Maneggiare con cura, perché Naga del saudita Meshal Al Jaser è uno dei film più inquieti, spregiudicati e sfuggenti che potete vedere su Netflix. Sì, iniziamo a piombo con la recensione, perché l'opera, che rifiuta qualsiasi etichetta, restando distante dalla poetica occidentale, è una sorta di Fear and Loathing nel deserto. Un film strano nella struttura, folle nel linguaggio, schizzato nella sua istantanea e velocissima di narrazione. Negando qualsiasi regola linguistica e/o estetica, e infrangendo gli schemi classici del montaggio, Naga è l'inaspettato che prende forma. Dall'inizio, fino al cattivissimo finale. Ve lo garantiamo, resterete incollati alla poltrona per un'esperienza di visione assolutamente originale, tanto nei pregi quanto nei difetti (potrebbe autocompiacersi troppo).
Ciò che resta, però, è l'assoluta intuizione di Meshal Al Jaser, che ha co-scritto il film insieme a Nawaf Alshubaili: nessun dramma sociale, nessun cinema della verità, ma un film saudita che mischia droghe, allucinazioni, dromedari e notti infinite, in cui tutto può accadere (e tutto accade, infatti). Ma che Al Jaser fosse bravo lo aveva già dimostrato nel 2020, con il corto Arabian Alien, vincitore al Sundance. Il cortometraggio, e poi Naga, prodotto da Telfaz11 insieme a Netlix, fa parte di una certa rinascita del cinema mediorientale: solo nel 2017 l'Arabia Saudita ha rimosso i divieti legati al cinema, rilanciando l'industria e l'intero settore. Ecco, se oggi cercate idee nuove e originali, forse bisogna cominciare a voltare lo sguardo verso altre cinematografie che, di cose da dire, ne hanno. Eccome, se ne hanno.
Naga, la trama: il deserto di Riyadh, i dromedari vendicativi e la bravura di Adwa Bader
L'esempio di Naga, che muta continuamente forma, arriva poi in un periodo storico, diciamo, standardizzato nelle storie e nell'estetica. Bene, il film di Meshal Al Jaser è una sorta di boccata d'aria fresca, anche nel contesto della distribuzione streaming: chi cerca una visione ad effetto, libera dagli schemi, non può che restare sbalordito davanti l'avventura che vive la protagonista, Sarah, interpretata da un'attrice-non attrice che è già rivelazione, ossia Adwa Bader (amica del regista, scelta perché totalmente opposta alle caratteristiche del personaggio).
Dopo un violentissimo incipit ambientato negli anni Settanta, che lascia di stucco (ed esplica tutta la brutalità di alcune mentalità estremiste), ci troviamo nella Riyadh contemporanea: è la giornata che precede un'attesissima partita di calcio della Nazionale, e la città è in subbuglio. Sarah ha la giornata ben scandita, da un padre intransigente e un madre che affida tutto alle preghiere verso Allah. Ma Sarah, dall'indole ben più spensierata (è una ragazza, cosa dovrebbe fare alla sua età?), accetta l'invito di quello che dovrebbe essere il suo ragazzo: andare ad una festa in mezzo al deserto. Il patto, però, parla chiaro: essere riaccompagnata per le 21. Le cose prenderanno una strana piega: Sarah si ritrova bloccata in mezzo al nulla, dovendo affrontare le ire di un vendicativo... dromedario.
Una narrazione che è pura dinamite
Raccontata così, la trama di Naga, appare come se fosse un survival movie. Tuttavia, grazie ad un montaggio discontinuo, scopriremo come è stato possibile per Sarah ritrovarsi a lottare contro un dromedario, e scopriremo anche che gli eventi, le allucinazioni, e i personaggi strani che popolano il deserto fanno parte dello stesso universo, di cui la protagonista è, in un certo senso, il fulcro. Attenzione, però: la visione di Naga deve essere scevra da ogni pregiudizio nei confronti della credibilità narrativa. Non cercate una spiegazione logica, ma lasciatevi trasportare dall'inarrestabile flusso psichedelico che sembra restare attaccato a Sarah, qualunque cosa faccia. In fondo, a Meshal Al Jaser non sembra preoccupare il tono coerente legato ad un genere o ad un altro, e anzi il presupposto che rende Naga un film da non perdere risiede nel voler raccontare una storia senza dare allo spettatore i giusti punti di riferimento.
Spiegato: in quasi due ore, il senso del racconto si fa sfumato, imbizzarrito nei guizzi che, a più riprese, cambiano di netto le prospettive, facendo prendere al film delle svolte decisamente inaspettate, ricalcando le scelte sbagliate che compiono i protagonisti. In bilico tra il cult e lo scult, Naga mantiene la prospettiva seguendo i movimenti scenici attraverso la telecamera (ottima la fotografia di Ibraheem Alshangeeti); lo sguardo di Al Jaser, allora, resta coerente con l'indole schizzata e sfrigolante dei personaggi (Sarah compresa) e della geografia circostante (in egual modo protagonista), traducendo la sceneggiatura in una regia capace di stordire, sorprendere e divertire. A proposito di divertimento: il senso di Naga, con la sua poetica anarchica e disinvolta, si concretizza nell'ultima sequenza. Non riveliamo nulla, ma una cosa possiamo dirla: forse sono i difetti i nostri pregi più grandi. Naga di Meshal Al Jaser, uno dei film più folli del 2023.
Conclusioni
Spregiudicato, assurdo, folle, schizzato. Siamo rimasti folgorati da Naga, film prodotto in Arabia Saudita disponibile su Netflix. Nessun punto di riferimento, nessuna spiegazione logica, solo il flusso narrativo di una storia che corre senza fermarsi mai. Protagonista, una non attrice rivelazione, Adwa Bader.
Perché ci piace
- Un film inafferrabile e spregiudicato.
- L'atmosfera.
- Adwa Bader, la protagonista.
- Le trovate, registiche e narrative.
Cosa non va
- Potrebbe peccare di autocompiacimento.