Dove vorrebbe andare a parare Noise? Ce lo siamo chiesti anche noi, lasciandoci trasportare dalle olivastre tonalità del film diretto dal belga Steffen Geypens. Però, prima di addentrarci nella recensione, una veloce digressione: va detto che lo streaming ci permette di aprire una finestra sulle produzioni estere, che non siano solo quelle statunitensi, britanniche o francesi, da sempre leader dell'industria, soprattutto qui in Italia. In questo caso la prerogativa di Netflix è chiara e lodevole: affrontare i generi, mischiarli e adattarli in base al Paese d'origine. Tutto bello, tutto interessante. Però poi entra in gioco lo svolgimento, la scrittura, la messa in scena. E l'originalità finisce per cedere il passo ai marchi, agli umori comuni, all'estetica formattata (la fotografia è uno degli elementi copia-e-incolla di molti Netflix Movies, come se facessero parte dello stesso franchise).
Dunque, le solite buone intenzioni finiscono per sfilacciarsi in funzione di una visione spassionata, e purtroppo poco incisiva. È il caso di Noise? In parte sì, in parte no. In un certo senso veniamo attirati dal trip inquietante che lega gli eventi, ma superato l'inizio del film finiamo pure per renderci conto che il valore del racconto, obbligato quando in gioco c'è il thriller psicologico, viene meno. Si incastra in un orrorifico girotondo fine a se stesso, intanto che il regista fa salire i decibel dell'ansia attraverso quei rumori che danno il titolo al film: l'incessante pianto di un bambino, un carillon, un frutto masticato, il tonfo di una mannaia da macellaio. Addirittura, il fischiettare degli uccellini. Un cosmo che vorrebbe stridere - e ci riesce, perché il sound design è notevole - ma che, proprio per la sua esasperazione, tende a spostare l'attenzione dai personaggi verso il contesto generale, facendo sì che la visione sia poco approfondita.
Noise, la trama del film
Certo, Noise è palesemente ideato per esplodere (letteralmente) nell'ultima mezz'ora. Un'esplosione che porta con sé un paio di cliffhanger subito sopperiti da un colpo di scena, scorrendo rapidi verso il plot-twist finale. Insomma, anche qui: c'è una certa schematicità tipica di operazioni simili, che rendono la visione per certi versi confortevole. Nulla di impegnativo, nulla di cerebrale, nulla di intricato. Possiamo dire che la scrittura di Noise è funzionale al suo intento: intrattenere. Ma iniziamo dalla trama. Il protagonista è Matthias (Ward Kerremans), neo-padre e marito di Liv (Sallie Harmsen). Matthias Fa l'influencer, o almeno così sembra, mentre sua moglie è ristoratrice. Vorrebbero prendersi del tempo, allontanarsi dalla città.
Allora, si trasferiscono tutti e tre nella vecchia casa di famiglia, nella campagna belga, di proprietà del padre di lui, afflitto da demenza senile e chiuso in una casa di cura, situata non troppo lontana dalla bella ma impolverata villa. Ben presto, il cortocircuito: Liv e Matthias fanno fatica ad adattarsi, c'è qualcosa che non va, e il bambino non smette di piangere. Non solo, l'uomo scopre che anni prima, nell'azienda di famiglia, è avvenuto un inquietante incidente. Questo spinge Matthias ad indagare, intravedendo possibilità di "contenuti" per i suoi follower. Tuttavia, resterà invischiato nella vicenda, tanto che inizia a perdere il lume della ragione. La ricerca si fa ossessione, e con l'ossessione arrivano visioni e allucinazioni, che porteranno Matthias sull'orlo del baratro.
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Un thriller psicologico sulla depressione post partum paterna?
Cos'è successo, dunque? Non ve lo riveliamo: Noise è un film che segue un'indagine psicologica, con quei rumori che alzano i livelli dell'ossessione trasfigurata sul volto per protagonista (non sarà indimenticabile, ma è una buona intuizione stilistica). È il suono ad attirare l'attenzione, ad indirizzare gli umori, a seguire le svolte di un racconto che - come vi suggeriamo - perde di mordente nel momento in cui l'azione resta ferma in una messa in scena ripetitiva e poco stimolante. O meglio, lo stimolo e l'interesse sono proporzionali alla nostra soglia di partecipazione e di implicazione, nei confronti di un personaggio che esaspera il concetto di stress.
Alla fine, Noise potrebbe essere anche letto come un film sulla depressione post partum paterna: un uomo riversa i suoi traumi passati e presenti in un incubo che si tramuta in realtà, provando a (s)fuggire a quei rumori che lo perseguitano, e forse a scappare dalla stessa propensione empatica e paterna, in quanto è figlio di un uomo che - a tratti - non ricorda più chi sia, sferzato da un passato tornato a chiedere il conto. Una chiave di lettura alternativa (o, se volete, un ricercato appiglio di originalità), che tentiamo di illuminare all'interno di un'opera dal sapore ispido, all'apparenza scevra della giusta lucidità d'azione e di scrittura, consumata il tempo necessario per assimilare e digerire. Tutto qua? Beh, nell'epoca dominata da (molte) visioni usa-e-getta, potrebbe addirittura risultare abbastanza.
Conclusioni
Cercate un thriller psicologico che duri poco, e che non richieda chissà quale impegno? Noise, come abbiamo detto nella nostra recensione, potrebbe fare al caso vostro. Tuttavia, non aspettatevi nessun tipo di guizzo o coinvolgimento diretto, in quanto la visione è costruita per vivere solo e soltanto nello spazio adibito alla visione.
Perché ci piace
- Il sound design.
- L'idea di partenza...
Cosa non va
- … che si sfilaccia, senza coinvolgere troppo.
- Il protagonista, Ward Kerremans, carica più del necessario il personaggio.