Era solo una questione di tempo, prima che qualcuno decidesse di fare una commedia non solo sulla pandemia, ma specificamente sul suo impatto sull'industria cinematografica. E a farlo ci pensa Netflix, cosa a suo modo umoristicamente coerente perché chi meglio per sbertucciare la recente crisi di Hollywood se non il gigante dello streaming che ha beneficiato più di tutti durante il primo lockdown? Eccoci, dunque, a scrivere la recensione di Nella bolla, nuova commedia di Judd Apatow che, in pieno spirito burlone, arriva sulla piattaforma il 1° aprile, ed è stata preceduta da un simpaticissimo pesce anticipato, ossia il finto trailer del film a cui stanno lavorando i protagonisti. Film che, naturalmente, a sua volta prende in giro la miriade di blockbuster interrotti e/o rimandati a causa del Covid, elemento a cui allude uno dei personaggi, pezzo da novanta del mai identificato studio, che dice apertamente: "Siamo uno di due film attualmente in produzione. Noi, e Tom Cruise."
Bolle, bolle ovunque
Nella bolla (in originale The Bubble) deriva il suo titolo dal concetto della "bolla" sui set, ossia lo stratagemma escogitato da produzioni come Jurassic World: Il dominio per riprendere il lavoro in piena pandemia. Per quel film, infatti, la Universal ha prenotato un unico albergo per tutti i membri di cast e troupe, con l'imposizione di rimanere in isolamento nelle proprie stanze per due settimane e poi di evitare contatti con persone esterne alla bolla. Tale sistema è stato impiegato anche da altri film, ed è quello messo in atto, in un lussuoso complesso britannico, per coloro che stanno lavorando al sesto capitolo di Cliff Beasts, franchise di successo a base, guarda caso, di dinosauri. Non mancano i problemi all'interno della bolla: Carol Cobb (Karen Gillan), tornata all'ovile dopo aver saltato il quinto episodio, si lamenta delle condizioni lavorative e viene punita con la progressiva riduzione delle sue scene; Dustin Mulray (David Duchovny) e Lauren Van Chance (Leslie Mann), che fanno coppia nella vita, stanno attraversando una crisi; Dieter Bravo (Pedro Pascal), il nuovo arrivato, fatica ad adattare il suo stile serioso di recitazione a un progetto dove l'ignoranza regna sovrana. E questi sono solo alcuni degli elementi che potrebbero compromettere, anche in modo irreversibile, l'esito dell'esperimento anti-Covid messo in piedi dai produttori.
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Improvvisazioni pandemiche
Per Judd Apatow questa è un'operazione atipica: il prolifico regista, sceneggiatore e produttore tende infatti a girare commedie più piccole, dallo stampo molto personale, con situazioni tratte dalla sua vita e/o da quella dei protagonisti (vedi Amy Schumer in Un disastro di ragazza o Pete Davidson ne Il Re di Staten Island). Non mancano le battute su Hollywood e dintorni (soprattutto in Funny People, con la versione neanche tanto romanzata della filmografia dell'amico Adam Sandler), ma sempre in contesti abbastanza contenuti. L'esatto opposto di quello che accade qui, dove Apatow deve pensare in grande, con finti set, green screen e CGI, pur mantenendo quella dimensione di simpatico cazzeggio improvvisato tra gli attori. E dinanzi a quell'equilibrio si nota l'evidente disagio di un cineasta che, supportato dai finanziamenti e la non-interferenza di Netflix, ha a disposizione tutti i mezzi possibili ma non riesce a piegarli alla propria poetica. È il terzo film più corto della carriera registica di Apatow (credits esclusi siamo intorno alle due ore scarse), ma tra battute stantie e ritmi comici smorzati dalle dimensioni gigantesche del progetto è come se durasse molto di più.
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Non c'è quel guizzo di personalità che accompagna le opere del regista, sostituito da gag che già a due anni dall'accaduto sanno di trito e ritrito, fra violazioni delle quarantene, vaccini solo per i ricchi, pulizia frenetica e chi più ne ha più ne metta. Nelle intenzioni di Apatow, questa doveva presumibilmente essere la versione Covid de I protagonisti, una satira che mette a nudo i vizi di Hollywood ai giorni nostri. Solo che inanellando situazioni e battute di ogni genere si passa continuamente da un bersaglio all'altro, senza mai veramente colpire nessuno di essi, anche perché le battute in questione sono tutte da minimo comune denominatore (il nadir è la influencer - interpretata dalla poco meno che ventenne figlia del regista, Iris Apatow - che dà della boomer a Karen Gillan, che durante le riprese aveva 33 anni). Un groviglio di scarsa originalità e scarso spirito dove si salvano soli pochi momenti individuali, grazie a interpreti come Duchovny o Keegan Michael Key, il cui carisma comico è inscalfibile anche in contesti alquanto insipidi come questo. Da quel punto di vista, forse quella del primo aprile era l'unica data possibile per dar debuttare il film, in quanto esso stesso è un lungo, a tratti interminabile pesce che si spaccia per grande divertimento.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Nella bolla sottolineando come si tratti di un raro passo falso di Judd Apatow che, in collaborazione con Netflix, firma una stanca satira del cinema all'epoca del Covid.
Perché ci piace
- L'idea di base è interessante.
- Gli attori sono tutti simpatici.
- Gli effetti speciali, anche se con intento parodistico, funzionano.
Cosa non va
- Lo humour pandemico è estenuante.
- Le gag sul cinema sono tutte trite e ritrite.
- Manca l'elemento personale che costituisce il fascino dei film di Judd Apatow.