Cominciamo questa recensione di Nell'erba alta facendo un piccolo passo indietro: il nuovo horror arrivato su Netflix è l'adattamento di un racconto scritto a due mani da Stephen King e dal figlio Joe Hill (autore di NOS4A2, alla base di una recente trasposizione), pubblicato in due parti sulla rivista Esquire nel 2012.
Nella creazione di questa storia, padre e figlio, e poi Lorenzo Natali che dirige il film, si sono imbarcati in una memorabile impresa (fallita miseramente da M. Night Shyamalan prima di loro): fare dell'erba la protagonista di un horror. Sono davvero riusciti a rendere terrificante qualcosa di tendenzialmente così innocuo? Solo in parte, ma il risultato finale non ci ha comunque deluso.
Una trama nello stile di Stephen King
Becky (Laysla De Oliveira) e Cal Demuth (Avery Whitted) sono un coppia di fratelli in viaggio verso San Diego. Lei, incinta al sesto mese, non si sente bene ed è costretta a far fermare l'auto. I due si ritrovano, così, sul limitare di un campo di erba alta più di due metri, vicino ad una chiesa che sembra abbandonata ma davanti alla quale sono parcheggiate decine di macchine. Molto presto un grido attira la loro attenzione: un bambino di nome Tobin dice di essersi perso nell'erba con la famiglia diversi giorni prima e che nessuno di loro riesce più a uscirne. Backy e Cal decidono quindi di inoltrarsi anche loro nel campo, ignari che questa scelta potrebbe rivelarsi per loro letale. Una volta entrati si renderanno infatti subito conto di non essere più in grado di tornare indietro, non riuscendo nemmeno più a ritrovarsi e riunirsi.
Gli estimatori di Stephen King si accorgeranno, anche solo con questa breve premessa sulla trama, di quanto questo Nell'erba alta sia caratterizzato da molti degli elementi più tipici della bibliografia dell'autore. Le atmosfere della prima parte del film, in cui l'incredulità si fa sempre più spazio nella mente dei protagonisti e l'angoscia e lo sconforto prendono lentamente il sopravvento, sono estremamente simili a quelle di 1408 (adattato per il cinema nel 2007) o a racconti brevi come I figli del grano ed E hanno una band dell'altro mondo, in cui una coppia di malcapitati personaggi si smarrisce in località isolate (ed inquietanti) dell'America rurale. La stessa erba alta, e soprattutto il modo che ha di fagocitare le sue vittime, ricordano come L'Overlook Hotel si impadroniva dei suoi inquilini, portandoli con la follia dalla sua parte o rivoltandoli l'uno contro l'altro. L'appartenenza ad un immaginario così tipicamente kinghiano è senza dubbio un pregio di questo film, che riprende alcune di quelle caratteristiche che rendono così particolari ed indimenticabili le opere dell'autore.
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Difficoltà di adattamento
Chi scrive si è approcciato alla visione di Nell'erba alta con aspettative decisamente positive, in parte basate sul fatto che le storie brevi sono forse il materiale più facilmente adattabile della sconfinata bibliografia di King. Romanzi come It e L'ombra dello Scorpione, solo per citarne i più famosi e consistenti, necessitano di molti tagli e rimaneggiamenti prima di arrivare sul grande schermo, cosa che invece non serve per i racconti, generalmente più semplici e lineari (un esempio ben riuscito può essere 1922, riadattato sempre da Neflix).
Nel caso di Nell'erba alta, però, l'impressione che ci siamo fatti è che ci si distacchi ben presto dal materiale originale: l'opera King e Hill copre si e no la parte inziale del film, lasciando ciò che rimane all'estro creativo di Natali (che si è occupato anche della sceneggiatura) che porta la storia in una direzione diversa ed inedita. Questa è stata senza dubbio una scelta necessaria, perché il materiale di partenza era forse un po' troppo scarso per riempire i canonici 90 minuti di un film, ma forse non del tutto vincente. Più ci si avvicina al finale più infatti si perde quel senso di smarrimento e tensione che caratterizzano tanto la prima parte del lungometraggio .che il racconto su cui è basato. Più la narrazione si espande più le cose si fanno confuse
Una caratterizzazione altalenante per i personaggi
Passiamo ora ad una delle note dolenti del film: la caratterizzazione poco curata dei personaggi. Se da una parte un habitué degli horror come Patrick Wilson se la cava molto bene nel ruolo del padre folle di Tobin, mostrandoci ancora una volta di essere adatto nella parte del villain della situazione, il resto del cast non riesce a spiccare con le proprie interpretazioni. I personaggi principali - Becky, Cal e il fidanzato di lei, Travis, che presto li raggiunge - non vengono mai approfonditi come meriterebbero, impedendo alla spettatore di empatizzare con loro e di preoccuparsi per il loro destino. Tutto ciò è particolarmente evidente nel caso di Becky che, seppur restando in scena per gran parte del film, ci rivela molto poco di lei e delle sue motivazioni. Questo è dovuto al fatto che, a differenza del racconto originale, qui non possiamo avere accesso ai suoi pensieri o a flashback sulla sua vita prima di inoltrarsi nell'erba: lasciare il suo personaggio così in superficie ci rende difficile comprenderne le scelte, soprattutto quelle relative alla gravidanza (che è però un elemento fondamentale per lo svolgimento della trama).
Un horror che divide
Come vi accennavamo la parte più debole del film è senza dubbio quella finale, che si distacca completamente dal racconto originale e in cui la narrazione si fa più confusa e dal ritmo altalenante. L'elemento horror, poi, è decisamente meno presente di quello che ci aspettavamo, rendendo i momenti di tensione più blandi e prevedibili. Nell'erba alta potrebbe quindi dividere i suoi spettatori: da una parte gli amanti di King che apprezzeranno le atmosfere della prima parte, dall'altra chi si aspettava un film ben più ricco di momenti spaventosi e che potrebbe restare deluso dal un finale meno forte di quanto immaginato.
Conclusioni
Terminiamo questa recensione di Nell’erba alta sottolineando come questo nuovo horror Netflix sarà certamente apprezzato dai fan di Stephen King, che scrive insieme al figlio Joe Hill il racconto su cui è basato. Le interessanti premesse e le atmosfere che vengono ricreate nella sua prima parte sono certamente i suoi elementi più riusciti. Lo svolgimento un po’ confuso del finale e la scarsa caratterizzazione dei personaggi potrebbero invece deludere.
Perché ci piace
- Le atmosfere tipicamente kinghiane.
- Le premesse interessanti e originali.
- Patrick Wilson nel ruolo del cattivo.
Cosa non va
- Il finale dal ritmo altalenante.
- I personaggi poco caratterizzati.