Cimentarsi, nel 2012, con un personaggio come quello di Nero Wolfe non era esattamente un compito agevole: questo vale ancor di più per una produzione televisiva italiana, che può vantare un precedente rimasto nella mente (e nel cuore) dei telespettatori come quello datato 1969 e interpretato da Tino Buazzelli e Paolo Ferrari. Nonostante ciò, l'eclettico Luca Barbareschi con la sua Casanova, il regista Riccardo Donna e un attore valido e popolare come Francesco Pannofino, hanno "preso il toro per le corna", come si suol dire, e affrontato il difficile compito di dare nuova vita al detective uscito dalla penna dello scrittore statunitense Rex Stout, in una nuova miniserie di 8 episodi che andrà in onda a partire da giovedì 5 aprile, su RaiUno. Ad affiancare il protagonista, l'attore Pietro Sermonti (già sua spalla in Boris), nel ruolo del suo fidato aiutante Archie Goodwin, Andy Luotto a impersonare lo chef di fiducia Nanni Laghi, e Giulia Bevilacqua a vestire i panni di Rosa Petrini, intraprendente giornalista (assente dai romanzi originali) che finirà spesso per dare una mano alla coppia di detective; il tutto, in un'ambientazione completamente rinnovata, dalla New York degli anni '30 alla Roma di fine anni '50, una scelta inusuale che, tuttavia, lascia sostanzialmente inalterato l'intreccio degli otto romanzi che sono stati scelti per fare da modello ai rispettivi episodi.
La minserie è stata presentata a Roma, in un'affollata conferenza stampa, da regista, produttore e attori principali, insieme allo sceneggiatore Piero Bodrato e al direttore di Rai Fiction Fabrizio Del Noce.
Perché avete scelto di recuperare un personaggio come Nero Wolfe?
Fabrizio Del Noce: Perché sono passati 40 anni dall'ultima sua apparizione televisiva, e nel frattempo sono saltate due o tre generazioni. Abbiamo fatto una ricerca attenta sia degli attori che del regista, e alla fine abbiamo scelto Pannofino: ci sembrava adatto perché univa psichicità e fisicità per un personaggio come quello di Nero Wolfe. Può restare solo il dubbio su quanto un prodotto ispirato a un genere di 40 anni fa, quello del giallo psicologico, possa interessare il pubblico di adesso, abituato all'azione: ma è una scommessa che abbiamo comunque voluto fare.
Non temevate il confronto con due mostri sacri come Tino Buazzelli e Paolo Ferrari?
Si vede nella fiction una Roma molto particolare, glamour: l'ambientazione è molto diversa da quella classica di questa città.
Riccardo Donna: Quella che ho raccontato è una Roma che non c'è, di fantasia: un luogo glamour che in qualche modo potesse ricondurre all'ambientazione originale, alla New York degli anni '30.
Comunque, tra le caratteristiche che sono rimaste dei romanzi, c'è la serra con le orchidee coltivate dal protagonista... Riccardo Donna: E' la prima immagine che ho del vecchio sceneggiato. Ne vidi qualche puntata da bambino, ma allora non mi piaceva molto; solo di recente, quando mi hanno offerto questo progetto, l'ho rivisto e ho capito che avevo per le mani un giocattolo interessante. Ho potuto metterci la fantasia che ho incamerato in tutti questi anni, giocando un po' con i generi. Nonostante il fatto che tutti, ora, faranno paragoni con lo sceneggiato di 40 anni fa, questa è televisione fatta per oggi: è un'opera nuova, che si ispira principalmente ai romanzi.
Avete pensato solo ai romanzi, nello scrivere questi otto episodi, o vi siete ispirati ad altre fonti?
Pannofino, che effetto le ha fatto interpretare un personaggio del genere?
Francesco Pannofino: Per me quello con Buazzelli era un confronto difficile e pericoloso: dello sceneggiato dell'epoca ho un ricordo un po' annebbiato, ne ho viste poche puntate. Ho capito subito che era inutile cercare di scimmiottarlo: mi sono praticamente ritrovato con lui sul groppone e gli ho chiesto gentilmente di scendere: lui, da gran signore qual è, l'ha fatto. Mi sono trovato a interpretare un personaggio complesso, geniale ma contemporaneamente fragile, con le sue debolezze: ha paura delle donne, la sua è quasi una fobia. Non che non ami le donne, ma non ama le chiacchiere: in passato ha amato ed ha sofferto. Si è costruito una corazza intorno, e ora si dedica alle bellezze della natura, con la coltivazione delle orchidee: la bellezza della natura, per lui, attenua le brutture umane. Ama anche la buona cucina, poi, e in questo siamo affini.
Sermonti, il suo personaggio ha un rapporto diretto e conflittuale con quello di Wolfe...
Pietro Sermonti: Lui è innanzitutto devoto al suo datore di lavoro: una specie di "pesce pilota", che viene inviato a captare informazioni in questa città fumettistica, di fantasia. Wolfe ha delle intuizioni geniali, tutta la serie è basata su un meccanismo giallo demandato solo all'intelligenza: questo è un aspetto che la rende diversa dalle serie attuali, in cui le indagini sono invece affidate alla tecnologia. Il menage familiare che si crea tra questi tre uomini, con la presenza del cuoco, è invece l'aspetto di commedia.
Bevilaqua, la giornalista che lei interpreta ha una storia con Goodwin, ma ha anche la funzione di stimolare le indagini...
Con il trasferimento delle storie da New York a Roma, non avete paura di deludere gli appassionati dei romanzi? Qualcuno potrebbe pensare che di Nero Wolfe si sfrutti solo il titolo...
Luca Barbareschi: Veramente, la struttura è esattamente quella delle storie, abbiamo comprato a peso d'oro i diritti di otto romanzi di Stout. A me era venuto in mente il personaggio di Dick Tracy nel film di Warren Beatty: volevo fare un serial che si ispirasse in qualche modo a quel tipo di figura, che fosse iperrealista. Doveva essere un po' come un supereroe: era un elemento che già c'era nei romanzi di Stout, visto che Wolfe ha delle intuizioni geniali, che sono quasi sovrannaturali, da supereroe. Inoltre Wolfe, come Stout, ha origini montenegrine: Stout parlava molto bene italiano, durante la guerra ha vissuto per parecchio a Roma.
Piero Bodrato: Gli otto episodi sono tratti da altrettanti romanzi di Stout, e credo formino storie abbastanza credibili: forse sarebbe stato meno credibile vedere attori italiani che interpretavano degli americani degli anni '30. Credo che, per i lettori di Stout, abbiamo comunque mantenuto l'essenza di Nero Wolfe.
Barbareschi, qual è la molla che in genere la spinge a produrre una serie? Luca Barbareschi: Abbiamo una linea condivisa con la Rai, che consiste nel proporre prodotti che sulla carta siano un po' più sofisticati del solito. In molte delle nostre fiction, per esempio, ci sono attori secondari che in genere fanno i protagonisti: questo dà il senso di una struttura collettiva.
Vedendo Pannofino e Sermonti insieme non si può non pensare a Boris. Ne avete tenuto conto?
Pietro Sermonti: I primi ad essersi stupiti di essere stati scelti siamo stati proprio noi: venivamo da una serie come Boris che era di natura completamente diversa, rivolta ad un pubblico molto più settoriale di quello di RaiUno.