Credo che un film come questo rappresenti qualcosa di molto importante in una carriera: è la realizzazione di un sogno che ogni regista deve accarezzare in un certo periodo della sua vita, il sogno di poter legare le cose in modo da ottenere un solo movimento.
Se nel famoso libro-intervista Il cinema secondo Hitchcock il maestro del brivido rivelava una certa insoddisfazione nei confronti di Nodo alla gola, in compenso il suo interlocutore, François Truffaut, non mancava di cogliere il valore di quello che, in una carriera di oltre mezzo secolo e che conta quasi sessanta lungometraggi, rimane uno dei film più innovativi e coraggiosi mai realizzati da Sir Alfred Hitchcock. Basato su Rope, un dramma teatrale del 1929 di Patrick Hamilton (riadattato da Hume Cronyn e Arthur Laurents), Nodo alla gola debuttava nelle sale americane il 25 settembre 1948, esattamente settant'anni fa, per poi guadagnare, con il passare del tempo, una reputazione sempre più ampia.
All'epoca, Hitchcock lavorava stabilmente a Hollywood da quasi un decennio ed era reduce da una serie di enormi successi. Con Nodo alla gola non solo decide di affidarsi per la prima volta al Technicolor, con tutte le difficoltà del caso (inclusa la decisione di rigirare l'ultima mezz'ora di film), ma realizza qualcosa di pressoché inedito per quegli anni: un'opera sperimentale che infrangeva diverse convenzioni della grammatica cinematografica, in termini di narrazione e di messa in scena. E il risultato è uno dei prodotti più originali che il geniale regista inglese ci abbia mai regalato: una pellicola che ha fatto scuola, per diverse ragioni, e che conserva ancora oggi un fascino particolarissimo. Un fascino di cui proviamo a tracciare una analisi, esplorando le ragioni e alcuni elementi-chiave di questo formidabile thriller, assolutamente unico nel suo genere...
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Il brivido in piano sequenza
"Allora mi è venuta questa idea un po' folle di girare un film costituito da una sola inquadratura. Ora, quando ci rifletto, mi rendo conto che era completamente senza senso, perché rompevo con tutte le mie tradizioni e rinnegavo tutte le mie teorie sulla segmentazione del film e sulle possibilità offerte dal montaggio". La caratteristica peculiare di Nodo alla gola, quella che più di tutte lo ha reso un film iconico e un modello di riferimento per molti altri 'esperimenti' analoghi, risiede nella scelta di provare a conservare la natura teatrale del soggetto attraverso l'azzeramento pressoché totale del montaggio: l'intero film, pertanto, è costruito in modo da apparire come un ininterrotto piano sequenza di quasi ottanta minuti. I piani sequenza, in realtà, sono in tutto dieci, ma Alfred Hitchcock utilizza dei raccordi di montaggio 'mascherati' in modo da mantenere l'illusione di un'unica, lunghissima ripresa.
La tecnica del singolo (e illusorio) long take è stata impiegata in tempi ben più recenti in altri film celebri: due esempi su tutti, Arca russa di Aleksandr Sokurov e Birdman di Alejandro González Iñárritu. Ma in Nodo alla gola, al di là dell'impressionante virtuosismo delle riprese, il piano sequenza ha una funzione ben precisa: accrescere il senso di realismo della vicenda. In qualche modo, è come se lo spettatore fosse presente con gli altri personaggi in questo appartamento di Manhattan, ad assistere a una storia che si sviluppa "in tempo reale", senza alcuna ellissi.
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"Questa serata merita di passare alla storia..."
Nodo alla gola è senz'altro un film di rottura dal punto di vista tecnico, ma la sua importanza può essere ricondotta anche al modo in cui il film scardina a più riprese le convenzioni del giallo classico e del thriller. In questo senso, Alfred Hitchcock compie un'impresa magistrale: sviluppare un meccanismo di suspense all'interno di un racconto in cui non sembra accadere nulla al di fuori dell'ordinario. Se infatti il film comincia in medias res, mostrandoci gli attimi immediatamente successivi all'omicidio del giovane David Kentley (un omicidio commesso fuori campo), da lì in poi ciò a cui ci troviamo ad assistere è semplicemente un party: quello organizzato dai due assassini, Brandon Shaw e Phillip Morgan, e a cui partecipano cinque ignari invitati e una domestica, la solerte Mrs. Wilson.
È la natura paradossale di una pellicola in cui, per almeno un'ora di durata, i vari personaggi non fanno altro che mangiare e chiacchierare, tra frecciate e pettegolezzi, come in una qualunque serata della borghesia newyorkese. Eppure, lo spettatore non può fare a meno di pensare alla nota grottesca di questo ricevimento: il cadavere di David, nascosto in un antico baule che Brandon ha pensato bene di esporre nel salotto e di usare come tavolo da buffet. È un dettaglio emblematico del macabro umorismo di Hitchcock, a cui basta questo elemento per tenere il pubblico sulla corda (proprio una corda, fra l'altro, è l'arma del delitto), mentre il chiassoso gruppo di amici e conoscenti parla del più e del meno, discetta di massimi sistemi e si concede perfino qualche inside joke metacinematografico (quel misterioso film con Cary Grant e Ingrid Bergman, di cui la signora Anita Atwater si sforza di ricordare il titolo...).
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Amanti criminali: l'omosessualità velata (ma non troppo)
Il delitto compiuto in Nodo alla gola, con il suo movente 'filosofico', traeva ispirazione da un reale caso di cronaca: l'assassinio nel 1924 del quattordicenne Bobby Franks da parte di due ragazzi di neppure vent'anni, Nathan Leopold e Richard Loeb. Passato alla storia come il caso Leopold e Loeb, questo crimine avrebbe ispirato in seguito i film Frenesia del delitto di Richard Fleischer (1959), Swoon di Tom Kalin (1992) e Formula per un delitto di Barbet Schroeder (2002). Ma in un periodo in cui era ancora in vigore il famigerato Codice Hays, Nodo alla gola conserva - seppure in maniera implicita - anche uno degli aspetti più controversi del caso Leopold e Loeb: l'omosessualità dei due protagonisti. Il Production Code avrebbe proibito qualunque riferimento in merito, eppure il film aggira tale ostacolo con una naturalezza stupefacente per gli standard dell'epoca.
Fin dalle prime battute, infatti, si può presumere con facilità che i due assassini, Brandon e Phillip, siano una coppia a tutti gli effetti: una deduzione favorita da certe dinamiche nel loro rapporto e da diversi dettagli dello script. Questa dimensione di 'coppia' conferisce ulteriori sfumature alla relazione fra i due personaggi: Brandon, interpretato da John Dall, sfodera sicurezza e autocontrollo attraverso il proprio savoir faire ed è la figura dominante fra i due; Phillip, che ha il volto di Farley Granger (lo ritroveremo tre anni dopo in un altro film di Hitchcock, L'altro uomo), è invece il più fragile, incapace di reggere il peso della tensione e spesso succube della volontà di ferro di Brandon. Qualche notazione vagamente omoerotica si potrebbe percepire anche nel legame fra Brandon e il suo mentore, il carismatico professor Rupert Cadell: un sottotesto confermato anche dallo sceneggiatore Arthur Laurents, che tuttavia riteneva non troppo azzeccato, in questa prospettiva, aver ingaggiato James Stewart nel ruolo di Rupert.
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Con gli occhi degli assassini: un giallo 'rovesciato'
E appunto James Stewart, il "bravo ragazzo" per antonomasia del cinema hollywoodiano classico, qui all'inizio del fortunato sodalizio con Alfred Hitchcock, dovrebbe essere l'eroe del film: l'uomo che, con la sua arguzia e la sua finissima capacità d'osservazione, riuscirà a cogliere gli indizi di una potenziale responsabilità dei suoi ex allievi nella scomparsa di David. Eppure, Nodo alla gola si distingue dai gialli canonici anche in questo senso: perché fin dall'inizio, inesorabilmente, il nostro senso di immedesimazione non può che essere diretto verso la coppia di assassini, dei quali condividiamo il terribile segreto. La presenza di un cadavere nel bel mezzo del salotto, quel cadavere sul quale stanno banchettando - letteralmente! - tutti i personaggi, è un perfetto motore di suspense hitchcockiana; e il nostro essere "complici silenziosi" di Brandon e Phillip ci induce a provare la loro stessa ansia di non farsi scoprire.
È un'altra 'trasgressione' compiuta da un film che recupera il paradigma del murder mystery e lo capovolge di centottanta gradi, ponendoci per una volta dalla parte dei colpevoli e trasformando il loro sguardo nel punto privilegiato di focalizzazione sul racconto. Mentre l'improvvisato detective di James Stewart, con le sue insinuazioni e le sue domande inopportune, finisce per diventare l'antagonista da cui tenersi a distanza... fino alla resa dei conti conclusiva, che si consumerà in uno snervante gioco fra il gatto e il topo, fra le tinte cangianti delle luci di Manhattan in una sanguinosa serata di primavera.