"È una ragazza che non si è arresa!": lo dice tre volte Deka Mohamed Osman, co-regista di Non dirmi che hai paura e sorella di llham Mohamed Osman, protagonista del film, che racconta la tragica storia vera di Samia Yusuf Omar. Anche se il sogno della ragazza somala è stato brutalmente interrotto, il suo coraggio continuano a vivere, prima nell'omonimo libro di Giuseppe Catozzella e ora in questa pellicola di Yasemin Şamdereli, che ne è l'adattamento cinematografico.
Ce l'ha detto ad Alice nella città, dove Non dirmi che hai paura è stato presentato in anteprima, prima di arrivare in sala il 5 dicembre. Il progetto è molto sentito dalle sue autrici, che in Samia si sono riviste. Forse ricordate anche voi questa ragazza, con la fascetta di spugna bianca in fronte, regalatale dal padre, che ha corso i 200 metri alle Olimpiadi di Pechino 2008. Il suo tempo, 32"16, record personale, è stato l'ultimo di tutte le batterie. Ma non è questa la cosa importante: ciò che conta davvero è cosa ha dovuto fare Samia per arrivare lì.
Ecco, il film di Yasemin Şamdereli racconta proprio questo: tutta la via di Samia prima di correre su quella pista rossa. Allenarsi non è stato facile in quanto somala e donna. Ma la parte più difficile, paradossalmente, è arrivata dopo essere stata alle Olimpiadi: avendo corso senza velo, si è messa contro molti connazionali. E, per continuare a inseguire il suo sogno e quindi partecipare ai Giochi Olimpici di Londra 2012, ha fatto una scelta radicale: scappare in Europa. Purtroppo, come successo a molte persone prima e dopo di lei, il suo sogno è stato interrotto bruscamente: Samia è morta 2 aprile 2012 nel Mar Mediterraneo, insieme ad altri migranti che cercavano di arrivare a Lampedusa.
La vera storia di Samia Yusuf Omar
Conosciamo Samia da bambina: nata a Mogadiscio, il 25 marzo 1991, la sua è una famiglia povera. La madre vende frutta. Quando vede sul giornale la foto di Mo Farah, atleta britannico di origine somala, appende in camera quel ritaglio, sognando di poter partecipare anche lei alle Olimpiadi. Da quel momento Samia corre, corre sempre: per strada, di nascosto, di notte, negli impianti sportivi chiusi. Prima partecipa a gare per dilettanti, poi, grazie anche all'incoraggiamento del pare, Yusuf, comincia ad allenarsi con i professionisti, nel centro olimpico somalo della sua città.
Nata in un paese in guerra, in cui le donne devono portare il velo (che, inutile dirlo, non è proprio l'ideale per correre), per Samia inseguire il suo sogno ha significato lottare ogni giorno. Di più, rischiare la vita ogni giorno. E infatti, purtroppo, la morte è arrivata presto. Resasi conto di aver bisogno di un allenatore in grado di renderla competitiva sul serio, la ragazza ha affrontato il terribile viaggio che fa chi vuole scappare dall'Africa per arrivare in Europa: ha attraversato Etiopia, Sudan, Libia, sfidando prima il deserto e poi l'acqua. Dalle coste della Libia ha infatti preso uno dei barconi che avrebbe dovuto portarla a Lampedusa. Ma è affogata prima di arrivare a riva. Lo stesso percorso che ha mostrato anche Matteo Garrone in Io capitano, ma che si è concluso in modo molto diverso.
Io capitano, Matteo Garrone: "Anche chi sbarca ha dei sogni"
I sogni hanno lo stesso valore
Una cosa che il film di Garrone e questo di Şamdereli hanno in comune è il cercare di dare dignità ai sogni dei loro protagonisti. Ormai quando sentiamo di persone morte in mare, nella grande maggioranza dei casi, per noi sono solo numeri. Non riconosciamo questi morti come esseri umani. Meno che mai come esseri umani con dei sogni. Eppure anche loro certamente li hanno avuti e se hanno rischiato la vita è stato proprio per cercare di avere un futuro migliore. Perché però i sogni fatti in un lato del mondo valgono di più rispetto a quelli delle persone che vivono da un'altra parte?
Lo abbiamo chiesto anche alle registe e alla protagonista e la risposta è disarmante: perché, nel 2024, siamo ancora qui a fare differenze in base al colore della pelle. E perché spinti dalla paura, che però, come sottolinea Şamdereli, è una cattiva consigliera. Non a caso i politici che ci governano la usano, di più, la cavalcano: è utile per distrarci, mentre fanno i loro interessi. E quindi storie come quella di Samia devono essere raccontate: non soltanto perché era una ragazza con un sogno. Ma, come ribadisce con forza Deka Mohamed Osman, perché era una ragazza che non si è arresa. Nonostante avesse tanti motivi per farlo.
Conclusioni
Non dirmi che hai paura è il racconto della vera storia di Samia Yusuf Omar, adattamento cinematografico dell'omonimo libro di Giuseppe Catozzella. Molto sentito dalle autrici e dalla protagonista, questo racconto, nonostante sia molto triste, è anche un esempio e una fonte di ispirazione. L'esordiente llham Mohamed Osman è una scoperta.
Perché ci piace
- L'interpretazione di llham Mohamed Osman.
- L'urgenza con cui le registe hanno raccontato questa storia.
- Il ricordo della storia della vera Samia Yusuf Omar, che non va dimenticata.
Cosa non va
- La produzione non ha disposizione un grandissimo budget, ma lo sfrutta bene.