Di grazia, cosa sta succedendo al Lido di Venezia? Davvero "il giornalismo cinematografico rischia l'estinzione"? Come giornale di settore, che senza falsa modestia nutre di una certa rispettabilità avallata da un nutrito numero di lettori, ci sentiamo necessariamente tirati in causa. Prima di addentrarci nel fuoco dell'argomento (e qui a Venezia fa già abbastanza caldo), bisogna fare una premessa: il giornalismo cinematografico rischia l'estinzione non solo perché vengono precluse le interviste alle grandi star, ma perché la comunicazione, avallata dalle major e in parte dagli uffici stampa, si sta spostando sempre più verso il marketing, con il supporto di influencer, creator e via discorrendo.
Tra l'altro, come diceva Tom Wolfe, "Un giornalista è sempre in una posizione di inferiorità e bisogna adattarsi alle esigenze degli altri". Ora, i fatti: come ha annunciato e ripetuto il direttore Alberto Barbera, la Mostra del Cinema di Venezia numero 81 avrebbe rivisto sul red carpet i grandi nomi di Hollywood, dopo lo sciopero che ha segnato il 2023. Da Lady Gaga a Cate Blanchett, da Angelina Jolie a Brad Pitt, George Clooney, Nicole Kidman. Nomi che, tuttavia, stanno concedendo limitatissime interviste, sia print che video.
Come riporta Variety, che ha pubblicato per prima la lettera firmata da numerosi giornalisti cinematografici - facenti parte del gruppo Facebook International Film Festivals Journalists -, viene sottolineato quanto le interviste di Venezia 81 siano limitate solo ai "principali organi di informazione". Tradotto, le interviste video, che nel nostro caso generano un traffico non indifferente - tra sito, social, YouTube - vengono rilasciate quasi solo ai telegiornali nazionali, oltre che a qualche quotidiano di punta. Non è certo una novità, ma è chiaro che quest'anno qualcosa si sia rotto.
Se rilasciare un'intervista al telegiornale ha un teorico prestigio, il senso dell'intervista stessa è momentanea ed effimera (in genere gli slot video durano dai cinque ai sette minuti, ma i servizi tv si limitano a mandare in onda una manciata di secondi: che senso ha?), e spesso non centra il target di riferimento del film (basti leggere i dati auditel o le fasce d'età che seguono i tg: non proprio il pubblico di Joker o di Wolfs). Invece, una buona intervista per un giornale di settore o per un periodico - che sia video o print - ha certamente tutt'altra luce, rivolgendosi sia a chi il cinema lo frequenta di rado, sia a chi, invece, al cinema ci va ogni settimana. E poi, come giornale di settore, rivendichiamo il diritto di poter e dover coprire un festival di cinema nella sua più completa totalità.
Per Barbera, intervenuto durante la conferenza di apertura, la questione "Riguarda alcuni titoli di grandi produzioni. Sono scelte di marketing che dobbiamo rispettare, non dipendono da noi, ma cercherò di capire meglio". Perché, dunque, precludere i talent in nome del marketing? Perché non imporsi - che sia La Biennale, che siano gli uffici stampa - verso le major, pretendendo un lasso di tempo più ampio per l'attività stampa quotidiana, come avveniva prima. Ma soprattutto, letta così, la partecipazione della stampa ad un festival di cinema (e il discorso vale lo stesso per Cannes) ha ancora senso?
Ma è vero che a Venezia le interviste non le fa più nessuno?
Le risposte sarebbero molteplici, ampie, cariche di digressioni. Tornando sulla lettera in questione, che ha scoperchiato il vaso di pandora, viene riportato che "Questa decisione, influenzata dagli studios e sostenuta da molti addetti stampa, mette a repentaglio un'intera categoria di giornalisti, in particolare freelance, che con il loro lavoro appassionato e instancabile contribuiscono spesso al successo dei film [...]. Dopo aver scioperato per mesi a Hollywood per salvare migliaia di posti di lavoro, ora registi e attori, abbracciando la politica degli stessi studios e produttori che prima erano loro nemici, stanno mettendo a rischio altrettanti posti di lavoro, negando interviste ai giornalisti che riescono a sopravvivere grazie a quelle interviste". Del resto, il sostentamento di un giornalista - specie se freelance - si regge quasi esclusivamente sulle interviste. Negarle, di fatto, rende la figura ancora più precaria di quanto già non lo sia.
Ancora, è tangibile - secondo la nostra esperienza - quanto l'accessibilità a certi talent durante i festival si sia ormai azzerata nel giro di un paio d'anni. Se a Cannes i giornalisti italiani partivano per terzi o quarti, adesso restano direttamente fermi ai box. Modus operandi, scopriamo quest'anno, avallato anche da Venezia, di solito molto più aperta e inclusiva. Sparuta disponibilità da parte degli uffici stampa nel cercare di mediare tra gli Studios (che non forniscono una sostanziale spiegazione a codesta preclusione), tra la stampa e la macchina festivaliera, con una prospettiva di comunicazione ristretta e affidata al red carpet (e dunque agli sponsor) e alla canonica conferenza stampa del primo pomeriggio.
Va da sé, che la partecipazione della stampa di settore (e quest'anno si contano quasi tremila accrediti press), in un clima afoso (in tutti i sensi) risulta quasi accessoria. Così facendo, però, il danno d'immagine è marcato: che immagine diamo, all'estero, se una delle manifestazioni cinematografiche più importanti al mondo diventa solo una vetrina legata al marketing? Vero è, che un determinato tipo di interviste, negli ultimi anni, si è pericolosamente avvicinato a contenuti ben poco giornalistici, e molto più a favore di pubblicità.
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No interviste, no accreditati?
Ci siamo quindi ritrovati al centro di una matassa complicata da sbrogliare, che potrebbe portare ad un'emorragia di accreditati press ai prossimi festival (ripetiamo, siamo a Venezia, ma potremmo parlare anche di Cannes). A tal riguardo, la giornalista Eva Carducci, che abbiamo contattato per un'opinione, ha detto che: "La situazione è cambiata anche rispetto allo scorso anno con lo sciopero. Stiamo cercando di capire quali siano i fattori scatenanti di tale decisione. Al momento gli accessi ai talent internazionali sono più limitati rispetto alle precedenti edizioni, il che compromette l'attività lavorativa e fa valutare l'eventuale partecipazione alle edizioni successive".
Una partecipazione minacciata dai costi (organizzare un'intervista da parte della distribuzione ha un costo), via via più alti, che non si traducono in un riflesso lavorativo. Uno spunto su cui riflette invece la giornalista Margherita Bordino: "Sono le distribuzioni che non hanno voglia, sono i talent o la biennale che non tutela la stampa italiana e quindi nei contratti che stipula con le major non inserisce come clausola maggiore tempo per la promozione a mezzo stampa? Se tutto l'anno, quando vengono talent internazionali in Italia, la stragrande maggioranza delle testate online di settore lavora, cosa cambia a Venezia? Come il Festival di Cannes tutela la stampa francese, perché questo non accade anche con la Mostra? Una cosa è certa: essere presenti al Lido costa sempre di più - in primis per i freelance - e questo costo sta diventando insostenibile anche per le produzioni e distribuzioni".
Il nostro parere, e il parere dei nostri colleghi giornalisti
Ma il senso di partecipare ad un festival non è solo legato alla possibilità di accedere o meno ai talent in sede di interviste, junket, round table. Il discorso è generale, e ancora una volta legato all'esperienza di comunicazione. Non è raro precludere attività stampa di determinati titoli perché non hanno ancora una distribuzione, preferendo lavorare "sotto data di uscita". Un tipo di comunicazione sballata, anche per il motivo relativo alle recensioni che, nonostante tutto, continuano ad essere scritte. Che siano positive o negative, la recensione viene pubblicata, e letta. Sorvolando sulla scelta di presentare un film ad un festival per poi rilasciarlo (forse) dopo mesi, l'eventuale stroncatura resta, e diventa parte - l'unica se non ci sono interviste - della comunicazione.
Per il giornalista Federico Pontiggia, anch'esso raggiunto per un parere, il punto principale risiede proprio nella forbice tra presentazione e distribuzione: "Il problema a Venezia, come Cannes e in altri grandi festival, è lo iato tra l'anteprima festivaliera e la differita, e più, uscita in sala: la non concessione di interviste, la refrattarietà dei talent retrostante, sta nell'incertezza dell'approdo in sala, o nella sua dilazione, si veda l'apertura di Orizzonti, ossia Nonostante di Valerio Mastandrea, che arriverà in sala solo a marzo 2025. Eppure, i due titoli di maggior successo della passata stagione, Io capitano e C'è ancora domani, sono usciti day and date con la presentazione ai rispettivi festival, Venezia e Roma: che senso ha rifiutare in partenza il volano festivaliero, e dunque inibire sine die la piena attività stampa e promozionale con nefaste ricadute sui giornalisti?".
Qui al Lido, poi, abbiamo avuto modo di intercettare l'umore di un altro giornalista, che ha confidato quanto "La pandemia che ha mostrato come le attività stampa da remoto potessero comunque farsi e con costi minori, il binomio con i festival internazionale - occasione unica per radunare tutta la stampa utile per la promozione di un film - è venuto sempre meno. Le date di uscita di un film sono a volte molto successive all'anteprima festivaliera, ed i junket sono dapprima stati sempre più ristretti a pochissimi eletti, con a volte anche la richiesta aggiuntiva di pubblicare le interviste sotto data di uscita, e poi definitivamente cancellati".
E prosegue: "Ad avallare questa situazione, un atteggiamento da parte delle rassegne cinematografiche internazionali, rispetto alle produzioni dei film da loro selezionati, di totale libertà di gestire i possibili junket a loro discrezione, fatta eccezione per l'obbligo di presenziare a conferenza stampa, q&a e photocall. Anche le major si sono rese conto di preferire il totale controllo su un film, spostando la sua promozione a situazioni più controllate e sicure, con la propria lista di giornalisti invece che far affidamento sulla lista di accreditati di un Festival. Il risultato è che il Lido e quest'anno anche la Croisette, hanno registrato un drastico calo nell'accesso alle interviste ai nomi spendibili, soprattutto dai giornalisti freelance".
Per il giornalista Mauro Donzelli, d'altra parte, il problema sono anche i troppi titoli in calendario: "Venezia è rinata con Baratta e Barbera riducendo il numero dei film, mi sembra che ora il rischio, vedi la presentazione quest'anno di addirittura quattro serie televisive molto lunghe, sia di proporre troppi titoli, dimenticando i limiti logistici e perdendo di vista la fruibilità degli addetti ai lavori dei film. Il rischio è la bulimia dell'accumulo di nomi di richiamo, seguendo un vizio recente di Cannes".
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I festival di cinema sono l'ultimo baluardo della critica vera
Se è invero che il ruolo del giornalista cinematografico è in crisi, i festival, però, ridanno spolvero alla critica (comunque minacciata dal linguaggio social, tra creator, influencer...). Un'opinione, una recensione, un focus, sono gli ultimi baluardi di spessore intellettuale; l'ultimo motivo per cui sentiamo la pressione e l'onore di una certa esclusività nel partecipare ad un evento come la Mostra del Cinema di Venezia o il Festival di Cannes. Ma anche qui, qualcosa da scrivere l'avremmo. Due situazioni: durante Cannes, Kinds of Kindness è stato proiettato in anteprima e quasi in contemporanea anche a Roma, creando una sorta di dislivello: perché volare in Francia, se avremmo potuto vederlo a casa?
Insomma, perché un giornalista freelance, che può comodamente coprire parte di un festival "da remoto", non potendo accedere alle star di Hollywood per le interviste, dovrebbe lanciarsi in un turbinio lungo undici giorni dall'estremo dispendio economico e dall'incredibile astio logistico? Come si dice, a tirare troppo la corda c'è il rischio che si spezzi. Il cinema è un lavoro che si fa insieme, e se ognuno prosegue in solitaria, non ha più logica di esistere. E, pensate un po', l'ha detto anche George Clooney durante la conferenza stampa di Wolfs - Lupi solitari: "Noi attori, voi giornalisti, siamo tutti sulla stessa barca. Facciamo tutti parte della stessa famiglia".