People try to put us d-down (Talkin' 'bout my generation)/Just because we get around (Talkin' 'bout my generation)/Things they do look awful c-c-cold (Talkin' 'bout my generation)/I hope I die before I get old (Talkin' 'bout my generation)/This is my generation/This is my generation, baby
Cantavano così i The Who in My generation, canzone del 1965 contenuta nell'album omonimo, manifesto di una generazione arrabbiata che, stanca del classismo e dei costumi sociali rigidi, ha imbracciato una vera e propria rivoluzione culturale, sfociata nel movimento del Sessantotto, grazie a cui, è proprio il caso di dirlo, la musica è cambiata.
Capitale europea di quella rivoluzione sociale, di cui l'eco si sente ancora oggi, è stata Londra: gli anni '60 sono una decade entrata nel mito, viverli è stata una fortuna, ancora di più se nella Swinging London. Proprio per trasmettere alle nuove generazioni lo spirito di quell'epoca, Sir Michael Caine, due volte premio Oscar e uno degli attori britannici più famosi di sempre, ha deciso di realizzare, insieme al regista David Batty, My Generation, documentario sui favolosi anni '60 londinesi.
Presentato fuori concorso alla 74esima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, My generation esce in sala, distribuito da I Wonder Pictures come evento speciale, dal 22 al 29 gennaio, e racconta, attraverso la voce inconfondibile di Caine, il cinema, i colori, i folli tagli di capelli (i più di tendenza creati da Vidal Sassoon), le minigonne cortissime lanciate da Mary Quant, la rivoluzione sessuale e soprattutto la musica, che ha letteralmente invaso il mondo, grazie a gruppi come The Beatles, The Rolling Stones, Pink Floyd, The Who, Led Zeppelin, Cream e l'extraterrestre David Bowie.
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La Swinging London raccontata da Sir Michael Caine
Come un Dottore sul suo Tardis (e in effetti Doctor Who nasce proprio in quel periodo, nel 1963), Caine ricorda le feste, la moda, la gioia di vivere di quegli anni, in cui tutto sembrava possibile e i giovani mostravano al mondo la loro rabbia attraverso la creatività, a partire dallo stesso attore, che, figlio di un pescivendolo e di una donna delle pulizie, non era certo un membro di spicco della società bene inglese, con il suo accento cockney e il nome meno suggestivo, quel Maurice Joseph Micklewhite Jr. cambiato prontamente in Michael Caine, in onore del suo mito, Humphrey Bogart, protagonista del film L'ammutinamento del Caine.
Entrati nel mito come simbolo di stile e divertimento, gli anni '60 hanno anche il loro lato oscuro: l'uso massiccio di droghe e le proteste sfociate in violenza, ma sono anche un'epoca avvolta dalla leggenda soprattutto per l'incredibile esplosione creativa e vitale che hanno portato in un mondo fatto di rigide convenzioni che sembrava incrollabile. È lo stesso Caine a raccontare come prima, per un ragazzo della sua estrazione sociale, nato e cresciuto nella working class, sarebbe stato impossibile intraprendere una carriera nel mondo del cinema e del teatro, che privilegiava rampolli appartenenti a famiglie più altolocate.
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Aiutato da diverse voci, dalla modella Twiggy a Marianne Faithfull, se c'è una cosa che l'attore rimpiange di quell'epoca è la fiducia nel futuro: oltre ai tagli di capelli e alle minigonne dai colori sfavillanti, l'insegnamento più prezioso e ammirevole di questa decade è proprio l'entusiasmo, la propositività. Oggi, con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, bisogna avere fiducia nel domani e rimboccarsi le maniche: se a dircelo è Michael Caine, con quello sguardo sornione e l'accento british irresistibile, ci possiamo fidare.
Movieplayer.it
3.0/5