Non è più tempo per gli eroi mascherati
'Cosa è successo al sogno americano?' 'Si è avverato.'
L'America è un paese violento. Non è il solo però, perché 'l'uomo è violento per natura' e quindi non c'è scampo, la nostra condanna è quella di ammazzarci, di annientarci, mentre le lancette dell'Orologio del Giorno del Giudizio ci ingannano, segnando beffardamente sempre cinque minuti alla mezzanotte. In pochi lo ricorderanno, ma nel 1985 ancora esistevano gli eroi mascherati. Messi fuorilegge da un decreto che vietava di fatto la loro professione, i controllori della legalità in perenne Carnevale si ritrovarono ad essere soltanto uomini. La forza e la determinazione che li avevano da sempre contraddistinti lasciarono così spazio all'orrore delle loro miserabili vite, lacerate dalle ferite del passato, desertificate da una solitudine senza sollievo. Era il tempo della Guerra Fredda, col mondo strozzato dalla paura, sull'orlo di un conflitto nucleare che avrebbe potuto estinguere l'intera razza umana. L'unica speranza non risiedeva certo in Dio, ma proprio in un supereroe, l'unico a poter essere così definito, riconosciuto come tale perfino dalla Televisione: 'Il supereroe esiste, ed è americano.' esultò il telegiornale. Grazie all'intervento del Dottor Manhattan, un uomo divenuto essere superiore per via di un incidente in un laboratorio nucleare, la guerra in Vietnam era stata vinta e l'unica speranza di pace risiedeva unicamente in lui, spauracchio per i sogni di sterminio dei terribili comunisti.
Da eroi ad anti-eroi. Alan Moore li mise a confronto con la tragedia del loro vivere quotidiano, affossandoli dal peso di una domanda senza via d'uscita: come si salva il mondo da sé stesso? Slabbrato da un inevitabile nichilismo, il suo genio ne narrò la resa dei conti, svergognando l'idea stessa del sogno americano. Partendo dal brutale omicidio di uno di loro, il Comico, fatto fuori perché aveva capito tutto, l'artista inglese partorì un fumetto poliziesco che scandagliava l'animo dell'essere umano, attraverso le maschere che questi si pone per sopravvivere. E fu in quelle pagine che venne immortalato il mito dei Watchmen e il loro patto di ghiaccio, firmato col sangue all'Antartide, che ci consegnò un mondo nuovo, quello governato dall'amore e dal rispetto reciproco nel quale ci troviamo oggi a vivere. Ci siano concessi l'imbroglio e la contaminazione in questa sede, come da modello dell'opera originale al quale facciamo riferimento, che mescolava con grande abilità realtà e finzione, raccontandoci però il sentimento di un'epoca con una precisione impressionante. Non era facile tradurla al cinema, facendo salva la stessa intensità; onore a chi ha avuto il coraggio di provarci, soffiando nel miracolo dell'audiovisivo tutte le idee e le intuizioni più importanti del testo di partenza. Dopo aver portato i 300 spartani di Frank Miller a morire all'inferno con grande eleganza, Zack Snyder rende omaggio al genio di Alan Moore, avvicinandosi con estrema riverenza a quella graphic novel da sempre considerata 'infilmabile'. Watchmen trova così la strada del Cinema dalle ambizioni maiuscole, più di vent'anni dopo la sua prima pubblicazione. L'attenzione del regista e degli sceneggiatori David Hayter e Alex Tse per modellare una trasposizione a uso e consumo di appassionati e neofiti è notevole: i dialoghi sono stati fotocopiati dai balloon del fumetto, l'evoluzione della storia sposta di poco le virgole, con qualche concessione e una modifica sostanziale che non ne alterano l'essenza, e addirittura la composizione delle inquadrature trova le linee guida nelle illustrazioni di Dave Gibbons. D'altra parte, la pur ragguardevole durata di 162 minuti ha dovuto sacrificare alcune tracce significative della storia. Gli autori hanno scelto saggiamente di asciugare il film di alcuni elementi deputati ad arricchire l'opera originale, a partire dalla metanarrazione de I racconti del Vascello Nero, il fumetto nel fumetto di cui nel film si perdono le tracce, ma hanno purtroppo anche gestito male i numerosi flashback che dovrebbero illuminarci sul passato dei protagonisti, avvicinandoci al loro lato più umano. Watchmen si smarca da ogni comune concezione dell'universo supereroistico, mettendo da parte la fisicità dei protagonisti e le tipiche gesta sensazionali, per ragionare ad alta voce di temi complessi ed importanti, che procedono su una scala che tende all'universale: il senso di inadeguatezza di un uomo di fronte alla donna che ama, l'ossessione per la giustizia di chi non ha mai tollerato i soprusi, ma anche l'atrocità della guerra, il destino del mondo che passa per l'unica legge che l'uomo pare conoscere, quella della violenza. Per catturare l'attenzione dello spettatore si lavora soprattutto sulle atmosfere, facendo largo uso delle musiche, di canzoni che si agganciano ai nostri stessi ricordi, così come del tono malinconico della voce del Dottor Manhattan. Quello di Snyder è un film spiegato più che agito, che spesso eccede nel didascalismo, attardandosi a sottolineare senza motivo quanto dice. Anche le sequenze d'azione sono regolate su un incedere lento, con un uso smisurato dello slow motion che irrigidisce la narrazione e di cui si fatica a capire il senso. Fossero state a velocità normale, probabilmente si sarebbe risparmiata mezz'ora di film. Si assiste quindi a un vero e proprio ribaltamento della struttura del cinema dei supereroi, che diventa con Watchmen tutto cerebrale. Il rischio è di un certo compiacimento che raffreddi il racconto, limitando la portata del coinvolgimento emotivo dello spettatore. In questo senso perciò, quello di Snyder può essere considerato un film sperimentale che non tradisce lo spirito dell'opera (d'Arte) originale, per non limitarsi ad essere un semplice prodotto da intrattenimento. Il dosaggio degli effetti visivi, fortemente stilizzati, è teso a non soffocare la storia. Le meraviglie del digitale risultano ben innestate in un contesto reale come la metropoli americana nella quale si svolgono gli eventi, mentre scricchiolano pericolosamente in territori alieni ed alienanti (la computer grafica del palazzo di vetro del Dottor Manhattan su Marte è tutt'altro che convincente). Quando Snyder osa, mettendoci del suo, il risultato è addirittura abbagliante: i titoli di testa del film, sulle note di The Times They Are A-Changin' di Bob Dylan, sono un autentico capolavoro e giustificano da soli il prezzo del biglietto. Nella ricchezza dell'opera del regista del Wisconsin trova posto anche lo sdoganamento del nudo integrale maschile in un blockbuster americano e la mancanza di sconti in termini di violenza, che al di là della spettacolarità dei movimenti coreografici dei combattimenti, non risparmia sangue, spappolamenti e ossa rotte, che non disturbano però la visione. Oggi il cinema non può prescindere da opere del genere, che ridanno senso alle dimensioni dello schermo cinematografico, proponendo discorsi dall'inaspettata profondità, espressi attraverso una messa in scena spettacolare che rispolvera la meraviglia del cinema delle origini. Oltre tutto questo c'è la visione apocalittica di Watchmen sulle sorti di un mondo come il nostro che si sporca quotidianamente nella violenza, una soluzione oscena che fa cadere sul nostro sorriso un'indelebile goccia di sangue.