Midsommar - Il villaggio dei dannati, la recensione: se non lasciarsi diventa un incubo

La recensione di Midsommar - Il villaggio dei dannati: il film di Ari Aster è un complesso groviglio di allegorie che aggiorna il concetto di orrore.

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Midsommar - Il viaggio dei dannati: Jack Reynor, Florence Pugh, Vilhelm Blomgren in una scena del film

Fascino e repulsione che camminano mano nella mano tutto il tempo. Nausea e acquolina in bocca che convivono alla perfezione per 140 minuti. Ecco perché questa recensione di Midsommar - Il villaggio dei dannati è frutto di una lunga digestione, di una faticosa elaborazione innescata da un film atipico, ostico e complesso. Coraggiosa e anarchica, l'opera seconda di Ari Aster è nata per non lasciare indifferenti, per dividere, per essere odiata o amata senza messe misure. Noi siamo dalla parte dei conquistati. Nonostante diverse imperfezioni, Midsommar risponde all'ambizione di un giovane regista che con appena due film è già riuscito a rendere lampante quello che gli sta a cuore. O meglio, quello che gli fa davvero paura del nostro mondo.

Dopo il sorprendente Hereditary - Le radici del male il cinismo disilluso di Ari Aster diventa ancora più feroce, atroce e spietato, spostando la sua attenzione dalla famiglia tradizionale alle relazioni di coppia. Laddove il suo esordio di soffermava sul marcio nel cuore di madri condannate alle genitorialità, Midsommar - Il villaggio dei dannati fa sia un passo indietro (soffermandosi su una coppia di fidanzati) che una corsa in avanti, perché (come il sottotitolo fa presagire) lo sguardo d'insieme si allarga verso il lato oscuro delle convezioni sociali. Acuto e armato di un'ironia crudele, Ari Aster è abile a scardinare ogni rassicurazione, a sabotare tutto ciò che riteniamo socialmente accettabile, a urlarci in faccia cose che non vorremmo né vedere, né sentire. Dopo aver cercato risposte nella foresta delle sue metafore, Midsommar ci è parso soprattutto la storia nociva e distruttiva di due persone che non riescono a lasciarsi.

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Una suggestiva immagine di Midsommar

Al di là del suo villaggio popolato da pagani fanatici, il vero mostro è l'incapacità di stare da soli, la dipendenza malata tra due persone che non hanno più niente da dirsi e da darsi. Dentro questo vuoto d'amore si insinua, subdolo, un horror allegorico difficile da dimenticare. Nel bene o nel male. A seconda che vogliate abbracciare o respingere un film che non sa dove abiti l'indifferenza.

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Midsommar - Il viaggio dei dannati: una scena con Jack Reynor, Florence Pugh

Famiglie che si sgretolano. Ancora una volta. Se in Hereditary - Le radici del male il deterioramento familiare avveniva poco per volta, questa volta le tessere del domino cadono tutte assieme. La giovane Dani perde tutto e quel dolore immenso diventa l'unico, vero collante che la lega ancora a Christian, fidanzato annoiato e distratto. La crisi di coppia prova a scrollarsi di dosso i malanni dell'abitudine e della quotidianità quando gli amici di lui organizzano un viaggio in una remota zona della Svezia, dove una folkloristica comunità del luogo organizza un festival. Dani non era contemplata nella fuga tutta al maschile, ma Christian decide comunque di portarla con sé. Non per affetto, non per amore, quasi per pena. Una volta arrivati nel verdeggiante villaggio di Harga, i giovani americani verranno presi per mano da una comunità pacifica, in cui regnano ordine, amore per la natura e un sacro rispetto per riti tutt'altro che innocui. Ha così inizio un conturbante viaggio nelle viscere di un inferno travestito da paradiso, un luogo fisico ma anche simbolico in cui Dani e Christian iniziano a camminare su rette parallele.

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Midsommar - Il viaggio dei dannati: una scena del film

Midsommar assume così le sembianze di un horror bucolico, in cui immagini bellissime stridono con esplosioni di violenza, in cui una fotografia patinata incornicia un Male subdolo, perché non sempre esplicito, ma latente e inarrestabile. Dell'horror classico Midsommar - Il villaggio dei dannati conserva soltanto la tipica struttura "a imbuto" in cui rinchiudere i personaggi, ma per il resto è tutto orgogliosamente "profano". La tensione diluita lungo tutto il film senza picchi a favore di jump scare e la scelta di ambientare tutta la storia alla luce del sole con pochissime scene al buio sono azzardi premiati. Perché Ari Aster, geometrico nella messa in scena e mai banale nei movimenti di macchina, è un regista con qualcosa da dire e una visione chiara. Ancora scoordinata, forse, ma assolutamente lucida nella sua amarezza.

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Midsommar - Il viaggio dei dannati: Jack Reynor, Florence Pugh in una scena del film

Ogni buon horror ha la sua mitologia. Ari Aster lo sa bene. Se con Hereditary aveva abbozzato la descrizione di un'antica leggenda demoniaca, questa volta il tormentato regista newyorkese ha approfondito per filo e segno la materia messa in scena, studiando ogni minimo particolare della comunità di Harga, in Svezia, con cura maniacale. Dalla lingua agli abiti, dai simboli runici agli arazzi, dai simboli sulle pareti all'architettura, dai gesti ai rituali. Niente è lasciato al caso. Tutto ha un significato ben preciso e contestualizzato. Rimandi impercettibili a una prima visione, che chiedono allo spettatore di tornare indietro per essere vivisezionati e compresi nella loro essenza. Usando questo folle villaggio come specchio deforme del nostro assetto sociale, stracolmo di convenzioni atroci date per buone anche quando sono disumane, Midsommar scoperchia senza pietà il vuoto relazionale che affligge i nostri tempi. Un male sociale e intimo, personale e collettivo, che può essere curato soltanto ricorrendo di nuovo alla medicina dell'empatia. Per questo le immagini più potenti del film hanno un suono ben preciso. Perché nonostante tutte le budella e le interiora, Midsommar ti rimane nei timpani per le urla all'unisono, le canzoni cantante insieme e gli orgasmi vissuti in compagnia. Un bisogno disperato di collettività urlato da un film che, soprattutto nel finale (la parte più debole di un film che regge benissimo la sua durata notevole), cade spesso nel grottesco, perdendo un po' di carica drammatica a causa di un'ironia troppo straniante. Però, ben vengano errori ed eccessi come quelli Ari Aster. Un autore interessato alle relazioni che non sappiamo coltivare e ai rapporti tossici a cui non sappiamo proprio dare un taglio.

Conclusioni

Scrivere questa recensione di Midommar: il villaggio dei dannati non è stato facile. Perché l’opera seconda di Ari Aster è un horror insolito, complesso, metaforico, destinato a dividere sia il pubblico che la critica. Un film che, con i suoi coraggiosi eccessi, non può lasciare indifferenti. Dopo Hereditary, il giovane regista newyorkese dà forma alla sua impietosa poetica interessata al male dei rapporti umani, passando dalle famiglie sfasciate ai danni irreparabili di un amore ormai inaridito, che si trascina verso il suo stesso orrore.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.2/5

Perché ci piace

  • La messa in scena di Aster è da regista maturo: inquadrature geometriche e movimenti di macchina mai fini a se stessi.
  • Il carisma e la presenza scenica di Florence Pugh, capace di reggere l'intero film da sola.
  • Il coraggio di un film visionario ma allo stesso tempo avvinghiato alla realtà contemporanea.

Cosa non va

  • Il finale scivola verso uno straniante effetto grottesco.
  • Midsommar è un film senza mezze misure: o si odia, o si ama.