C'è qualcosa di intimo, personale, nascosto tra le pagine di un diario. Ogni volta che la punta di una penna lascia il proprio segno sotto forma di inchiostro, ci si spoglia delle proprie corazze, rivelando una natura fragile, pura, insicura. Capita poi che i registi trovino nell'accensione di una cinepresa la stessa forza dirompente delle pagine di un diario. Confessori e strumenti esorcizzanti delle proprie fobie e ricordi più dolorosi, le macchine da presa contengono e traducono in altre storie, racconti personali finora mai detti. Ci si affida a quelle immagini con la speranza di vedere alleggerire la propria anima dal peso di quei timori. Capita poi che un film diventi diario, e che da quell'avventura cinematografica vengano recuperate impressioni e ricordi su carta, in un gioco di specchi e scatole cinesi attraverso il quale l'interiorità di un regista viene fuori. Così è stato per Caro Diario di Nanni Moretti, film cult del 1993, attraverso il quale il regista affida allo scorrere dei fotogrammi il ricordo della sconfitta del proprio tumore. Proprio da quei mesi di riprese così intensi, sono stati tratti dei diari, questa volta veri, che raccontano i pensieri, i timori che hanno affiancato la sua realizzazione. Pagine lette con ironia e attenzione dallo stesso regista nel corso di un tour in cui Nanni Moretti legge i diari di Caro Diario, svestendosi dei suoi abiti di autore per mostrarsi in quelli di uomo. Così è stato per il pubblico del Bicinema di Parco di Bussoladomani a Lido di Camaiore che l'8 agosto 2021 ha potuto scorgere in ogni respiro, o sguardo alto, di Nanni Moretti, quelle stesse paure e insicurezze che lo hanno attanagliato nel corso della scrittura, e realizzazione di Caro Diario. Una macchina del tempo in formato racconto che ha portato indietro centinaia di persone, unite dalla forza del ricordo prima affidato al potere della scrittura e adesso del racconto orale. Una grande famiglia raccolta attorno al fuoco del cinema che con Nanni Moretti riscopre aneddoti, curiosità e aspetti prima tenuti nascosti e ora pronta a colpirli, in una condivisione universale di gioie, paure, speranze, insicurezze.
La nascita di Caro Diario
"Caro diario...": quante volte abbiamo scritto, o solo pensato, questo incipit da tralasciare su fogli di un quadernino chiuso con attenzione con un lucchetto. Per Nanni Moretti quel "caro diario" corrisponde a uno dei suoi film più intimi e apprezzati della sua carriera cinematografica. Un film diverso, introspettivo, che si distacca dalla sua produzione precedente, e che lo stesso Carpentieri, rifiutandosi di girare una scena, sul retro di un'Ape Piaggio, aveva intuito quando affermò che non capiva perché Nanni facesse delle scene del genere. Lui, scene così, dopotutto, non le aveva mai viste nei suoi film. Sarà nelle parole dell'operatore di macchina che si raccoglie tutta la portata rivoluzionaria di questo film quando, prendendo da parte Carpentieri, gli risponde "sì, ma questo è un altro film". E in effetti Caro Diario è un altro film. E pensare che, come racconta lo stesso Nanni nei momenti iniziali dell'incontro, ha iniziato a girare il film "senza rendermi conto di aver iniziato a girare il mio nuovo film". Era il 27 aprile del 1992 quando, guardando i provini degli aspiranti interpreti dei suoi figli, qualcosa sussurra all'orecchio del regista che non va. "Non mi entusiasma la storia di uno psicoanalista che vive alle Eolie e lì impazzisce. Mi sa che non ho voglia di farlo, mi sa che spero che la RAI mi dica di no. Non ho più voglia di recitare urlando, incazzandomi contro gli altri personaggi cattivi, faciloni. Ho poca voglia di parlare, forse per questo ho scelto di interpretare uno psicoanalista".
C'era come il sentore in Nanni che qualcosa non tornava in questo suo nuovo film, rimasto nello stadio embrionale. Una sensazione viscerale, una voglia di liberarsi da quei pensieri che lo portano a salire su una Vespa e scorrazzare per le vie di una Roma deserta d'agosto. E così, quello che era nato come un cortometraggio da proiettare al Nuovo Sacher prima di un film vero e proprio, e girato con poche persone ("si fa prima e meglio così") si tramuta nell'idea primigenia, la scintilla divina che darà il via al suo nuovo film: Caro Diario. Era il 28 agosto 1992. Nelle sale della Technicolor lo stesso Moretti ha la sua epifania: "ma quale cortometraggio. Io voglio fare un intero film così, con questa leggerezza, incoscienza e irresponsabilità che mi ricorda quando a 20 anni facevo i filmini in super8 senza angoscia, perché sapevo che li avrebbero visti solo amici e parenti. Mi è tornata la voglia di lavorare. Ora devo scrivere gli altri capitoli del diario. Questo sarà il mio prossimo film".
'Sono un regista modesto, uno zero assoluto'
Non ha bisogno di presentazioni, Nanni Moretti. Sale sul palco illuminato da un occhio di bue investito da un'orda di applausi. Alza lo sguardo il regista, e i ricordi impressi su carta si rifanno vivi, prendendo corpo nella mente dei propri spettatori come un film del tutto personale. Nella potenza di quell'applauso si ritrova tutta l'ammirazione del pubblico verso un autore come Moretti. Un riconoscimento che va a cozzare con le parole che si propagano nel parco della Bussola di Lido di Camaiore. È il 3 marzo 1993. "Sul set arriva il panico quando devo impostare la scena, decidere le inquadrature, pensare al possibile montaggio. Penso di essere un regista modesto, scolastico, anzi forse nemmeno scolastico, perché in quel caso seguirei delle regole sicure. Quando sul set mi vengono idee di regia mi stupisco". Modesto, ecco come si auto-definisce Moretti. Eppure sul set l'attenzione ai dettagli gioca a braccio di ferro con dei guizzi creativi, nati sulla scia di un'occasione da prendere al volo. Un po' come a Salina, dove è riuscito a immortalare il passaggio di una nave, dando vita a una delle inquadrature più poetiche del film. "19 maggio 1993. Sto lavorando in moviola. C'è un'inquadratura piuttosto bella che non era prevista, girata a Salina. Una nave che passa dietro la porta del campo di calcio. Sapevo che a una certa ora sarebbe passata. Al volo ho detto all'operatore di seguirmi in panoramica. Un'inquadratura decisa all'ultimo momento; la nave passa da lì solo due volte a settimana. Quindi ho girato un solo ciak ed è forse una delle immagini più belle del film".
Ma la gioia di un momento lascia ben presto spazio agli imprevisti del set. "In un'inquadratura", racconta Moretti, "avevo un ciuffo che sembravo Little Tony. In un'altra il suono era intubato; c'erano dei ciak con un pelo nella parte alta del fotogramma, e mi sono arrabbiato con l'assistente operatore. Poi mi sono imposto di stare zitto perché non mi andava di protestare sempre". Un nervosismo, questo, figlio della cura dei dettagli, che lo stesso medico cinese, chiamato sul set per interpretare se stesso, denota e sottolinea con ironia. "Il medico cinese afferma che nel suo lavoro (agopuntura) guadagna circa dai 10 ai14 milioni di lire a settimana. Ieri cercava di rilassarsi. Diceva che 5 secondi senza pensare equivalgono a 5 ore di sonno. Lui ci ha provato, ma sul set era impossibile rilassarsi. Si è stancato di più in un giorno con noi che in 30 sedute di agopuntura". E così la consapevolezza dei propri mezzi, la voglia di rischiare, va a scontrarsi con un'improvvisa perdita delle proprie sicurezze, soprattutto quando va a confrontarsi con il talento altrui. È il 21 marzo. "Al Nuovo Sacher ho visto il quinto episodio di Heimat 2. Nel guardarlo, per quanto felice ed emozionato mi potessi sentire, come regista mi sono sentito come uno zero assoluto, soprattutto rispetto alla grazia e semplicità nel raccontare di Edgar Reitz". E poi, "_spesso penso che non ho grandi capacità per questo mestiere. Un po' supplisco girando tanta pellicola, difendendomi con l'ironia, cercando di non fare film troppo pretenziosi lavorando molto sulla recitazione, però non credo di avere un grande talento".
Nessuna sceneggiatura
Non c'era nulla di pronto per Caro Diario. Solo un trattamento, nulla più. Nessuna sceneggiatura alla base, come ci rivela lo stesso Moretti. "21 febbraio 1993. Domani comincio a girare il capitolo dei medici. Sono molto indietro. Tra 3 settimane andiamo alle Isole Eolie e per quel capitolo non ho pronto niente. Non ci sono gli ambienti, gli attori, la sceneggiatura. Cominciamo a girare qui a casa. Essendo un film diario, per onestà voglio girare casa mia a casa mia. La sceneggiatura non esisterà mai. Così come per Palombella rossa che durante le riprese è stata un massacro, anche questa volta comincio il film senza essere pronto". Ma la voglia di rivoluzionare il proprio operato, sembra scontrarsi ben presto con il desiderio di lasciare tutto. "È il 28 febbraio. Sono le due di notte. Non sono pronto per girare. Due ore fa ho pensato di non presentarmi sul set domani, non l'ho mai fatto. Non so che far dire agli attori".
Caro Diario, tra girare e rimandare
Tanti ciak, oppure notevoli ritardi. Un tira e molla che Nanni Moretti non ha paura di rivelare, svelare, recuperare dal cassetto dei ricordi per renderlo alla portata di tutti. Sono quasi una carezza, data con leggerezza a ogni spettatore, questi aneddoti; memento per ricordare a ognuno dei presenti che la paura di non farcela, è umana. Una montagna russa di emozioni, la sua, che Moretti racconta con ironia, coinvolgendo il proprio pubblico nelle (dis)avventure che lo hanno accompagnato sin dal primo giorno di riprese. È il 22 febbraio 1993. "Come sempre giro poche inquadrature, ma molti ciak, troppi, e alla fine tutti uguali. Devo girare le scene a casa in modo più semplice e secco. Il soggiorno con la vetrata è molto fotogenico. Sto rischiando di girare cose troppo preziose. Nel capitolo dei medici, in cui racconto il mio tumore, non ho bisogno altro che raccontare in maniera diretta quello che mi è successo senza distrazioni e inquadrature essenziali e molto semplici". E anche quando l'orgoglio inizia a farsi largo per una scena ritenuta ottima e soddisfacente, ecco che il destino ci mette lo zampino, prendendolo per il collo e colpendolo con forza, portando il regista a rifare tutto.
"25 marzo. Lipari. Eravamo in una stanza al piano terra e stavamo cercando di fare il programma per i prossimi giorni. Entra Angelo dicendo di avere una notizia spiacevolissima. Io penso a incidenti, malattie... la scena finale è venuta sfuocata. Per i primi secondi sono contento che la brutta notizia riguardi il lavoro e non altro. Poi questa cosa mi abbatte, togliendomi ogni gioia ed entusiasmo, che oltretutto non c'erano. C'è solo panico, stanchezza, preoccupazione, un po' come a battaglia navale. Colpito e affondato". E così ecco farsi largo un pensiero che farà capolino una, due, tre volte, nel corso dei giorni. "Ogni tanto penso che il film si risolva in una bolla di sapone. Un film sbagliato che nessuno andrà a vedere. Non sarebbe male fare un film, se soltanto avessi i dialoghi pronti".
Quello che investe Moretti è un andirivieni tra sicurezze e debolezze, che ritrova nella corsa affannata per presentare il film alla Mostra del cinema di Venezia, la sua massima rappresentazione metaforica. Una perdita delle proprie capacità che unisce come un fil-rouge l'intera produzione, dalle Eolie, a Salina, fino a Roma. "Ho girato qualcosa ma non mi sento in grande forma. Sono lento e con poche idee. Ci sono buchi nella sceneggiatura che spero - non so come - di riempire durante le riprese. Penso sarà impossibile tentare di andare al Festival di Venezia. Forse con più tempo il film verrà meglio. Mi detesto quando perdo tempo, ma scrivere su questi quaderni non è mai tempo perso". "Qui alle Eolie non sono stato molto capace. Non sono stato lucido, bravo, freddo, non sono stato veloce. Ho sprecato tante energie, mie e degli altri. Ho sprecato tanto tempo e tanti soldi. Invece mi piacerebbe essere bravo, per me, per Silvia, e per quelli che un po', nonostante tutto, mi stimano". "In 5 giorni a Salina sono riuscito a girare solo il programma di un giorno e mezzo. Mai stato così lento". "A Panarea Ho sprecato tempo prezioso, incantandomi su campi lunghi e totali molto meno importanti di inquadrature strette che non sono riuscito a girare. Dilettante. La scena è incompleta".
Una spinta umorale al limite del bipolarismo che porta Moretti a credere nel proprio progetto, fino a presentarlo a Venezia, per poi perdere ogni speranza, come dimostra lo scambio di battute trascritto sulle pagine dal 21 al 24 giugno.
"21 giugno. Se ieri c'erano 30 possibilità su 100 di andare a Venezia, oggi ne sono rimaste 5. Peccato perché avevo acquistato una camicia a quadri che mi piaceva".
"22 giugno. Oggi siamo partiti ufficialmente. Tentiamo di fare a tempo per Venezia. Tra un mese lo faremo vedere alla commissione di selezione".
"Due giorni dopo. Oggi ho capito che non faccio in tempo ad andare a Venezia. Ieri mi ero già reso conto che eravamo in ritardo su un programma strettissimo che avevo appena stabilito con il montatore. Avevamo deciso di lavorare anche i sabati. Ma il montatore si è ricordato che sabato prossimo ha il matrimonio del cognato. E al matrimonio del cognato mi sono arreso. Sono crollato. Basta. Niente Venezia".
Circondarsi di amicizia
Se c'è una tradizione a cui Nanni Moretti non è mai venuto meno, è quella di circondarsi di amici, fuori e dentro il set. Lo faceva con il padre, professore di epigrafia greca all'università, costretto dal regista a far parte dei suoi film. Una collaborazione andata avanti fino a Caro Diario, quando è stata la morte del genitore a fermare questo tacito coinvolgimento. E nello stesso Caro Diario, film così personale e intimo, sono innumerevoli gli amici e conoscenti chiamati da Moretti sul set. Una collaborazione a cui il regista oggi ripensa con simpatia e malinconia, sebbene al momento di ogni ciak, un alone di nervosismo e paura di sbagliare, aleggiava sul set. Un'ansia da prestazione che il regista non ha avuto paura di annotare e poi raccontare. "5 marzo. Oggi ha recitato Schiano, il principe dei dermatologi. 10 ore con lui mi spolpano. Vuole sempre essere rassicurato, coccolato con attenzioni continue. Fa battute, si lamenta. E le due cioccolate calde che gli portiamo fanno schifo; e la sua parte è troppo piccola. Io che lo innervosisco. Lui si dice un grande attore, ma alla fine non è nemmeno un attore, nella vita fa l'impiegato".
"9 marzo. Oggi sul set c'è lo scrittore Sergio Lambiase, è il secondo dermatologo che incontro. Ho risolto con una sola inquadratura, di cui ho fatto 42 ciak. Era senza occhiali, per problemi precedenti di riflessi con Schiano e Magrelli. Dopo due ore mi ha detto che per lui era come recitare nella nebbia. Li ha rimessi e le cose sono andate meglio. Nella scena mi doveva prescrivere Fristmamin e del Prazene in gocce. Spesso si informava se il giorno prima Magrelli ci avesse fatto fare meno ciak di lui. Negli ultimi ciak era nervosissimo, tanto da dare un pugno sul tavolo, urlando 'non sono concentrato'. Quando tutto era finito è venuto da me e mi ha chiesto 'ieri Prazene come è andato?' Nel caos, nella confusione, al posto di Magrelli ha tirato fuori il nome del medicinale".
"Il mio amico Gerardo lo interpreta Renato Carpentieri. Lo devo sempre guidare, dirigere, e frenare. Fa resistenza, non capisce appieno quello che voglio e perché lo voglio. Spesso recitando prende scorciatoie con gli occhi e con le mani, con gesti prevedibili. Devo levare, levare, levare".
Ma come parla? Le frasi e le scene culto del cinema di Nanni Moretti
C'è poi il coinvolgimento dell'amica Concita, che non solo va a confermare la voglia di circondarsi di amici e persone fidate, ma anche l'estrema testardaggine di Moretti, che pur di ottenere e realizzare ciò che ha pensato e prefigurato mentalmente, si rivela capace di organizzare un viaggio in notturna, da Roma a Panarea, passando per Messina, pur di girare con l'amica prima di lasciarla libera di raggiungere la sua meta iniziale: Francoforte. Non una chiamata, ma una preghiera fatta in ginocchio quella fatta da Moretti a Concita. "Faccio un film ogni 4 anni, mancano delle inquadrature" legge e ricorda Moretti. Una supplica a cui l'amica risponde prontamente "lo so che questa scena è monca. Me ne sono resa conto". La sua è una presa di posizione che infastidisce Moretti, non solo per l'iniziale rifiuto, ma per l'idea di quello che tale assenza avrebbe comportato dopo. "Io sono seccatissimo perché davanti a lei c'è Tilde Corsi e penso che quando uscirà il film tutti aspetteranno la scena di Panarea perché già sapranno che sta per arrivare la scena monca, dato che nel frattempo Concita e Tilde avranno detto a tutti che c'è una scena monca". Insicurezza e testardaggine. Le due facce del regista. Un'ambivalenza che lo accompagnerà anche nelle scelte tecniche, caratterizzandone prese di posizione, e cambi di rotta.
"16 aprile. Lipari. Per una scena alla tv del bar volevo usare trenta secondi di un vecchio film con Caterina Caselli, Perdono. Ho chiamato la Titanus per parlare con il capo, Goffredo Lombardo. Non ci sono riuscito. Dopo una lunga attesa la segretaria mi dice che intanto Lombardo non mi avrebbe mai dato i diritti. Peccato. Vorrà dire che userò il film di riserva, quello con Silvana Mangano che balla il Mambo. E mi è andata molto meglio così".
Caro diario, tutto è bene quel che finisce bene
Fa strano pensare a quante peripezie e gradi di insicurezza un film come Caro Diario abbia dovuto affrontare. Un gioco nato per sbaglio, da un giro in Vespa, che ha dato il via a un racconto profondo e introspettivo su un viaggio alla scoperta di se stesso, e a quell'essere estraneo conosciuto come "tumore". Perché quella di Moretti contro il cancro non è stata una lotta, bensì un cammino, un processo di guarigione che lui stesso vuole raccontare con onestà e senza fronzoli, tanto da voler "firmare le vere ricette spiegazzate dei medici che ho conservato in una cartellina. Daranno più forza e verità a questo capitolo. Per non essere sadico nei confronti degli spettatori sono stato un po' generico sul tumore, e invece avrei dovuto raccontare che nella realtà avevo al centro del torace, in un punto chiamato Mediastino, una roba di 15 cm di diametro". Una rivelazione, quella del male, che lo ha colpito in pieno petto, con la stessa forza con cui ha letto su un giornale il titolo "Moretti sta lottando contro un tumore". "Ma io non sto lottando". Ricorda il regista. "Mi sto semplicemente curando. E se deve andare a finire bene, finirà comunque bene, anche se sarò inerte e passivo. E se dovrà finire male, finirà comunque male, anche se lotterò come un leone, mi batterò come un guerriero, e tutte quelle parole inutili che si usano in queste occasioni".
Fa strano, dunque, sentire proferire da una persona così apparentemente sicura di sé come Moretti, parole di sconforto e insicurezza; ma fa ancora più strano sapere che nell'arco di una sola settimana due ricordi così dicotomici e agli antipodi abbiano occupato le pagine del suo diario, quello vero, fatto di carta. "6 agosto. Oggi ho pensato che il mio film forse non andrà bene.e se non andrà bene vuol dire che non piacerà. Ma intorno a me sento un'atmosfera di grande generosità e disponibilità".
"13 agosto. Prima proiezione del montato finale. Alla fine della proiezione mia sorella stava piangendo. Poi ecco arrivare mio fratello con gli occhi lucidi. Gli altri non uscivano, forse per discrezione e per lasciarci soli. Il film non è brutto, ma nemmeno bello. Sono contento di aver visto tante piccole cose che ancora si possono cambiare".
La Vespa, Pasolini, l'Unità
"Ho un po' rivisto le scene della vespa in giro per Roma. Che senso ha questo capitolo? E a chi può interessare una Vespa che se ne va in giro per Roma? Ho poi pensato che tutto dovrebbe essere rigirato. Tutto, sia le scene che ho girato ad agosto e poi quelle di settembre, prima sbagliando perché giravo a rallentatore, poi a velocità normale. Ora che viene l'estate voglio girarlo una terza volta, e sono sicuro che verrà meglio. Conosco ormai le strade più fotogeniche, so a che velocità di Vespa andare e quali fotogrammi è meglio girare. E so che solo a Ferragosto e in un paio di domeniche di agosto Roma è veramente vuota".
Cambio di rotta, inversione a U. Quell'idea primordiale di cortometraggio scompare. Adesso la Vespa può correre veloce tra Roma e Ostia. Un luogo, quest'ultimo, che inevitabilmente fa pensare a quell'Idroscalo, a quell'ambiente che ha visto esalare gli ultimi respiri di Pierpaolo Pasolini. Ed è proprio pensando a quell'evento che un ricordo occupa la pagina datata 20 maggio 1993. "Ho visto un primo montaggio del capitolo della Vespa. Ci sono cose buone. Il capitolo aiuta il film. Per la sequenza in cui vado all'idroscalo dove è stato ammazzato Pasolini sto cercando tra i miei ritagli di giornale un vecchio numero del Manifesto, forse del '72, o '73, con un volgarissimo articolo di Umberto Eco contro Pasolini: c'era scritto che gli argomenti di Pasolini vanno presi al contrario, dal di dietro. Che eleganza".
Corre la Vespa di Moretti, corrono anche i ricordi che si porta dietro, tanto in quell'estate del 1993, quanto in quella torrida di questo 2021. Chissà se Moretti ancora oggi è invidioso di Edgar Reitz, come scriveva in occasione della suo intervento telefonico alla Sala Sacher durante un dibattito con il regista tedesco su Heimat ("che vergogna. Ho appena telefonato al Sacher dove c'era Reitz per un dibattito con il pubblico. Mi ero preparato un bel discorso per poi dire solamente 'Edgar Edgar Danke schön'. E lui 'Bitte schön'. Che vergogna. Avrei voluto dirgli, se solo avessi parlato un'altra lingua, grazie per il tuo film. Sono molto invidioso di quanto sei bravo. Ma lo sei talmente tanto che non sono più invidioso") o se crede che la vera caduta del Muro di Berlino non è da datarsi al 1989 ma nel 1993, quando viene reso noto il coinvolgimento del PCI nel sistema delle tangenti ("24 aprile 1993. Salina. Ieri sera ho provato a scrivere una lettera all'Unità in cui chiedevo ai dirigenti del PDS di andare a casa e lasciare la segreteria del partito alle ragazze e ragazzi dei trent'anni che non hanno conosciuto lo stalinismo e quel modo di fare politica. Per me il vero crollo del muro di Berlino non è stato nell'89, ma oggi scoprendo che il PCI faceva parte del sistema delle tangenti. Alla fine la lettera non è venuta bene, e non l'ho più spedita").
Quel che sappiamo è quanto Caro Diario abbia lasciato un segno profondo, indelebile, tanto nel suo autore, quanto in noi spettatori. Un segno profondo, come quello nero di una penna sulle pagine bianche di un diario, pronte a immortalare per sempre un ricordo da essere raccontato in futuro davanti a un pubblico adorante. Forse più ampio, forse più giovane o più vecchio di quello che lo ascoltava all'uscita del film nel 1993, chi lo sa. Ciò che sappiamo è che quella Vespa continuerà a sfrecciare nella nostra memoria collettiva in un viaggio che si concluderà con un bicchiere di acqua fresca.
"9 novembre proiezioni stampa di Caro Diario. Il film è uscito. Mi chiedo perché sto facendo questi incontri con il pubblico, mi sembra di non rispondere mai alle domande. Non le capisco. Allora inizio a parlare senza capire a cosa sto rispondendo. E dopo un po' mi aggrappo a un concetto che mi sta venendo in mente, ma mentre lo dico mi accorgo che non sto rispondendo a niente e nessuno. E anche quando il dibattito dura molto, mi chiedo se sono riuscito a dire qualcosa, soddisfare qualche curiosità, se sono riuscita parlare del mio film del mio lavoro. Non lo so cosa la gente si aspetta da me. Ogni tanto qualcuno mi fa delle domande "è vero che la tv rimbambisce? Ci impedisce di goderci la vita?" È come se volessero non la mia opinione, ma la verità. Sono ragazzi. Ma io è come se non non riuscissi a comunicare nulla ai ragazzi e agli adulti. A volte ho la sensazione di parlare senza far capire niente eppure non ho mai avuto un linguaggio difficile. Forse non so parlare? O forse si riesce a parlare e discutere tra persone molto simili, che hanno lo stesso linguaggio, con idee in comune? Non lo so. Ora il treno sta arrivando a Bologna. E mi aspetta un altro dibattito".