Presentato in anteprima al Toronto Film Festival arriva ora alla Festa del Cinema di Roma 2023 Mur, documentario esordio alla regia di Kasia Smutniak. L'attrice e regista di origini polacche racconta attraverso la cronaca di viaggio la tragica situazione che vede protagonisti tanti migranti al confine tra Polonia e Bielorussia, una tematica di recente trattata anche da Agnieszka Holland nel suo The Green Border (qui la nostra recensione), Premio speciale della giuria a Venezia 2023.
Come affermato anche da Smutniak in una recente intervista i due film sono effettivamente complementari poiché mostrano da più punti di vista l'entità di una vera e propria crisi umanitaria complessa, il cui prezzo si paga in vite umane. Una cosa è certa: a questo documentario penserete anche durante le ore successive alla visione e nello scrivere questa recensione di Mur non possiamo non considerare le difficoltà che si presentano nel narrare una situazione così delicata che coinvolge due paesi e un numero incalcolabile di vite umane.
La struttura narrativa del viaggio
L'impostazione del film è quella del viaggio: Kasia Smutniak e Marella Bombini, co-autrice della pellicola, si recano una settimana in Polonia per cercare di documentare la situazione al confine con la Bielorussia e la conseguente costruzione del muro che dovrebbe fungere da barriera deterrente all'attraversamento del confine. L'incontro con i propri familiari e l'atmosfera che ne deriva contrastano con il racconto della situazione nelle zone di frontiera. I posti di blocco, l'operato degli attivisti che cercano di intercettare i gruppi di migranti per offrirgli supporto medico e legale, costituiscono la parte più complessa da raccontare, complessità che si riscontra anche nel tentativo di descrivere una nazione che sta vivendo forti contrasti interni, esacerbati anche dalla difficile situazione politica.
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Reagire in modo diverso allo stesso fenomeno
È chiara fin da subito l'esigenza delle autrici di raccontare il tutto spogliandolo di ogni sovrastruttura non necessaria, lasciando da parte persino la politica, nel tentativo di costruire un'opera che sia il più possibile universale, veritiera e autentica, qualcosa nato dalla genuina necessità di raccontare un tema estremamente sentito ma che attraverso i mezzi di informazione ha troppo poco spazio. Con l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, poi, l'attenzione internazionale si è spostata su un altro tipo di migrazione: quella dei profughi che fuggono dal paese invaso e per i quali la Polonia si pone in prima linea sul fronte dell'accoglienza.
Qual è allora il filo conduttore che lega tutto il narrato all'interno di MUR? Il suo stesso titolo: il muro, quel muro la cui costruzione non è visibile ai media e ai civili ma che serve a tenere lontano una parte di umanità mentre un'altra ancora viene accolta. Due fenomeni sovrapponibili per drammaticità e bisogni che vengono però affrontati con metodi diametralmente opposti.
Lo scopo del film
Nel raccontare muri e zone altamente militarizzate, Kasia Smutniak costruisce un film molto personale, nel quale si mette in gioco lei per prima non solo recandosi nelle zone interdette, ma mostrando un po' della sua famiglia nel tentativo di trasmettere un substrato culturale, mostrando un paese ben più solido di una qualsiasi corrente politica. Puntare la camera sulle barriere per raccontare le vite che vi ruotano attorno: è questo il fine ultimo di Mur, un'opera prima imperfetta che pecca un po' troppo nel non dare sufficienti punti di riferimento allo spettatore ma che comunque punta in modo efficace i riflettori su una situazione atroce e inaccettabile che ci auguriamo acquisisca così la visibilità che merita.
Conclusioni
Nel riassumere la nostra recensione di Mur possiamo affermare che il documentario, opera prima di Kasia Smutniak, è un tentativo riuscito di raccontare la crisi umanitaria che si consuma al confine tra Polonia e Bielorussia. La regista e co-autrice guida lo spettatore in un viaggio che lo porta tra le mura domestiche della sua famiglia così come nelle zone militarizzate di confine, dove numerose vite rimangono prigioniere di un limbo, talvolta mortale, nella speranza di una vita migliore e sicura. La mancanza di qualche punto di riferimento in più che possa aiutare a contestualizzare meglio il tutto non inficia comunque l’efficacia di un film interessante e ben comunicativo.
Perché ci piace
- La dinamica del viaggio per raccontare le diverse situazioni.
- Il contrasto tra il clima familiare nella casa dei parenti della regista con quello della zona rossa.
- Le diverse testimonianze raccolte.
Cosa non va
- La mancanza di qualche punto di riferimento in più a guidare lo spettatore.