Recensione The Skeleton Key (2005)

Una sceneggiatura con buone potenzialità va in parte sprecata a causa della regia confusa e spesso fuori luogo di Iain Softley.

Misteri del profondo Sud

Il regista britannico Iain Softley, che esordì nel 1994 in un lungometraggio con il beatlesiano Backbeat - Tutti hanno bisogno d'amore, si è cimentato in generi molto diversi: dalla trasposizione di un romanzo di Henry James con Le ali dell'amore, al thriller fantascientifico con K-PAX, con tra l'altro la fortuna di dirigere attori come Kevin Spacey, Charlotte Rampling, Jeff Bridges, Helena Bonham Carter, Michael Gambon - e la lista potrebbe continuare. Con The Skeleton Key Softley approda all'horror provvisto di una sceneggiatura firmata da Ehren "The Ring" Kruger e ancora una volta di un cast d'eccezione: accanto ai giovani e lanciatissimi Kate Hudson e Peter Sarsgaard, due veterani come Gena Rowlands e John Hurt. L'anello debole della catena parrebbe proprio essere Softley; e la visione del film conferma questo sospetto.

E' inevitabile che, per chi oggi veda The Skeleton Key, l'incipit della pellicola sia carico di una malinconia che nulla ha a che fare con le intenzioni dei realizzatori: vi appare infatti quell'affascinante, musicale, umile ma festosa New Orleans che non è più è forse non sarà più per molto tempo. La Lousiana che la protagonista (Kate Hudson) attraversa è acquitrinosa, misteriosa e sottilmente inquietante, complice l'ottima fotografia di Daniel Mindel, densa di umori del Sud. Il reparto musica si adegua e combina classici country a temi più originali che contribuiscono a creare un'atmosfera efficace e avvolgente, in cui, impotenti, vediamo sprofondare la nostra bionda eroina. Lei, Caroline, è una ragazza che, ancora non ripresasi dal trauma della perdita del padre, s'impiega come badante per malati terminali. E' questo che la porta nella magione dei Devereaux, anziana e abbiente coppia colpita dall'improvvisa malattia del marito Ben, rimasto paralizzato e impossibilitato a parlare. Caroline vede in Ben una figura paterna, ed è insospettita e preoccupata dai messaggi di allarme che l'uomo sembra lanciarle. In breve tempo scopre che la soffitta è un autentico santuario woodoo (o hoodoo che dir si voglia) e che la casa, decenni prima, è stata teatro del brutale assassinio razziale di Mama Cecile e Papa Justify, due famosi maghi locali.

Sebbene fino a qui nulla sembri particolarmente estroso, possiamo assicurarvi che la sceneggiatura di Kruger ha in serbo elementi tutt'altro che banali, oltre ad un finale veramente formidabile. Peccato davvero che le scelte di regia non supportino le potenzialità del film: il look da videoclip che la pellicola assume nelle fasi di maggiore tensione e nei flashback cozza decisamente con l'ambientazione e lo spirito della vicenda; il montaggio frenetico e e la tendenza all'uso gratuito di inquadrature sghembe non aiutano la comprensione di alcuni snodi fondamentali della narrazione e appesantiscono inutilmente un'estetica che poteva essere piacevole.

Nel complesso, sebbene The Skeleton Key non possa dirsi un film molto riuscito, non gli si può non riconoscere una notevole dose di originalità in più rispetto ai milioni di inutili horror che arrivano nelle nostre sale. E non è un dettaglio da trascurare.

Movieplayer.it

3.0/5