Morto un Premier se ne fa un altro
Forse la vera provocazione di Ho ammazzato Berlusconi non è mettere in scena la morte del tanto discusso Premier, quanto piuttosto far indossare al cadavere la maglia dell'Inter. Comunque la si voglia vedere, l'uscita in poche sale del film girato da Gianluca Rossi e Daniele Giometto nel 2006 è già un piccolo successo, anche considerando le ormai croniche difficoltà, a livello distributivo, di coloro che in Italia tentano l'impervia strada della satira politica. Specialmente quando a finire nel mirino degli autori è un certo Silvio Berlusconi. L'anomalia italiana vive anche di questo: nonostante le difficoltà e gli ostracismi di cui sopra, non sono state poche negli ultimi anni le pellicole dedicate al Presidente del Consiglio da poco tornato in sella e, a parte il caso sui generis rappresentato da Il caimano di Nanni Moretti, il tema ricorrente sembra essere il rapimento e/o l'uccisione del suddetto personaggio. Quasi a (re)interpretare una fantasia collettiva piuttosto radicata, verrebbe da dire. Sta di fatto che le riletture operate da quei registi e sceneggiatori, che hanno voluto cimentarsi con un soggetto così scomodo, si sono rivelate il più delle volte sottili, spiazzanti, allusive, tali da venire incontro solo in parte alle aspettative del pubblico. Sarà per questo, sarà per una realizzazione tecnica non sempre paragonabile alle intenzioni, sarà per le diverse forme di boicottaggio cui sono andate soggette le opere in questione, ma al clamore della vigilia raramente ha fatto seguito un adeguato riscontro economico e di visibilità.
L'esistenza di quello che spiritosamente si potrebbe definire un sottogenere tutto (o quasi) italiano è testimoniata da una piccola rosa di film, accomunati spesso e volentieri dalla matrice produttiva, tendenzialmente low budget. Abbastanza facile individuare in Shooting Silvio di Berardo Carbone il prodotto che ha fatto maggiormente discutere; ma c'è da lamentare il fatto che uno dei più attesi, quel Bye Bye Berlusconi diretto dal teutonico Jan Henrik Stahlberg con Maurizio Antonini (storico sosia del Berlusca) quale protagonista, sia rimasto inedito in sala nonostante la curiosità destata alla Berlinale nel 2006, proprio per colpa di una male interpretata "par condicio" cinematografica. Come sottolineavamo in apertura, Ho ammazzato Berlusconi un pur piccolo sbocco distributivo lo sta avendo, il che ci fa tirare un sospiro di sollievo. Intendiamoci, l'opera di Rossi e Giometto non è immune da pecche anche vistose, a livello di regia e di alcune interpretazioni un po' sopra le righe; ma la traccia offerta dal romanzo Omicidio Berlusconi di Andrea Salieri, considerato un antesignano dell'anti-politica esplosa negli ultimi mesi, è stata sviluppata dai due cineasti con quel gusto del paradosso e intelligenza sufficiente a creare spazi di riflessione sinceri, stimolanti, per nulla omologati.
Il progredire degli eventi è tale da proiettare il protagonista, Matteo Luisi
(interpretato con ironico distacco da Alberto Bognanni), in situazioni sempre più surreali, quasi da teatro dell'assurdo. La fuga della moglie, Livia, sentitasi "tradita" dopo aver scoperto che il marito alle elezioni del 2001 ha favorito, col suo voto, la vittoria di Berlusconi, è la miccia che accende l'intreccio. Nel crescendo successivo accade l'impensabile: la moglie fuori di casa viene colpita da un frammento di aereo piovuto dal cielo, il marito disperato prende la macchina e guidando come un folle investe una sagoma umana, a stento distinguibile nella pioggia e nell'oscurità. Chi mai potrebbe essere, ad aggirarsi di notte in una stradina fangosa e poco frequentata? La scoperta di Matteo, nel tornare sul luogo dell'impatto, è da lasciare senza fiato: tutto lascerebbe pensare che il Presidente del Consiglio, appena eletto, si sia voluto prendere un'ora d'aria nel momento meno opportuno. Ma a rendere l'accaduto ancora più misterioso, rieccolo in televisione il giorno dopo. L'intervento di truci personaggi, le cui sembianze ricordano "vagamente" Giuliano Ferrara, Gianni Letta e Cesare Previti, alimenta il sospetto che in giro vi siano sosia del Berlusca, a uso e consumo dei media. Ecco, è in certi dialoghi e in situazioni chiaramente paradossali che il film rivela la sua carica destabilizzante; il che riesce persino, nei momenti più ispirati, a far soprassedere sulla confezione un po' sciatta, sui toni eccessivamente sporchi e poco studiati della fotografia, sulle incertezze di taluni interpreti. Ma a tal proposito va almeno citata la partecipazione di un convincente Andrea Roncato, orfano qui di Gigi Sammarchi e assai abile nel rendere lo stralunato amico di Matteo, un tipetto petulante e impiccione come pochi.