E' indiscusso che il cinema di Nanni Moretti abbia un'impronta fortemente maschile per il semplice fatto che l'autore/attore, fin dall'inizio del suo percorso cinematografico, ha messo in scena se stesso. O, almeno, attraverso l'alter ego artistico di Michele Apicella ha portato sullo schermo le sue nevrosi come i limiti personali, dando vita ad un ritratto sempre incompiuto. Questo, almeno, fino ad Aprile, film con cui Moretti inizia a mostrarsi più chiaramente, soprattutto in relazione ad un racconto sociale e culturale del paese.
A questo punto, dunque, perché impegolarsi in una identificazione delle figure
femminili che nel suo cinema appaiono spesso secondarie e relative? In primo luogo perché con l'ultimo film Mia madre mette chiaramente la donna al centro del racconto, dedicandogli lo stesso titolo e utilizzando il personaggio di Margherita Buy come nuovo ed inaspettato alter ego cui affidare l'elaborazione della sua perdita personale. In secondo luogo perché le donne hanno sempre rappresentato l'altro, il mondo sconosciuto e spesso incomprensibile con cui si è confrontato da Io sono un autarchico, passando per Bianca, Ecce bombo e Sogni d'oro per poi tornare ne La stanza del figlio con una visione più matura della coppia e della condivisione del dolore. E, per finire, perché scegliendo per Michele il cognome Apicella, altro non ha fatto che omaggiare per molti anni proprio la figura della madre, Agata Apicella, apparsa in Aprile nei panni di se stessa e scomparsa qualche anno fa.
Silvia, l'ossessione autarchica
Alcuni potrebbero dire che Moretti, almeno ai suoi inizi, non avesse poi una grande fantasia per i nomi dei personaggi. In realtà il suo è stato un cinema autobiografico che, prendendo spunto dal percorso fatto da François Truffaut con l'evoluzione di Antoine Doinel, ha costruito delle maschere da riproporre in diversi percorsi narrativi senza mettere in scena, però, nessuna precisa unione temporale ed evolutiva. Da queste scelte, dunque, è nato il già citato Michele Apicella ma anche l'archetipo femminile di Silvia che lo ha seguito e inseguito lungo ben tre pellicole. La donna fa la sua prima apparizione nel 1976 in Io sono un autarchico. In questo film, che ha rappresentato l'esordio in 8mm di Moretti sul grande schermo, ha il volto di Simona Frosi che, insieme all'attore/regista, ha il compito di mettere in scena le difficoltà e lo sconcerto vissuto da una coppia in preda alle innovazioni sociali della metà degli anni settanta; ossia l'autocoscienza e il divorzio. Così, nonostante il film si concentri sulle attività di una compagnia teatrale sperimentale, a dare il via alla vicenda interiore di Michele è la decisione di Silvia di andarsene e affidargli la responsabilità del figlio Andrea. In questo modo la figura femminile diventa determinante del proprio destino e di quello degli altri.
Silvia torna, questa volta con il volto di Susanna Javicoli, in Ecco Bombo. Qui, però, ha un carattere meno definito ed il semplice compito di dare a Moretti l'opportunità di costruire un discorso, ovviamente contorto, sull'innamoramento e la difficoltà di instaurare con l'altra parte un dialogo diretto, forse a causa di un retaggio impegnato. Una scena che, in questo caso, deve dividere anche con Flaminia, la donna che "intimidisce molto" Michele e lo fa sentire "bloccato". Ancora diversa, invece, è la Silvia interpretata da una giovane Laura Morante in Sogni d'Oro. Siamo nel 1981 e Moretti è al suo terzo lungometraggio. Il regista romano, però, non sembra a suo agio nel gestire la notorietà ottenuta. Così, con questo film si stende chiaramente sul lettino dello psicanalista affidando proprio a Silvia/Laura Morante, la ragazza dei sogni, la responsabilità di rivolgergli un'accusa chiara e sprezzante; "Sei un arido preso solo da se stesso, in cerca di consenso nonostante l'intransigenza ostentata." Da quel momento il cinema di Moretti fa un passo avanti nei confronti della figura femminile e del suo ruolo. Molto si deve, probabilmente, proprio all'incontro con la Morante che, diventata anche la sua Bianca, ci tiene ad essere considerata la musa di Nanni. "Sì, sono gelosa di tutte le attrici che sceglie. Il legame cinematografico tra noi due è molto forte, anche se ho girato con lui solo tre film. Soprattutto all'estero, e parlo della Francia, sono l'attrice di Moretti."
Bianca, ode a Laura
Da un regista come Moretti, così profondamente concentrato su discussioni personali e culturali, non ci si aspetta certo l'"innamoramento" per un'attrice. Eppure, quando lui e Laura si sono incontrati grazie a Carmelo Bene e al teatro sperimentale, è scoccata una scintilla artistica tanto forte da dare vita ad un film simbolo, come si direbbe oggi un must o un cult. Sta di fatto che Bianca è entrato nell'immaginario collettivo di molti, se non tutti, gli appassionati di cinema. E, allo stesso modo, la Morante sembra portare con sè ancora il fascino di quella professoressa di francese. Tanto che per lei Moretti, nonostante l'immancabile inserimento di alcune immagini non realistiche come l'ormai mitologico barattolone di Nutella, ed alcune battute conosciute a memoria tipo "e continuiamo così, facciamoci del male", si fa meno autobiografico nei dettagli e nelle situazioni offrendo al personaggio di Bianca la possibilità di essere più autonoma e complessa rispetto alle figure femminili che l'hanno preceduta. Così, si trova a vestire i panni di un'insegnante che, insieme allo stesso Michele Apicella, lavora presso la scuola professionale Marilyn Monroe.
Qui tutto il corpo docenti è piuttosto bizzarro, visto il sostegno di psicologi a loro disposizione e le ore di lezioni dedicate a Gino Paoli. Per non parlare della foto di Dino Zoff che sostituisce quella del Presidente delle Repubblica. Bianca, però con il suo fascino naturale e una grazia quasi eterea rappresenta l'amore folle dell'altrettanto "folle" Michele. Un personaggio destinato a rappresentare una felicità a cui il protagonista non è assolutamente abituato. Così, nonostante la donna questa volta non sia solamente un desiderio, una proiezione della sia fantasia o un contendente con cui non riuscire a dialogare, sembra inevitabilmente mettere ancora in mostra tutti i limiti di una mascolinità impaurita dall'abbandonare la propria "solitudine" emotiva.
Jasmine nella stanza del figlio
"Non avevo mai pensato di fare l'attrice, poi nel mio liceo sono venuti a cercare una ragazza per interpretare la parte di Irene. Era già successo che cercassero degli attori ma io non mi ero neppure avvicinata proprio perché ero timidissima e mi vergognavo. Però, in questo caso, era diverso. Volevo conoscere Nanni Moretti, perché ero curiosa di lui e lo avevo sempre ammirato". Così Jasmine Trinca ricorda quei primi momenti che hanno definito tutta la sua carriera futura. Totalmente impreparata e con la testa vuota, come lei stesso ha ammesso in più interviste, è riuscita a catturare l'attenzione del regista con le sue presunte passioni, ossia girare in vespa per la città e giocare a pallanuoto. Guarda caso proprio i due passatempi preferiti di Moretti. Il trucco, però, a quanto pare riesce, visto che viene convocata nel "quartier generale" del Nuovo Sacher proprio davanti al famigerato regista. "Ricordo di essermi fatta prestare una gonna da un'amica e sono corsa incontro al mio destino. Ho fatto il primo provino in una macchina con Laura Morante e Moretti ha fatto di tutto per metterci a nostro agio. E' stato simpatico e ironico. Credo abbia capito subito che ero una ragazzina diversa dalle altre, soprattutto molto pura e con uno sguardo ancora non inquinato sul mondo".
Ed è così che, grazie a La stanza del figlio, nasce la giovane stella Jasmine Trinca. Il film, però, non ha avuto solamente questo merito. Oltre ad essere forse tra i più "misurati" e contenuti di Moretti e a fargli vincere la Palma d'Oro come , costruisce un nucleo famigliare in cui l'elemento femminile è centrale, soprattutto per il superamento del dolore di una perdita improvvisa. Così, di fronte alla morte del figlio, Giovanni, il logico e attento psicanalista, si scopre fragile nel desiderio impossibile di far tornare tutto indietro, mentre Paola, interpretata dalla Morante, lo mette di fronte all'impossibilità di cancellare quanto avvenuto. Qui, rispetto al cinema del passato, Moretti presenta il suo personaggio all'interno di una coppia apparentemente salda in cui la femminilità non è certo un impossibile. Inoltre, dopo La messa è finita, sembra che il regista abbia ammesso il peso della solitudine, aprendosi alla possibilità per i suoi personaggi ad una vita a due. E il fatto stesso che a rappresentare la moglie ci sia Laura, l'amica di sempre, rende tutto ancora più naturale. Così, in un gioco di profonda conoscenza, la Morante mette in scena un'intimità spontanea, mai artificiosa in cui essere moglie, amante e anche "sconosciuta" nel momento in cui il dolore li riporta ad essere sordi e incapaci di comprendere il linguaggio dell'altro. E nel mezzo, a colmare e ad affrontare la perdita del figlio "maschio", il regista mette una figlia dalla femminilità ancora acerba e insicura ma che nell'accettare e vivere il dolore a suo modo trova un primo punto di forza.
Mia Madre, Margherita racconta Nanni
"Fin da subito ho pensato a una protagonista femminile e ho voluto attribuirle caratteristiche che di solito vengono considerate più 'maschili', e un mestiere, quello del regista, diffuso maggiormente fra gli uomini. Io mi sono ritagliato il ruolo del fratello ma in realtà mi sento più vicino a Margherita, al suo senso di inadeguatezza." Dal suo esordio cinematografico sono passati quasi quarant'anni ed oggi, per la prima volta, Moretti affida la sua voce interiore ad un personaggio femminile. E non si tratta certo di un avvenimento da poco, soprattutto perché con questo film il regista si mette profondamente in gioco, mostrando come lui stesso dice, "un passaggio importante attraverso il quale siete passati in molti e che a me è capitato durante il montaggio di Habemus Papam: ossia la morte della madre". Così la Buy, veste a tutti gli effetti i panni di Moretti e armata di ciak e un attore internazionale come John Turturro mette in scena anche i tic e le idiosincrasie di un regista, oltre che il momento personale di un uomo che, in quanto artista, si riflette anche sul suo lavoro. Prima di lei già Jasmine Trinca aveva vestito i panni di una giovane regista ne Il caimano, ma è attraverso l'interpretazione della Buy che Moretti non solo esorcizza il suo dolore, ma si lascia prendere da quella raffinata impresa che è prendersi gioco di se stessi.
"Nel film mi prendo in giro ed è stata una cosa faticosa. Ad esempio mi accanisco contro di me utilizzando una frase che dico sempre agli attori da anni, ossia di stare accanto al personaggio. Sono parole che a volte sono solo parole ma che in fondo sottoscrivo ancora. Però, quando il personaggio di Margherita perde il controllo, nel film c'è sempre qualcosa d'altro, qualcosa in più dell'attrice Margherita; c'è il dolore". Ma al di la dell'interpretazione del dolore, l'altro cuore femminile di questo film è rappresentato da Giulia Lazzarini, cui Moretti affida in qualche modo il personaggio della madre, professoressa del Liceo romano Ennio Quirino Visconi. "Parlare di mia madre mi imbarazza. Posso dire che, come si vede nel film, ci sono generazioni di studenti che hanno continuato ad andare a trovarla e a parlare con lei di tantissime cose. E che, solo dopo la sua morte, ho avuto la sensazione di aver perduto una parte di lei che conoscevano i suoi studenti".