Mission to Mar(k)s
Che senso dare alla fuga del pugile Boris, piombato nello sconforto dopo esser stato messo al tappeto? Dove lo condurrà quel folle viaggio in treno attraverso la Russia? Il titolo del film di Anna Melikian offre già la risposta, ma è una risposta ambigua. Nella stazione in cui si ferma il treno di Boris campeggia una scritta, in cirillico, che è poi il nome della città: MAP(K)S. Non abbiamo usato le parentesi a caso. Dalla enorme scritta è infatti caduta una K, mentre la P corrisponde nel nostro alfabeto al suono "r". La città chiamata così in onore di Karl Marx (ovvero Marks), padre dell'ideologia comunista, nel caos post-sovietico appare più simile a Mars, a Marte, e difatti i suoi abitanti potrebbero esser scambiati a volte per marziani. Tutto ciò è evidente persino agli occhi del protagonista, già strampalato di suo. Ma il fatto che Boris sia anche daltonico, che una mela rossa abbia per lui un improbabile colore azzurro, fatica a competere con le singolari caratteristiche della popolazione locale, in una cittadina dove il personaggio più popolare risulta essere la ragazza con la treccia più lunga di tutta la Russia! Il campionario non si esaurisce qui. C'è il ragazzo sognatore anche lui daltonico, come il protagonista, ma che in compenso afferma di vedere tutto rosa. C'è la bambina furbissima che fa affari vendendo animali di peluche (prodotti in grande quantità dalla principale azienda del posto) sulle banchine della stazione. Ci sono i nonni della bambina, i quali per motivi che pure loro stentano a ricordare non si parlano più da vent'anni. Ma soprattutto c'è Greta, la graziosa e romantica bibliotecaria che come tante concittadine sogna di abbandonare la provincia per trasferirsi in qualche metropoli occidentale o magari a Mosca.
Già, perché in questo desiderio di Greta, in questa noia che dà quasi le vertigini, si avvertono il riflesso e l'ombra lontana dei personaggi di Cechov, di una poetica così radicata nell'animo russo da proporsi, puntualmente, quale punto di riferimento. La malinconica aspirazione a raggiungere Mosca viene qui riesumata, secondo una formula maggiormente in sintonia con i tempi. Sospeso tra il vecchio e il nuovo, Mars - Dove nascono i sogni è del resto film talmente ibrido e personale da sottrarsi a qualsiasi classificazione. Vi si mescolano bozzetti di personaggi curiosi, che per un motivo o per l'altro vorrebbero essere altrove, toni da commedia, fantasmagorie assortite, improvvise sterzate verso il tragico che colgono di sorpresa lo spettatore. Tutto ciò produce nel cinema di Anna Melikian un'anarchia stilistica e figurativa capace a tratti di entusiasmare, sebbene l'impronta così dispersiva del racconto generi anche qualche perplessità; peccati veniali di una drammaturgia il cui tocco straniante alterna delicatezza e amare considerazioni, nell'accarezzare le ferite di un tessuto sociale vulnerabile come quello della nuova Russia. Un paese la cui realtà viene illustrata attraverso una visionarietà in parte inedita, almeno per quanto concerne certi cromatismi ultra-pop, o la rivisitazione di un'iconografia ufficiale aggiornata per l'occasione. Anche gli angoli di ripresa scelti dalla regista celano, in alcune sequenze, un sottofondo illusionistico. Ed è proprio questo slancio creativo a restituire la sensazione di un immaginario sovreccitato, così denso da caratterizzare Mars quale ipotetico ponte tra Luna Papa di Bakhtyar Khudojnazarov e Il favoloso mondo di Amelie, magari in salsa russa!
Il riferimento alla Amelie di Jean-Pierre Jeunet, al suo mondo di colori e ricordi, acquista credito se all'esistenza inquieta della Greta di Mars accostiamo l'adolescenza non meno turbolenta di Alisa, protagonista a sua volta di Rusalka (Mermaid), il film della regista russa visto quest'anno a Berlino. Va detto, a onor di cronaca, che Mars viene distribuito in Italia con quattro anni di ritardo rispetto alla sua realizzazione (da apprezzare il coraggio della Officine UBU, che ha creduto nell'operazione coinvolgendo per il doppiaggio personaggi come Gioele Dix); c'è quindi da sperare che non debbano passare tempi così lunghi prima che Rusalka, un'opera seconda altrettanto sorprendente, approdi nelle nostre sale. Anche perché la fuga dalla realtà delle eroine di Anna Melikian è esempio notevole di quegli sguardi al femminile di grande qualità artistica (vedi il caso di Vera Storozheva, altra regista dal talento non comune), che il cinema russo va oggi proponendo con frequenza sempre maggiore.