Recensione Signs (2002)

I cerchi nel grano e gli alieni offrono lo spunto giusto al regista indiano M. Night Shyamalan per parlarci dell'animo umano.

Miracoli o coincidenze?

I cerchi nel grano rappresentano allo stesso tempo uno dei misteri più affascinanti ed inquietanti della cronaca contemporanea. Al riguardo sono stati scritti saggi, sono state date diverse interpretazioni, alcune più razionali altre più fantascientifiche, ma il risultato è sempre lo stesso: ognuno continua a vederci, e a volerci vedere, quello che in realtà vuole.

E non è poi così diverso per Signs, il nuovo film del regista indiano M. Night Shyamalan, un film difficile da inquadrare e rinchiudere in una definizione, o ancor più, in un genere. L'inganno maggiore è, forse, rappresentato dal diverso modo in cui il film è concepito rispetto alle precedenti due opere del regista e soprattutto dall'apparente somiglianza strutturale.
Dire apparente è in realtà un eufemismo perché due film come Il sesto senso e Signs non potrebbero essere più dissimili: se nel primo il protagonista, e con lui gli spettatori, non era altro che un burattino nelle abili mani di un astuto burattinaio, la famiglia di Padre Graham è vittima delle proprie scelte e suggestioni, offerte sì dal burattinaio di cui sopra, ma questa volta sprovvisto di fili e quindi colpevole solo di aver allestito un affascinante e cupo teatrino.
Si fa presto a capire che i cerchi nel grano e il loro significato sono soltanto un incipit per quello che realmente sarà il film; e se all'inizio può sembrare, soprattutto con utilizzo di immagini e filmati simil-televisivi, che il regista possa essere interessato a trattare un tema, se vogliamo, banale e già ampiamente sfruttato come quello dell'invasione aliena, è chiaro che l'interesse del regista è quello di spiare ed indagare sull'animo umano e sulla sua capacità di reagire all'imprevedibile e all'inspiegabile.

Significativa in questo senso è la scena che vede Mel Gibson e Joaquin Phoenix discutere a tarda notte davanti alla tv e interrogarsi sui possibili significati dell'invasione aliena; il personaggio di Gibson, ex reverendo in crisi mistica a causa della recente morte della moglie, ha una sua teoria: gli essere umani si dividono in due categorie, coloro che vedono nei segni un miracolo, un segno divino, e coloro che vi vedono soltanto delle coincidenze.
Ma è egli stesso a non sapere in quale categoria collocarsi, dietro quell'apparente freddezza e quel lucido distacco dalla fede, si cela in realtà un uomo che lotta con sé stesso per non sfogare la sua rabbia verso Dio, reazione che costringerebbe il proprio io interiore ad ammettere che in realtà la fede non è perduta, ma solo messa alla prova.
E se la prova è durissima, altrettanto lo è anche il tragitto per arrivare alla catarsi finale, per arrivare a quel perdono e a quell'accettazione che gli permetterà di riprendere il suo posto nella società e, cosa ancora più importante, nella sua famiglia.

Questo tragitto è in realtà il film così come ci viene presentato dalle splendide immagini di Shyamalan, una sorta di viaggio in parallelo tra la lotta interiore di padre Graham e quella meno spirituale con gli alieni. Perché di alieni si tratta, fin dall'inizio il regista non lascia dubbi. Rimane oscuro il loro scopo, il loro comportamento e anche quello che in realtà succede al di fuori dell'abitazione di Graham: Shyamalan non ha alcun interesse nel seguire le loro azioni e preferisce omettere piuttosto che mostrare. Ma sappiamo che ci sono. Graham ha uno scontro con uno di essi rinchiuso in un ripostiglio, e nonostante lo spavento (che si ripercuote con abilità anche sugli spettatori) è lui ad uscirne vittorioso, riuscendo non solo a fuggire via illeso ma anche a ferire l'alieno.
Il seguente barricarsi in casa assecondando inconsciamente la decisione del resto della famiglia pur essendo consapevole che non sia la scelta più saggia, è sintomatico del suo rinchiudersi e del non voler dar spazio al suo conflitto interiore, ed altrettanto significativa è la conseguente ultima cena in cui un bravo ma contenuto Mel Gibson, così diverso dalle interpretazioni epiche di Braveheart - Cuore impavido e Il patriota ma più vicino a quella intimista del suo esordio alla regia con L'uomo senza volto, sarà sul punto di dar sfogo alle sue sofferenze. Ma non c'è tempo, perché l'assedio è cominciato ed è così Shyamalan dimostra tutta la sua versatilità e la sua bravura coniugando precisione e maestria, sentimento e tensione, comicità e dramma. Ad aiutarlo in questa difficile prova ci sono i due giovanissimi attori che interpretano i figli di Graham e soprattutto un Phoenix che per l'ennesima volta stupisce e colpisce, questa volta anche letteralmente.

L'unico alieno che vediamo non è altro che un deus ex machina e la ferita sull'arto l'elemento scatenante che porta Graham a voler credere, a voler vedere quei segni, a tornare dalla parte di coloro che non credono soltanto nelle coincidenze.
Sarà così quell'epifania finale a dare veramente un senso al titolo del film e all'opera stessa, a quei segni inizialmente spacciati e interpretati come strani simboli nel grano, e a fare di questo film l'opera più sentita e, anche se meno perfetta, più riuscita del regista indiano.

Movieplayer.it

4.0/5