Un poliziesco metropolitano ambientato per le strade televisivamente meno note della capitale, quelle multietniche che si snodano tra il Rione Monti e l'Esquilino, tra l'esotica piazza Vittorio e le viuzze del centro storico. Ad animarle le disavventure di un'insolita coppia di poliziotti: il sarcastico e ruvido Carlo Guerrini (Claudio Amendola) e il giovane e ambizioso Malik Soprani (Miguel Gobbo Diaz). A dividerli non è solo il diverso temperamento, ma anche il colore della pelle: bianca quella di Carlo che a Roma ci è nato e cresciuto, nera quella di Malik, italiano d'adozione.
Sono i protagonisti di Nero a metà, la serie di Marco Pontecorvo (una produzione Rai Fiction-Cattleya in collaborazione con Netflix) in onda in prima serata su Rai1, che da lunedì 19 novembre ci terrà compagnia per sei puntate e che conferma una tendenza ormai consolidata della tv pubblica nel campo della serialità.
"Nero a metà si inserisce nel filone del racconto poliziesco di Rai Fiction, che vede spesso l'uso dell'opera letteraria, basta pensare a I bastardi di Pizzofalcone", spiega la direttrice di Rai Fiction Tinni Andreatta. "In questo caso si tratta di un'idea originale e ancora prima di sviluppare la scrittura è stato necessario capire chi fosse il protagonista. Il personaggio che ci è stato presentato era quello di un poliziotto esperto, disincantato, che vive la strada; per noi è stato subito Amendola". Che dopo diversi anni di assenza, torna così alla lunga serialità targata Rai. A fargli compagnia Fortunato Cerlino, Rosa Diletta Rossi, Alessandro Sperduti, Margherita Vicario, Daphne Scoccia e Angela Finocchiaro.
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Un racconto sul pregiudizio e sull'integrazione
Il titolo della serie è emblematico e non può sottrarsi all'eco dei temi caldi della nostra contemporaneità come l'integrazione, il razzismo, la diffidenza, ma nello stesso tempo, come fa notare la direttrice di Rai Fiction, si riferisce al lato più oscuro del protagonista: "Carlo è un uomo ruvido, concreto e ha dentro di sé una grande ferita, un segreto che arriva dal suo passato e che emergerà letteralmente dal sottosuolo, dopo alcuni scavi in metropolitana".
Nero a metà definisce anche il tono del racconto che "è insieme crime e quotidiano e riguarda il vissuto personale dei protagonisti, ma anche la commedia umana di una squadra di poliziotti di quartiere e di una coppia investigativa composta da personaggi molto diversi per generazione, l'uno più esperto, l'altro fresco di accademia, e per provenienza sociale, da un lato l'uomo del popolo, dall'altro un giovane borghese di colore, attraente, fascinoso, uno studente perfetto. I motivi di conflitto sono tanti".
Ed è certamente una storia sul pregiudizio: "Quello sul colore della pelle o di due persone di provenienza sociale e culturale diversa o di chi non sapendo come sia l'altro ha delle idee che non corrispondono a quelle reali", conclude Andreatta.
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Poliziesco metropolitano tra humour e cronaca
Sullo sfondo la Roma più vivace e multiculturale, ma anche la più dolorosa e sommersa degli affari loschi sulla pelle dei migranti, degli edifici dismessi diventati ricettacolo di spaccio, disperati e clandestini; Nero a metà è una fotografia che si nutre di fatti di cronaca, ma senza riferimenti precisi e che come avverte la sceneggiatrice Donatella Diamanti "non sdogana il razzismo".
Un messaggio politico? Niente affatto, taglia corto Claudio Amendola: "Abbiamo finito di girare ad aprile quando il governo doveva ancora insediarsi, quindi no". E guai a definire razzista il suo personaggio, anche quando si fa sfuggire un "negro" di troppo: "Carlo è un uomo allergico alle regole, ma è anche capace di tirare fuori una carezza ed è un capo amato dalla sua squadra" - spiega - "abbiamo cercato di raccontare la diffidenza e l'incapacità di essere onesti con se stessi. C'è in lui una parte molto nera, dolorosa e oscura, una ferita rimarginata che si riapre e ricomincia a sanguinare. È stata la parte su cui con Marco ci siamo confrontati di più, per dargli quello spessore che puntata dopo l'altra facesse innamorare lo spettatore".
Spazio anche all'ironia e ai toni più leggeri, quello "humour tipicamente romano" in una storia che Riccardo Tozzi di Cattleya non esita a definire "uno sguardo laico sulla tolleranza".
Una storia carica di umanità diverse e dove vedremo finalmente sorridere Fortunato Cerlino (il boss di Gomorra - La Serie, Pietro Savastano): "Con noi non lo ha mai potuto fare, qui sì", scherza Tozzi.