Il 28 luglio di dieci anni fa, il regista Michael Mann presentava al pubblico il progetto forse più ambizioso della sua carriera e sicuramente il più costoso (oltre centotrenta milioni di dollari di budget, conto i quasi centodieci di Ali): Miami Vice, ovvero il film ispirato alla celeberrima serie TV a cui proprio Mann, in qualità di produttore, aveva contribuito a dar vita nel 1984, sulla NBC. Se la serie Miami Vice, interpretata da Don Johnson e Philip Michael Thomas, ha lasciato un'impronta indelebile nell'immaginario (non solo televisivo) degli anni Ottanta, l'opera del 2006 aderiva appieno alla poetica del cinema di Mann, proseguendo anche con l'esplorazione delle potenzialità e dell'estetica del digitale.
A calarsi nei panni dei detective della polizia di Miami Sonny Crockett e Rico Tubbs sono rispettivamente Colin Farrell e Jamie Foxx, impegnati in una delicata missione contro un'organizzazione di narcotrafficanti che li porterà ad assumere il ruolo di infiltrati e a trattare direttamente con lo spietato signore della droga Archangel de Jesus Montoya (Luis Tosar) e con il suo braccio destro, l'affascinante Isabella (la star cinese Gong Li). Una produzione complessa, quella di Miami Vice: non solo per il consueto perfezionismo di Mann, ma anche per le avverse condizioni climatiche (le riprese sono avvenute durante l'uragano Katrina) e, a quanto risulta dalle testimonianze dei suoi colleghi di set, per l'atteggiamento ostile e capriccioso di Jamie Foxx, reduce dal successo di Ray.
All'epoca della sua uscita, Miami Vice non è stato l'enorme successo auspicato dalla Universal: negli Stati Uniti il film ha incassato appena sessantatré milioni di dollari (troppo poco per una pellicola tanto costosa), ma i risultati di gran lunga migliori dal mercato internazionale hanno permesso comunque al thriller di Mann di recuperare le spese e di poter essere considerato un successo. A prescindere dai numeri, comunque, Miami Vice è uno degli esempi emblematici del modo in cui il regista di Chicago ha saputo innervare nei canoni del genere poliziesco un senso di modernità e una capacità di mimesi che rimangono fra i "marchi di fabbrica" di Mann. Quelle peculiarità stilistiche a cui oggi, in occasione del decennale di Miami Vice, abbiamo deciso di rendere omaggio ripercorrendo alcune tappe salienti della filmografia del cineasta statunitense. Quella che segue, dunque, è un'analisi di cinque scene indimenticabili tratte da vari periodi della sua carriera e da alcuni dei suoi film più importanti, fra i quali appunto Miami Vice. In un'ideale 'antologia' di Mann non potrebbe mancare ovviamente anche Heat - La sfida, ma il capolavoro del 1995 è talmente ricco e denso che si è già meritato uno speciale apposito per il suo ventesimo anniversario.
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1. Manhunter: out of the blue and into the black
Nel 1986 Michael Mann, sull'onda dell'enorme successo televisivo di Miami Vice (e durante la realizzazione dell'analoga serie Crime Story), porta sul grande schermo un best seller di Thomas Harris, Red Dragon, primo romanzo in cui compare la figura di Hannibal Lecter. Uscito con cinque anni di anticipo sul più celebre Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, Manhunter - Frammenti di un omicidio è un thriller anomalo e disturbante, tanto da spiazzare il pubblico e raccogliere un modesto responso al box office; la reputazione del film crescerà però con il tempo, fino a trasformarlo in uno dei più apprezzati cult movie del decennio. E non a torto, dato che Manhunter si inserisce di prepotenza fra i capolavori di Mann, autore di una messa in scena incredibilmente immersiva. A tal proposito, basti considerare le due scene che sanciscono la separazione del profiler dell'FBI Will Graham (William Petersen) dalla propria famiglia e il suo ingresso nelle indagini sulle stragi compiute da un serial killer soprannominato Fatina dei denti (Tom Noonan).
La prima sequenza consiste in un dialogo fra William e sua moglie Molly (Kim Greist) nella loro camera. La vetrata della stanza, affacciata sull'oceano, fa trapelare la luce della luna, mentre l'intero spazio filmico è virato su un blu dal taglio quasi espressionista: è quell'azzurro con cui il direttore della fotografia, Dante Spinotti, costruisce un'atmosfera sognante che, di lì a poco, lascerà il posto ad un incubo a occhi aperti. E dalla tenera conversazione della coppia innamorata, ecco un repentino passaggio alla scena successiva: il sopralluogo di Will nell'abitazione della famiglia Leeds, ad Atlanta. Dall'oscurità notturna all'esterno della villa si passa all'oscurità della casa: la cinepresa di Mann riprende i passi di Will, la luce della torcia inquadra dettagli domestici trasformati in fonti di inquietudine. La sequenza rievoca il breve, agghiacciante prologo del film, quando l'identico percorso era stato compiuto dal killer. E a Mann bastano poche immagini - mobili, lenzuola e pareti bianchissime, imbrattate del sangue delle vittime - per comunicarci l'immenso carico di orrore a cui il protagonista sta andando incontro.
2. L'ultimo dei Mohicani: l'agguato
Il ritorno al cinema di Michael Mann nel 1992, a sei anni di distanza dal parziale fiasco di Manhunter e dopo la conclusione della fortunata esperienza televisiva di Miami Vice, è anche la sua prima grande produzione: un kolossal storico basato sul famoso romanzo di James Fenimore Cooper, con protagonisti Daniel Day-Lewis e Madeleine Stowe. In un'opera dal respiro epico e ammantata di un romanticismo che ritroveremo in gran parte della produzione del regista, un modello di tensione e di messa in scena è costituito dalla lunga scena dell'agguato dei guerrieri Uroni ai danni delle Giubbe Rosse impegnate ad attraversare la foresta. Da una situazione di calma apparente, la macchina da presa ci offre una brevissima inquadratura dalle ombre degli alberi (un punto di vista 'altro', quindi, come se qualcuno stesse spiando le truppe inglesi), fin quando all'improvviso il silenzio non viene rotto dall'attacco dei primi due Uroni, armati d'ascia, che compaiono dal nulla e si scagliano sulla processione.
Ma è solo il preludio a ciò che sta per accadere: al segnale di Magua (Wes Studi) gli Uroni, inquadrati nell'ombra del bosco come animali predatori, lanciano il loro grido di guerra. La cinepresa coglie l'angoscia sui volti dei coloni inglesi, quindi un campo lungo ci mostra l'inizio della battaglia. In una spettacolare scena di massa, con decine e decine di uomini coinvolti in uno scontro selvaggio, Mann ci regala alcuni dei momenti di maggior pathos del film: l'uccisione del Colonnello Edmund Munro (Maurice Roëves) da parte del feroce Magua e la rabbiosa corsa di Occhio di Falco (Daniel Day-Lewis) per salvare la vita dell'amata Cora (Madeleine Stowe). Ad accompagnare l'intera macrosequenza, ancora una volta, è lo stupendo tema musicale composto da Trevor Jones, fra le più belle partiture del cinema degli anni Novanta.
3. Collateral: paura e delirio in discoteca
Nel corso della notte di follia vissuta dal tassista Max Durocher (Jamie Foxx) in Collateral, superbo thriller metropolitano del 2004 ambientato fra le strade di Los Angeles, una delle scene in cui è mostrata appieno la straordinaria perizia tecnica di Michael Mann è quella che si svolge dentro il nightclub Fever. In uno spazio gremito da una folla indistinta la macchina da presa segue i movimenti e gli sguardi dei vari personaggi con un'alternanza di campi lunghi, primi piani e soggettive, finché, nel loop frastornante della musica house, non comincia lo scontro. L'ingresso degli agenti dell'FBI alimenta la confusione generale, nella sala vengono sparati alcuni colpi di pistola e, nel bel mezzo delle urla e del panico, l'agente Frank Pedrosa (Bruce McGill) viene ferito da un proiettile, mentre il detective Ray Fanning (Mark Ruffalo) scorta Max fuori dal locale.
Gli ultimi, frenetici istanti sono dedicati invece al faccia a faccia fra il boss coreano Peter Lim (Inmo Yuon) e il killer professionista Vincent (Tom Cruise): dopo una colluttazione con gli uomini di Lim, Vincent estrae una lama, si libera dei suoi avversari, raccoglie la pistola e avanza implacabile verso il gangster, uccidendo le sue guardie del corpo per poi freddarlo con una pioggia di proiettili. Suspense, adrenalina, violenza: Michael Mann gestisce una complicatissima scena di massa senza mai far perdere allo spettatore la consapevolezza su ciò che si sta verificando, raggiungendo un perfetto equilibrio fra ogni singolo dettaglio della messa in scena.
4. Miami Vice: lo scontro finale
Subito dopo Collateral, con Miami Vice Mann ci ha proposto un altro saggio di virtuosismo tecnico, portando il genere del thriller metropolitano a nuovi livelli di realismo. Ed è verso l'epilogo, durante uno scambio di droga al porto di Miami, che il film raggiunge il suo climax, con una lunga scena di ambientazione notturna in cui la tensione esplode in una furiosa sparatoria. La cruda violenza dello scontro fra Sonny e Rico, i narcotrafficanti e agli agenti dell'FBI viene rappresentata da Mann con una camera a mano, per meglio trasmettere i movimenti confusi e frenetici dei personaggi, in una girandola di sagome umane che corrono nell'ombra e si sparano l'una sull'altra.
Si tratta probabilmente di una delle scene più difficili mai girate da Mann. Ma a segnare il picco emotivo, nell'inferno delle pallottole, è il confronto fra Sonny e l'ignara Isabella, la quale si avventa contro il suo amante domandandogli con rabbia: "Chi sei?". Il connubio fra amore e senso del dovere, fra passione e violenza è, pure in questo caso, il vero fulcro del film. Sonny, per impedire che Isabella venga colpita dai narcotrafficanti, si getta a terra con lei, quindi punta il mitra contro il loro aggressore e, sempre proteggendo la donna, lo uccide con due colpi dritti alla testa. Infine si allontana insieme alla recalcitrante Isabella, messa di fronte alla verità sull'uomo che, pur amandola, l'ha ingannata sulla sua identità.
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5. Blackhat: amanti in fuga
Accolto in maniera discordante dalla critica, con recensioni divise fra l'entusiasmo e le stroncature (noi rientriamo fieramente nella prima categoria), e penalizzato da un immeritato insuccesso al box office, Blackhat è in realtà una delle opere più coraggiose e innovative di Michael Mann, da annoverare senza esitazione tra le vette più alte della sua carriera. In una delle più emozionanti scene del film, l'hacker Nicholas Hathaway (Chris Hemsworth), il Capitano Chen Dawai (Leehom Wang) e sua sorella Chen Lien (Tang Wei) si trovano in auto, a Hong Kong. Chen e Nick si preparano a partire senza la ragazza; Lien, furiosa, scende dal veicolo, ma Nick si precipita dietro di lei. È uno dei momenti più intensi del film: l'imminente separazione fra l'hacker fuggitivo, costretto a far perdere le proprie tracce, e la donna di cui si è innamorato. I due si abbracciano, poi Lien si gira verso il fratello, rimasto in auto, e scambia con lui un gesto di riconciliazione.
Quindi, il colpo di scena: Lien si è appena voltata verso Nick quando la macchina a pochi metri da loro esplode, colpita da un bazooka, uccidendo Chen e scagliando Nick e Lien sull'asfalto. Il romanticismo di pochi istanti prima è spazzato via dalla violenza della scena e dalle lacrime di Chen, mentre Kassar (Ritchie Coster) e i suoi sicari scatenano contro i due superstiti una grandinata di proiettili. L'arrivo provvidenziale di Carol Barrett (Viola Davis) e di Mark Jessup (Holt McCallany) apre un altro fronte nella sparatoria: i due agenti restano uccisi, ma Nick e Chen hanno tempo di rialzarsi e di fuggire nei sotterranei di una metropolitana deserta. La corsa dei due amanti fra le scale mobili e i corridoi, illuminati da un freddo neon bianco, è una sequenza che coniuga i ritmi concitati da thriller metropolitano, tipici del regista di Chicago, con un'atmosfera di struggente poesia.
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