Cosa faremmo in nome della sicurezza? È una domanda che ci siamo posti spesso in questo secolo ancora giovane ma ampiamente ferito, concedendo sprazzi della nostra privacy in nome di una protezione che non sempre appare all'altezza delle sfide che le vengono rivolte. Ci siamo affidati alla tecnologia per tenerci al sicuro, tra intercettazioni e telecamere disseminate in ogni angolo delle nostre città, per sorvegliarci ed allo stesso tempo spiarci ad ogni passo. Una necessità, quella della sicurezza, che sfocia in molti casi in una vera, per quanto giustificata, ossessione, che spinge a circondarci di oggetti che diventano muri più o meno invisibili tra noi e la nostra libertà.
Leggi anche: Ciné2017: Gomorra 3 e altre novità per una nuova "Vision" sul cinema italiano
Una deriva sulla quale riflette con arguzia Monolith, il thriller tratto da un soggetto di Roberto Recchioni che segue l'omonima graphic novel in due parti (o meglio, tempi), pubblicata lo scorso gennaio da Sergio Bonelli Editore. La stessa casa editrice di Dylan Dog è coinvolta nella produzione del film, per la sua prima avventura cinematografica insieme a Sky e Lock & Valentine, che è anche il primo titolo distribuito da Vision Distribution, la nuova realtà che unisce Sky Italia e cinque case di produzione e che si affaccia sul mercato con l'intento di farlo crescere.
Leggi anche: Dylan Dog, 30 anni fa: quell'incubo che si trasformò in sogno
Tagliata fuori
Nel caso specifico, questa ossessione è incarnata da un'auto ipertecnologica, oltre che blindatissima e di fatto inespugnabile, Monolith per l'appunto, che già dal nome evoca la compattezza con la quale è progettata e costruita. Ne è al volante Sandra, giovane madre con passato di pop star nella quale si insinua il dubbio del tradimento del marito: bastano un paio di videochiamate al consorte ed alla migliore amica per fare due più due e decidere, su due piedi, di raggiungerlo a Los Angeles per vederci chiaro. Un viaggio che decide di intraprendere in auto, a bordo della sua Monolith, e passando per il deserto, dove un incidente di percorso la costringe ad uscire dall'auto... restandone intrappolata fuori e con il piccolo David chiuso all'interno e legato al sedile. Come espugnare il veicolo blindato e salvare il bambino dal cocente sole del deserto?
L'incubo tecnologico
Monolith è un thriller che gioca con la tensione, ma chiunque abbia avuto una persona cara in una situazione di pericolo sa che quello che si prova è puro e semplice terrore. Una sensazione che viviamo insieme alla Sandra di Katrina Bowden, una protagonista che osserviamo mentre oscilla tra determinazione e fragilità nella sua lotta contro il veicolo ipertecnologico, che passa da mezzo con cui essere in simbiosi ad ostile nemico, e la spietata natura che la circonda, fatta di isolamento, animali feroci, caldo e mancanza d'acqua. Le rende giustizia e la sorregge lo script di Mauro Uzzeo, che il regista Ivan Silvestrini trasforma in immagini di grande impatto visivo e potenza emotiva, valorizzando la scelta della location desertica ed il design dell'auto che tiene prigioniero il piccolo David, al netto di un paio di tempi morti assolutamente perdonabili.
Leggi anche: Monolith: la macchina infernale e "la paura di dimenticare il proprio figlio in auto"
Il thriller abita di nuovo qui
Oltre alla conferma, che accogliamo con grande entusiasmo, di un ritorno del nostro paese ai film di genere, quello che colpisce di Monolith, così come di altre produzioni di questa nuova generazione di autori, è il sapore internazionale che si percepisce, quella capacità di mettere in piedi produzioni che possano superare i confini del nostro paese ed essere appetibili anche per un pubblico diverso da quello nostrano. Non ci si stupisce, insomma, se nel guardare il film di Silvestrini vengono in mente riferimenti che vanno al di là del nostro cinema, se nella sequenza di conversazioni telefoniche di Sandra echeggiano la tensione e il ritmo di Locke o se alcuni sprazzi e riflessioni fanno pensare a John Carpenter.
Suggestioni che il registra affronta con umiltà, senza aggiungere troppo ad un film che si rivela essenziale, sia nella forma che nella durata, senza cedere alla tentazione di aggiungere troppo e perdere l'immediatezza che lo caratterizza, quella con cui riesce a coinvolgerci nel dramma della protagonista e del suo bambino da salvare.
Movieplayer.it
3.5/5