Una stella di prima grandezza, un'attrice poliedrica che ha scritto la storia del cinema italiano. Monica Vitti è scomparsa all'età di 90 anni, lasciando un patrimonio artistico di inestimabile valore, racchiuso in molti film indimenticabili. Nata a Roma nel 1931 come Maria Luisa Ceciarelli, dopo il diploma all'Accademia nazionale d'Arte Drammatica (ottenuto nel 1953 sotto la direzione di Silvio D'Amico) assunse il nome di Monica Vitti, rendendo omaggio al cognome della madre (Vittiglia), che aveva perduto in tenera età. I primi lavori teatrali in pièce molto impegnative confermarono il talento della giovane Monica, che avrebbe esordito qualche tempo dopo sul grande schermo.
Il cinema è stato certamente la vera passione della Vitti, e ne ha accompagnato il percorso artistico nell'arco di quasi quarant'anni, fino al ritiro dalle scene verso la fine degli anni Novanta, proprio quando venne insignita del Leone d'oro alla carriera in occasione della Mostra di Venezia del 1995. La cinematografia di Monica Vitti comprende tantissime opere d'autore e una particolarità che la rende unica: il passaggio dal genere drammatico alla commedia, in un periodo ben distinto tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso.
È possibile affermare come Monica Vitti sia stata un'attrice che abbia vissuto due volte: prima nella tetralogia firmata da Michelangelo Antonioni (con il quale strette un sodalizio artistico e sentimentale), poi nella straordinaria commedia all'italiana, diretta da registi quali Mario Monicelli, Ettore Scola, Dino Risi, Luigi Magni; senza dimenticare, naturalmente, l'amicizia e la collaborazione di lunga data con Alberto Sordi.
Da L'avventura a Deserto rosso
Il 1960 rappresentò l'anno della svolta nella carriera di Monica Vitti. L'incontro con il regista e sceneggiatore Michelangelo Antonioni consentì all'attrice romana di misurarsi con storie molto complesse da interpretare ma perfettamente inquadrate nell'evoluzione sociale italiana, proprio nel periodo del nuovo benessere economico. L'avventura (1960), La notte (1961), L'eclisse (1962) e Deserto rosso (1964) sono quattro capolavori inscindibili, tanto nella forma quanto nel contenuto. I primi tre vennero fotografati in un luminoso bianco e nero; il quarto ebbe invece la firma inconfondibile di Carlo Di Palma (che sarebbe stato compagno di Monica nella vita privata dopo la separazione da Antonioni), in un colore che contraddistingue gli stati d'animo della protagonista e i luoghi che la circondano.
Monica Vitti: I migliori film da vedere
L'avventura e L'eclisse vennero premiati al Festival di Cannes; La notte al Festival di Berlino; Deserto rosso, infine, vinse il Leone d'oro a Venezia. Quattro pellicole che sono tuttora oggetto di approfondimento da parte della critica e degli studiosi: le tematiche principali che le accomuna sono l'incomunicabilità e l'alienazione. Da una piccola e rocciosa isola mediterranea, mentre una donna scompare nel nulla, si passa alle lussuose cliniche frequentate dall'alta borghesia industriale e ai salotti mondano-letterari, dove a essere protagonista è un senso di inquietudine; da una Roma quasi irriconoscibile per senso architettonico privo di spunti e il cui sfondo diventa il palazzo della Borsa (tutt'altra ambientazione rispetto alla vitalità, sebbene spesso contraddittoria, de La dolce vita di Fellini) si giunge a una Ravenna industrializzata, asettica, inespressiva, all'interno della quale la solitudine lacera la fragile personalità della tormentata Giuliana.
Ne L'avventura, la Vitti ebbe accanto Gabriele Ferzetti e Lea Massari; ne La notte, Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau; ne L'eclisse, Alain Delon e Francisco Rabal; in Deserto rosso, Richard Harris e Carlo Chionetti. Ma è sempre il volto di Monica a emergere con maggiore forza drammatica, ponendosi come centro di gravità delle quattro pellicole, e riferimento di un periodo narrativo attraverso il quale Antonioni ha descritto, in maniera asciutta e innovativa, i rapporti tra le persone e la loro evoluzione in un mondo in cambiamento. Gli oggetti, le strutture, gli ambienti artificiali progressivamente iniziavano a sostituirsi alle altre persone, ai paesaggi, alla purezza degli elementi naturali. Il senso di smarrimento, le difficoltà sempre più evidenti nello stringere i rapporti e a comunicare con gli altri, in un contesto sociale improvvisamente esigente e materialistico, iniziava a provocare una meccanizzazione degli individui, lasciando al proprio destino chi non riusciva a inserirsi in quella nuova realtà.
Con Michelangelo Antonioni, Monica Vitti sarebbe tornata a lavorare nel 1980, con Il mistero di Oberwald.
La ragazza con la pistola e la nuova Monica
Il ruolo di Assunta Patanè, una siciliana caduta in disgrazia dopo essere stata abbandonata dall'uomo che "l'aveva compromessa" e per questo in cerca di rivalsa contro l'infido Vincenzo Macaluso, tanto da raggiungerlo fino in Regno Unito, fu quello della seconda svolta fondamentale nella carriera di Monica Vitti. Non fu un passaggio predefinito, ma un'evoluzione naturale nel percorso cinematografico di una donna e attrice dall'immenso talento. Diretto da Mario Monicelli, scritto da Rodolfo Sonego e Luigi Magni, La ragazza con la pistola fu un grande successo di pubblico e critica, grazie alla straordinaria messa in scena che giocava con i cliché dell'epoca (il significato dell'onore nel Mezzogiorno italiano) e li raccontava con sferzante ironia. L'interpretazione valse alla Vitti il primo dei cinque David di Donatello della sua carriera, oltre al Nastro d'argento e alla Grolla d'oro.
Fu solo il primo di tanti film dal tono decisamente più leggero, ma non per questo meno significativi. La commedia italiana, del resto, fondeva straordinariamente dolce e amaro, risate e lacrime, senza mai tralasciare una profonda riflessione sociale sui vari spaccati dell'Italia degli anni Sessanta e Settanta. Grazie a magnifici registi e illuminati sceneggiatori, quell'epoca regalò al nostro cinema inarrivabili capolavori, molti dei quali ebbero Monica Vitti splendida protagonista.
Ettore Scola la diresse in Dramma della gelosia - tutti i particolari in cronaca (1970), nel quale la Vitti ebbe accanto Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini; Marcello Fondato firmò Ninì Tirabusciò: la donna che inventò la mossa (1970), ambientato durante il primo Novecento italiano, e A mezzanotte va la ronda del piacere (1975); Dino Risi fu invece il regista di Noi donne siamo fatte così (1971), film a episodi con Monica protagonista attraverso dodici personaggi differenti. Carlo Di Palma firmò Teresa la ladra (1973), Qui comincia l'avventura (1975) e Mimì Bluette ... fiore del mio giardino (1976); Luciano Salce la diresse in L'anatra all'arancia (1975), nel quale Monica recitò accanto a Ugo Tognazzi; Steno fu l'autore di Amori miei (1978) e Il tango della gelosia (1981).
Merita un capitolo a parte La Tosca (1973), versione cinematografica realizzata da Luigi Magni del dramma di Victorien Sardou, ambientato nella Roma papalina del 1800. Monica Vitti interpretò magnificamente Floria Tosca, cantante affascinante e appassionata, innamorata del pittore Mario Cavaradossi, impersonato da Gigi Proietti. Nel cast, tra gli altri, anche uno straordinario Vittorio Gassman (nel ruolo del barone Scarpia), Aldo Fabrizi, Umberto Orsini, Gianni Bonagura, Fiorenzo Fiorentini e Marisa Fabbri. In coppia con Proietti, Monica alternò recitazione e canto con grandissima naturalezza, offrendo una delle prove attoriali più generose e iconiche della propria carriera, sulle note del maestro Armando Trovajoli.
Alberto e Monica
Non possiamo concludere questo omaggio a Monica Vitti senza soffermarci sull'altro fondamentale sodalizio artistico che l'attrice strinse durante la sua carriera: quello con Alberto Sordi.
L'attore romano, con Fumo di Londra (1966), aveva iniziato a dedicarsi anche alla regia, avvalendosi della collaborazione alla scrittura di autori quali Rodolfo Sonego, Ruggero Maccari, Sergio Amidei, Tullio Pinelli e molti altri. Sordi si soffermava spesso su tematiche sociali estremamente significative, ma utilizzando il tono della commedia, a volte amara. Il rapporto di coppia e le sue declinazioni rappresentarono il fulcro dei tre film nei quali Alberto fu regista e co-protagonista con Monica: Amore mio aiutami (1968), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982). Il primo e il terzo ebbero un'ambientazione contemporanea, mentre Polvere di stelle lo sfondo dell'Italia della Seconda guerra mondiale. Sordi e vitti sono qui Mimmo Adami e Dea Dani, due artisti con velleità da grandi palcoscenici che, dopo una lunga gavetta nei piccoli paesi del Centro-Sud Italia durante l'epoca fascista, conosceranno i loro giorni di gloria al Teatro Petruzzelli di Bari, dopo l'arrivo degli Alleati e la conseguente liberazione del Meridione nel 1943. L'inaspettato successo, però, metterà in crisi il loro navigato matrimonio.
Quella tra Monica e Alberto fu soprattutto una straordinaria amicizia, che appariva evidente anche nella perfetta armonia delle loro irresistibili interpretazioni. Per la Vitti furono tre film molto importanti, che confermarono ulteriormente la completezza artistica di un'attrice unica, che verrà ricordata per sempre.