, hanno dato vita a un'opera complessa, ricca di dettagli e perfettamente funzionante grazie alla cura di tutti gli ingredienti. "Quando Claudio ha cominciato a scrivere la sceneggiatura, volevamo raccontare un'amicizia calata in un contesto sociale che ti spinga quanto più lontano possibile dal Non essere cattivi" spiega Meacci. "Claudio ci teneva molto a inserire il film in un contesto specifico per dar vita a una sorta di trilogia ideale composta da Accattone di Pasolini, dal suo Amore tossico e, appunto, da Non essere cattivo. Il film è ambientato in un contesto post-pasoliniano. Abbiamo scelto il 1995 proprio perché volevamo mostrare una una fase di passaggio; il contesto sociale, però, viene filtrato attraverso lo sguardo di due persone vere. Claudio voleva che la sua storia fosse fruibile per tutti".
Francesca Serafini aggiunge: "Il motivo per cui Non essere cattivo risulta un film così essenziale nella forma è che è stato lungamente ragionato. Claudio ci ha lavorato a lungo, anche prima di sapere che sarebbe diventato un film. Tra i vari tagli fatti in fasi di scrittura c'è quello del background familiare di Vittorio, che in un primo tempo faceva parte dello script. Claudio aveva tutto chiaro fin dal principio e ha dato asciuttezza per puntare sulla forza dei singoli individui". Parlando della visione politica alla base del film, Meacci aggiunge: "Nel film c'è una riflessione molto importante sul lavoro. Questo terzo atto, per Claudio, doveva raccontare il momento in cui Accattone prova a lavorare, è il racconto dell'ingresso del lavoro in borgata e del fallimento dell'ideologia del lavoro. In borgata l'unico modo per avere i soldi facili è essere cattivo. Questo è il fallimento dell'idea del lavoro".
Il concorso veneziano: un sogno mancato
Riguardo alla mancata partecipazione al concorso veneziano, il produttore Pietro Valsecchi non usa giri di parole per spiegare la scelta voluta dalla direzione della Mostra: "Il film non è in concorso perché è mancato l'autore e Barbera temeva che, sia in caso di premio che di mancato riconoscimento, l'assenza del regista avrebbe pesato più dei reali meriti del film, ma non nascondo che noi avremmo tenuto molto al concorso perché il cinema italiano ha bisogno di persone come Valerio e di tutti gli altri, gente energica che vuole fare il cinema. Non credo che Non essere cattivo avrebbe sfigurato nella rosa". Valerio Mastandrea condivide lo stesso pensiero di Valsecchi aggiungendo: "Ovviamente la proiezione del film a Venezia è circondata da un clima di evento. Parliamo di un regista di culto e di un lavoro molto atteso. Io ero convintissimo di questo film e sono andato a bussare alle porte dell'inferno per chiedere del denaro perché credevo molto nell'opera. La lealtà con cui raccontavo il progetto ha convinto i finanziatori. Non essere cattivo, però, è una sfida anche per il pubblico. E' un film duro, ma spero che il passaparola lo aiuti e non credo che la gente andrà a vedere il film solo perché Claudio oggi non c'è più".
I ricordi del cast
Tocca agli interpreti parlare della propria esperienza sul set con Claudio Caligari. Ricordando quello che tutti sul set chiamavano 'il Maestro', Luca Marinelli afferma: "Siamo stati vittima di una gigantesca magia, del coraggio di quest' uomo che non aveva timore di esprimersi. Lavorare con lui mi ha liberato come attore e come uomo. Sul set non ci sono stati momenti difficili, ma avevo molte preoccupazioni. Volevo riportare il dialetto in maniera dignitosa, e soprattutto rendere la tossicodipendenza in modo non banale". Aggiunge il coprotagonista Alessandro Borghi: "Interpretando un tossico, ci vuole poco a cadere nel cliché, ma Claudio e Valerio ci hanno guidato in questo percorso. Il resto è venuto tutto da sé. Se ripenso al film, mi vengono in mente i ricordi di tanti momenti vissuti sul set. E' qualcosa che non mi era mai capitato prima e penso che non mi capiterà più". "L'attenzione di Claudio per un certo tipo di mondo è qualcosa di cui sentivo il bisogno" afferma Roberta Mattei. "Essere all'altezza di Claudio è stato difficile perché richiedeva massima disponibilità, ma quando hai a che fare con un maestro in qualche modo segui gli insegnamenti. E' stato un dovere affidarsi e fidarsi. Anche quando Claudio non ti diceva niente. E' quasi un atto di fede". "Forse l'unica difficoltà è stata proprio il fatto che Claudio parlava poco" conclude Silvia D'Amico, "ci dava poche indicazioni, ma erano quelle giuste. Dovevamo affidarci a questo. Noi attori giovani tendiamo a farci problemi, ma lui ci ha scelto e ci ha chiesto di affrontare questa esperienza con coraggio, di fidarci di lui. Claudio ci ha scelti guardandoci negli occhi, ha letto una conoscenza di quello che stavamo raccontando e noi dovevamo fidarci del suo giudizio".