L'oro appartiene al Diavolo. Partiamo da qui per iniziare la recensione di Mother Lode, il documentario di Matteo Tortone, in uscita al cinema il 19 maggio distribuito da ZaLab. È una delle prime cose che Jose Luis Nazario Campos, che sarebbe diventato il protagonista del film, ha detto al regista una volta incontrato. Così Mother Lode, la storia di un ragazzo che lascia Lima, Perù, per andare a lavorare in una miniera d'oro, diventa qualcos'altro, un film simbolico, metaforico. La corsa all'oro come tentazione, la miniera come limbo in bilico tra la vita e la morte. Ma ognuno di noi, seguendo la storia di Mother Lode, può trovare in questo film stratificato i significati che vuole, che sente più suoi. Il film ha debuttato alla scorsa edizione della Settimana della Critica a Venezia e ha appena vinto il premio FESCAAAL (miglior film sezione EXTR'A) al 31° Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina che si è appena concluso, ed è stato presentato in Concorso nella sezione Casa Rossa al Bellaria Film Festival, per poi uscire in sala accompagnato da un tour promozionale del regista che presenterà il film al pubblico in alcune sale cinematografiche italiane.
L'oro appartiene al diavolo
Jorge lascia la sua famiglia e il lavoro di mototaxi nella periferia di Lima per cercare fortuna in una miniera d'oro delle Ande Peruviane. Isolata su un ghiacciaio, La Rinconada, è "la città più vicina al cielo": si trova a 5300 metri altezza, è un luogo freddissimo. E la miniera è pericolosissima. Qui arrivano ogni anno migliaia di lavoratori stagionali attratti dalla possibilità di far fortuna e nella speranza di una vita migliore. Ma questo lavoro, in nome dell'oro, è pericolo e sacrificio: perché spesso dei giovani minatori scompaiono. Sì, l'oro appartiene al Diavolo, El Tio de la Mina reclama sacrifici.
Un bianco e nero con infinite sfumature di grigio
Mother Lode colpisce sin dalle prime sequenze per quel suo bianco e nero ricchissimo, luminoso. Matteo Tortone, che a sua volta è anche un dop, affida la direzione della fotografia a Patrick Tresch, che riesce a dare vita a un bianco e nero con infinite sfumature di grigio. Ricorda quello di Roma, il film di Alfonso Cuaron, che era un film di finzione mirabilmente costruito e studiato. Mother Lode è un documentario, un film che racconta il reale. Non è scontato, in un film di questo tipo, trovare una tale cura dell'immagine. Ma è chiaro che un film come questo abbia dietro una costruzione estetica e uno studio che lo porta ad essere qualcosa di diverso da un semplice documentario.
Come stelle in un cielo buio
Sono immagini forti, che colpiscono gli occhi e si fissano nella mente. La prima parte del film, poco più di 10 minuti, racconta la vita di nei sobborghi di Lima, e vive di immagini suggestive. I due amici parlano su uno sfondo illuminato da puntini di luce. Sono le finestre delle case della città, arroccate sui monti come casette di un presepe, ma anche, guardandole più da lontano, come stelle in un cielo quando buio.
Bianco e nero per un film metaforico e metafisico
Il bianco e nero in qualche modo allontana il film dalla riproduzione fedele del reale come la si immagina di solito, con i colori che vede il nostro occhio. Uno degli effetti del bianco e nero è quello di astrarre, di fissare quello che viene ripreso in immagini fuori dal luogo e fuori dal tempo in cui sono state riprese. Il bianco e nero rende iconico, artistico, l'oggetto delle riprese. E questa astrazione ha l'effetto di rendere il racconto qualcosa di universale, di metaforico, di metafisico.
Un percorso dell'eroe
Mother Lode, così, diventa una sorta di percorso dell'eroe. È la storia di un ragazzo che lascia la propria casa per andare in un posto nuovo, sfidando l'ignoto, un ambiente ostile, per migliorare la propria vita. E che, man mano, diventa una sfida con il Diavolo, con la morte. Come detto è un film che si presta a molteplici letture, e che ci racconta come la ricchezza si fonda anche su persone che muoiono anonimamente e ritornano alla terra. In questo mondo ancestrale, in bilico tra realtà e leggenda, forse esiste anche il sacrificio umano, il "Pagacho", un rituale destinato agli dei per propiziare la crescita della vena d'oro, a quanto pare molto diffuso ma che non è dimostrabile.
Un racconto compiuto e universale
La costruzione di Mother Lode - la fotografia, come detto, ma anche l'inquadratura e il montaggio, la sceneggiatura - fanno sì che si segua come un film di finzione, nel senso che la storia procede armonica, fluida, come se fosse un film scritto e recitato. La scelta di inserire le riflessioni del protagonista come voce fuori campo dà ancor più al film il senso di un racconto compiuto e universale. Mother Lode è un film che vive continuamente in bilico tra la vita e la morte. Ed è estremamente amaro ma anche estremamente affascinante.
Conclusioni
Nella recensione di Mother Lode vi abbiamo spiegato come la storia di un ragazzo che va a lavorare in una miniera d'oro in Perù diventi un film metaforico e metafisico. Ognuno di noi, seguendo la storia, può trovare in questo film stratificato i significati che vuole, che sente più suoi.
Perché ci piace
- La straordinaria fotografia in bianco e nero che astrae la storia e ne fa un racconto universale.
- La stratificazione del film che permette di leggere al suo interno molti significati.
- La costruzione del film, che fa sì che un documentario si segua come un film di finzione.
Cosa non va
- Il film ha bisogno di tempo per entrare nel vivo, ma merita di essere visto con la giusta attenzione.