Un film arguto e dal ritmo forsennato, cinema di genere che arriva da una produzione vitale e affollata come quella sud coreana, una cinematografia che in più di un'occasione si è dimostrata garanzia di qualità. La recensione di Nido di vipere (in sala dal 15 settembre) potete leggerla più avanti, intanto basti la battuta "quando ci sono di mezzo i soldi non puoi fidarti di nessuno, neanche di tua madre" per capire la storia con cui avremo a che fare: un noir destinato a diventare cult, glaciali femmes fatales e sangue che scorrerà a secchiate, a metà tra il pulp di tarantiniana memoria e il disincanto a cui i fratelli Coen ci hanno già abbondantemente abituati. Dirige al suo debutto ad un lungometraggio Kim Yong-hoon, che fa propria la lezione del cinema coreano contemporaneo, una macchina perfetta capace di vendere intrattenimento attraverso la riproposizione di modelli già visti altrove, ma sempre in grado di stupire lo spettatore con lo stessa meraviglia della prima volta.
Cinema di genere: tra thriller e commedia nera
Beasts Clawing at Straws recita il titolo internazionale di Nido di vipere, letteralmente "bestie che si aggrappano a fili di paglia", ed effettivamente i suoi personaggi grotteschi, sciagurati e per nulla empatici, si aggrappano a qualsiasi cosa pur di rimanere a galla, vittime di un'avidità che poi è il motore dell'intero film. L'adattamento del romanzo Waranimosugaru Kemonotachi di Keisuke Sone messo in scena dall'esordiente Kim Yong-hoon non punta certo all'originalità. Di intrecci labirintici e folli come quelli che terranno banco per quasi due ore con annessa refurtiva attorno alla quale si svilupperà l'inarrestabile spirale di violenza, ne è pieno il genere. L'intento è piuttosto quello di intrattenere il pubblico costruendo una storia che prenda in prestito le regole del thriller e i toni della commedia nera, nerissima con tanto di denuncia sociale al seguito: nel mirino una società corrotta e i mali che vi si annidano.
Le regole dell'intrattenimento
Al piano sequenza iniziale spetta il compito di rivelare l'espediente narrativo attorno a cui ruoterà l'intera vicenda: una borsa Louis Vuitton piena di soldi, abbandonata nell'armadietto della sauna dove lavora un umile inserviente costretto a prendersi cura della madre malata e a subire le angherie di un manager senza scrupoli pur di sbarcare il lunario e pagare gli studi alla figlia. Sarà lui a ritrovarla e a intravedere in quella fortuita scoperta la possibilità di risolvere parte dei suoi problemi economici, ignorando però l'intreccio di storie che si nascondono dietro l'agognata refurtiva: un manipolo di spietati malviventi inconsapevolmente legati l'uno all'altro dalle trame di un destino beffardo. C'è un doganiere pieno di debiti a caccia di "un pollo da spennare", uno strozzino spietato, un'astuta femme fatale, un detective sui generis, una giovane escort vittima di un marito violento e un immigrato clandestino che si offre di aiutarla. Tutti sull'orlo del baratro, guidati da una feroce bramosia che tra tradimenti, doppiogiochismo, colpi di scena e gangster a buon mercato, si rincorreranno ognuno nel tentativo di mettere le mani sul fatidico bottino.
È un disperato gioco senza esclusione di colpi, orchestrato attraverso la suddivisione in capitoli, ben sei, e una struttura circolare dove l'inizio e la fine del film coincidono. La regia seppur priva di slanci autoriali può contare su una scrittura incalzante e tesa, in una girandola di svolte narrative portate brillantemente avanti da un cast sempre all'altezza, con una nota di merito in particolare per la spietata seduttrice interpretata da Jeon Do-yeon, che ha fatto la storia dei personaggi femminili nel cinema coreano da The Housemaid a Secret Sunshine, che nel 2007 le valse la Palma d'Oro per la migliore interpretazione. Sullo sfondo una città portuale e una fotografia che immortala nell'oscurità della notte un sottobosco di loschi figuri.
Conclusioni
La recensione di Nido di vipere si conclude ribadendo quanto sostenuto fino a ora: l’esordio al lungometraggio di Kim Yong-hoon conferma la vitalità della cinematografia coreana che sa fare industria. Citazionista e teso, il film prende in prestito tutte le regole del genere dal thriller alla commedia nera nella quale si agita un manipolo di personaggi disperati: reietti dominati dall’avidità che si rincorreranno in una spietata girandola di colpi di scena e doppiogiochismo.
Perché ci piace
- Un poliziesco teso e frenetico, che si ispira dichiaratamente al cinema di Tarantino e dei fratelli Coen, puro intrattenimento che riesce a stupire lo spettatore pur riproponendo esperienze già viste.
- Un film esteticamente e narrativamente perfetto, dove ogni elemento dell’ingranaggio funziona.
- Il cinema di genere coreano conferma ancora una volta la propria vitalità.
Cosa non va
- La storia non brilla per originalità, ma è in grado di intrattenere il pubblico sin dalla prima sequenza.